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Esiste un senso del viaggiare più nascosto, che coglie ed apprezza anche in luoghi dimenticati dalle rotte turistiche, il fascino della storia che vi è scorsa e la diversa ritmica della natura e della vita di chi ha scelto di abitarli.

Se, come diceva Proust, “il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, è  possibile vivere questo tipo di esperienza ovunque, anche nei dintorni di Prato, ad esempio nel caldo mezzodì di un qualsiasi giorno di luglio, quando chi scrive dopo pochi minuti d’auto ha visto tramutare la calca affannosa della città nel completo silenzio di un grumo di antiche case addossate a una pieve immersa nel verde. E già che da un camino fumava un promettente alone da osteria, il viaggiatore ha inteso bene mettersi a tavola, visto che nel frattempo s’era fatta una cert’ora.

Locanda aperta in giorno feriale, nessuno ai tavoli, oste stentoreamente allegro che accoglie il forestiero con un significativo biglietto da visita: “Qui i telefonini un pigliano c’è i muri di ottanta, ah! Non abbiamo nemmeno il bancomat”.

Nessuna premessa poteva meglio incoraggiare la previsione delle bontà gastronomiche in arrivo: tortelli di patate, come sono? Buonissimi! Cinghiale (no di quello tracciato, di quello mòrto da noi!) com’è? Buonissimo! Accompagnamento di ficattole, come sono? Buonissime! No! Mi riprende l’oste, son venute malissimo! Si son fatte lì per lì e con tutto il trambusto non sono venute a dovere.

Sono di Prato, continua l’oste, ma adesso non ci tornerei: da quassù nelle giornate di sole invernali si vede l’inizio della cappa di nebbia e smog che nasconde la città. Qui si sta bene, non c’è zanzare, non c’è tafani, si mangia bene, si dorme bene, “qui tu recuperi!” Gli chiedo notizie sul luogo, mentre insieme alla moglie e alla mamma sta già trafficando per la sera, quando è prenotata una cena di “ciriaci” (che non sono cugini di De Mita ma persone affette da celiachia).

Gli chiedo degli Etruschi. La storia degli Etruschi, mi risponde, è solo perché è passato un signore e mi ha dato un timbro chiedendomi di usarlo per gli escursionisti che si fermavano a chiederlo. Però da quassù passavano le tribù paleocristiane, e se sono passate loro ci sono passati anche gli Etruschi. Di sicuro questa era una tappa delle via dei pellegrini da Mont Saint Michel, in Francia, a Gerusalemme.

Si finisce a ciucciare col dito il fondo di un bicchierino di crema di cioccolato al liquore, gentilmente offerta dalla casa. Fuori è ancora silenzio e bosco, un prato e tre enormi ciliegi carichi di ciliegie selvatiche (non nelle rame più basse, perché c’è sempre un viaggiatore che è passato prima di te!). Intorno segnali di sentieri per il crinale ed il fondovalle.

Non vi dirò il nome del luogo a cui mi riferisco; trovatene uno da soli, ce ne sono più di quanti si creda, anche alle porte della città, basta saperli e volerli cercare.

F.T.