4 GIUGNO 1984: E TUTTI BALLARONO NEL BUIO

Bruce Springsteen, prima del 1984, era terra di pochi eletti. In Italia poi, solo pochissimi cultori del Rock’n’Roll sapevano realmente chi fosse e quale importanza avesse, avesse avuto, avrebbe avuto. E per una semplice ragione: in Italia, nonostante le origini, Springsteen non c’era mai stato.

Pochi fortunati amici più grandi erano andati a Zurigo nell’81, e raccontavano di quell’impresa come se si fossero arruolati nella legione straniera. Ne uscivano fuori racconti folgoranti, annebbiati, a metà tra l’estasi e l’energia, l’incanto e la devozione. Conosco una persona che ha fatto del racconto di quel concerto argomento di conversazione per anni, anni di cene in cui teneva banco raccontando dettagli su dettagli, dall’approvvigionamento dei biglietti alla rocambolesca notte fuori dal palasport, da ogni singolo colpo di cassa di Max Weinberg ad ogni minimo cenno d’intesa tra Bruce e Clarence. C’era qualche discordanza sulla setlist dei pezzi rispetto a quella che avevamo letto, ma si sa, la memoria inganna, trasforma tutto, e a noi quello che importava era la trasmissione di quell’emozione. Anni dopo la persona in questione avrebbe ammesso che, sì, è vero, lui a Zurigo non c’era mai stato, ma era troppo bello far parte – e renderci parte – del mito.

La stampa specializzata di allora viveva di rimando. Le interviste arrivavano dall’estero, i video non c’erano, non c’era la rete. Arrivavano da noi solo i dischi, che rappresentavano solo un 40% di quello che Bruce Springsteen realmente era. E c’erano i bootleg. Brutti, sporchi, registrati male, carissimi (quando li trovavi), ma affascinanti da morire. “Piece de Resistance”, un triplo album di un concerto del 1978 in cui la E Street Band dava l’anima. E lì sentivi che c’era qualcosa di più, di grandioso. Ma era sempre roba di pochi. E poi, anche i dischi ufficiali scarseggiavano da un bel po’. The River era uscito nel 1980, era doppio, sì, ma oramai era consumato e straconsumato. Due anni dopo aveva spiazzato tutti con Nebraska, un disco in bianco e nero, sotto tutti i punti di vista. Un disco registrato a casa sua, con un Tascam a 4 piste, chitarra armonica e voce. E testi, i più belli, i più strazianti, le storie più belle di sempre. Ma non era Springsteen. O meglio, lo era eccome, ma era ancora, e stavolta all’ennesima potenza, roba di pochi.

Il 4 giugno del 1984 usciva Born In The U.S.A.. You can’t start a fire without a spark, diceva la pubblicità. Tutti quanti lo aspettavamo, quel disco lì. Il nuovo disco con la E Street Band. Non c’era ancora la rete (e nemmeno i CD) ma già la televisione iniziava a interessarsi a quel rocker d’oltreoceano – e di origini italiane – che rappresentava il futuro del rock’n’roll. Ricordo di averlo aspettato tanto, e la gioia di averlo tra le mani, quel disco lì, in cui Springsteen sembrava fare pipì sulla bandiera americana, non può essere fermata in due o tre righe.

Divorai tutti i testi, tutti i crediti. E ridacchiavo, annuivo, piangevo, facendo mia quella filosofia che “imparammo più da una canzone di tre minuti che dalla scuola” in un attimo. Era un disco completo, c’era tutto lì dentro. L’amore, l’amicizia, la rabbia, la gioia, la rassegnazione, la rivincita. Il sogno americano infranto. E l’adolescenza che stava scoppiando. Sì, lo so, quella era la mia, ma in qualche modo la stava cantando Springsteen. In televisione il videoclip di Dancin’ In The Dark era ovunque. Un finto concerto, ma già ci bastava, non potendo ancora assistere a quelli veri. E tutte le ragazze avrebbero voluto essere quella ragazza lì del video. E anche diversi ragazzi. Perché non c’era nulla di esplicitamente sessuale, Springsteen era un amico, un sodale, un fratello, uno che capiva le tue inquietudini, ed era bellissimo ballare con lui.

Una sola nota stonata aveva quel disco. Una frase tra i crediti, in italiano. “Buon viaggio, mio fratello, Little Steven”. Ancora non sapevamo, ma poteva significare una cosa sola (come di fatto fu): Miami Steve Van Zandt non era più dei nostri. Ma come era possibile? No. Non lo accettavamo. Avremmo dovuto accettare scelte artistiche peggiori, nel decennio successivo, ma quella lì per lì fu una botta. Poi il tempo, gran dottore, ha rimesso le cose ha posto, e dal 2000 in poi son tornati tutti insieme. Come dice un altro amico springsteeniano storico, adesso dalla E Street Band si esce solo in posizione orizzontale…

Ma quel 4 giugno del 1984 è stato di fatto il punto di non ritorno. E’ da lì in poi che Bruce Springsteen ha cessato di essere roba per pochi. E sono arrivati i concerti italiani, i “siamo cresciuti insieme”, e quant’altro.

You can’t start a fire without a spark