Una pagina fondamentale della storia del teatro, un titolo che non può mancare nel curriculum degli appassionati di questa arte splendida: “Ubu Roi” (il re Ubu, per i non francofoni) torna al Fabbricone.

Dopo il successo riscosso nel 2012, il regista Roberto Latini questo fine settimana porta di nuovo sulla scena pratese il capolavoro di Alfred Jarry, assieme a Fortebraccio Teatro. La genesi del testo originale è nota ai più appassionati come ai semplici fruitori: datato 1896, il copione nasce come un gioco scolastico, che diventa poi uno spettacolo per marionette e infine occasione scenica per una riflessione sulla natura dell’arte teatrale.

Attraverso una continua reinterpretazione del Macbeth di Shakespare, Jarry apre il Novecento alla cosiddetta “patafisica”,ossia la scienza delle soluzioni immaginate.

Il re Ubu è nato quasi per errore, parto involontario di un gruppo di teste matte, che lo hanno inventato tra i banchi di scuola; per questo motivo, molti lo hanno relegato fuori dal teatro. Ma oggi questo personaggio e la sua storia tornano prepotentemente alla ribalta, per ricordarci che Jarry è collocabile tra Pirandello e Beckett, ammettendolo all’assolutezza che gli compete.

Un teatro dell’assurdo ante litteram, che Latini ha voluto plasmare per i suoi spettatori con un occhio a Shakespeare, con riferimenti e parallelismi continui al tragediografo inglese. Una scelta che rispetta l’anima del copione, la cui realizzazione viene comunque rivista e adattata. Con delicatezza.

La scena è neutra, lascia tutto all’immaginazione, e i costumi sono bianchissimi. Ma non mancano le maschere, che ci portano come in piazza di fronte a uno spettacolino di pupi o marionette.

Una performance che sa di Teatro, il cui copione originale non appassisce con la messinscena di Latini, tutt’altro. Una storia da seguire, quella di Padre e Madre Ubu, del re Venceslao e del principe Bugrelao; una chiave per capire la drammaturgia di tutti i tempi, una lente per leggere nel cuore di quest’arte, che vive da secoli di soluzioni immaginate. Nemmeno troppo.