Il 13 maggio del 1994 usciva Catartica dei Marlene Kuntz. Esattamente vent’anni fa.
I MK stessi dai social hanno annunciato tripudi e feste, celebrazioni e quant’altro per festeggiare degnamente l’evento. L’ho già detto tante volte e lo ripeto anche qui: mi auguro che il programma dei festeggiamenti non includa la riedizione del disco in questione trasformandolo in cofanetto con inclusa reincisione dei pezzi con ospiti famosi eccetera eccetera. Me lo auguro perché non sopporterei Festa Mesta cantata con Pierpaolo Capovilla o Mala Mela con Dente. Ma i MK sono troppo intelligenti e troppo rispettosi delle loro creazioni per indulgere a sì facili stratagemmi. Ed io li amo anche per questo.
La storia di Catartica è stata raccontata mille volte: è il frutto di una maturazione di tre anni e quattro demotape, dell’incontro con Maroccolo e soprattutto con Marco Lega, produttore/terrorista sonoro, responsabile quanto il gruppo del suono marlenico dei primi tre album.

I nostri non sono dei ragazzini quando arrivano al primo disco: sono tutti laureati, sono insegnanti o ricercatori universitari – per questo si tratta di un esordio già adulto. I Marlene Kuntz sono i Marlene Kuntz fin da subito, e gli anni a venire hanno delineato ma mai stravolto la loro poetica. Già nel primo comunicato stampa declamavano: “Come un lichene imperturbabile, abbiamo dato linfa (o)scura e tenace alle nostre solleticazioni, che sempre ci saranno, finché banda saremo, e sempre ci conturberanno”. Il lessico godaniano è già quello, già formato e già maturo. La storia del successo di questo lavoro è legato ai CSI, a Ferretti che si innamora di “Lieve” e a tutto il giro che nasce in questo periodo, d’accordo.

Vent’anni fa andavo all’università e leggevo Rockerilla. Mi arrabattavo in studi filologici ed ero incuriosito dallo shoegaze e dai Pavement. Ero troppo vecchio per venire folgorato dal rock’n’roll e dalle parole cantate – era già successo – e troppo giovane per averne un approccio distaccato. Piccola personale storia emotivo/discografica: “Faust’O” era stata la porta per scoprire che c’era un’altra musica oltre quella della radio, “Affinità e divergenze” era stato il mio “never mind the bollocks”, il disco che ha spazzato via tutto quello che era arrivato prima, e “Litfiba 3” il disco con cui ho preparato la maturità – il disco da condividere con tutti, quello che ci accomunava nella sventura e nelle notti insonni. Catartica quando uscì non rappresentò assolutamente niente per me. Tutte le caselle erano state già prese. Avrei dovuto crearmene delle altre, e così successe. Ma non subito.

I MK li ho conosciuti con una cassetta allegata a Rockerilla, che comprendeva le prime uscite del neonato CPI, Consorzio Produttori Indipendenti. Insieme a loro, Yo Yo Mundi, AFA e Disciplinatha. E anche qui nessuna particolare rivelazione . Facevo comunque parte di quello zoccolo duro di persone che avrebbe comprato e giustificato qualunque disco di vagiti di Ferretti e Maroccolo, se fossero usciti. La pubblicità dell’epoca sulla stampa musicale recitava: “tre dischi freschi di frigo” – Catartica uscì in concomitanza con l’esordio degli Yo Yo Mundi (“La diserzione degli animali del circo”) e il primo album in italiano dei controversi Disciplinatha (“Un mondo nuovo” – che nel comunicato stampa confessavano “non siamo di destra, anzi, siamo buoni”). Io non lo comprai: lo affittai. All’epoca c’era un negozio di noleggio CD, con poche migliaia di lire te lo prendevi e te lo mettevi su cassetta. Diventò presto illegale, ma sarebbe arrivato napster da lì a poco, quindi non se ne accorse nessuno… Ascoltai l’album giusto qualche giorno, ma continuavo a non capire. Sì, c’era qualcosa che mi incuriosiva in quei pezzi, ma non entravano in nessuna delle mie caselline pre-esistenti. Complimenti per la festa, una festa del cazzo.
Poi, d’estate, vado a sentirmi i CSI, tour di Ko De Mondo. E Ferretti canta “Lieve”. Allora qualcosa si sblocca. E quella cassetta riaffiora alla memoria. E dopo “Lieve” arriva dritta al cuore “Nuotando nell’aria”. Mi piacerebbe, sai, sentirti piangere solo una lacrima per pochi attimi. Vaffanculo, stronza, chiunque tu sia. Qualunque faccia tu abbia – e all’epoca ne avevi molte. Tutte incastrate in quella frase lì. A commentare emotivamente tutto il non detto, dopo quella frase, c’è il solo di chitarra (per niente convenzionale, come tutti i soli dei Marlene) straziato, straziante, lì, a metà tra i pugni sul muro e gli occhi chiusi dalla rabbia. Un pezzo densissimo di vita. E che tuttora, ad ogni ascolto, mi riporta esattamente a quella vita lì.

Quando ho capito, complice anche una mia scoperta coeva dei Sonic Youth (non so se siano stati gli ascolti dei Marlene a suggerirmeli, o il caso… fatto sta che successe tutto in quel periodo lì) il fragore del racconto di “Sonica”, e ho percepito con chiarezza i movimenti di Orso, che ci vede nebulosamente, e che si sposta goffamente con passo irregolare nel flusso irregolare della gente, la casellina di cui sopra si era già formata. Catartica non è stato un amore immediato. E’ arrivato piano piano. Si è fatto strada e ha preteso uno spazio emotivo ed intellettuale tra i miei ascolti. E in vent’anni non mi ha mai lasciato.
Poi ho avuto anche la fortuna di lavorare per i MK qualche anno dopo, per cinque-sei anni, e ovviamente ho avuto modo di tempestarli di domande su questo o quell’altro significato. Ma questa è un’altra storia.
Oggi si brinda a quel primo approccio di vent’anni fa. Quando ero ancora studente, con una certa verginità ed integrità – o almeno pensavo di averla – ed arrivarono i Marlene, chiavistello, goccia che scava, a togliermi qualche certezza.