Cristina Brachi ci presenta la sua “Storia lunga un’estate”. E in effetti non si può certo dire che il racconto in questione sia corto. Anzi. E, sia detto senza cattiveria e la nostra amata lettrice non se n’abbia a male, ma in questo caso si premia più la buona volontà che la qualità dell’opera, la cui prosa risulta un po’ ingenua in vari passaggi. Ciononostante, tra i lati positivi siano da annotare la grande costanza dell’autrice (io per esempio non riesco bene a scrivere racconti così lunghi!) e la possibilità che il racconto acchiappi soprattutto i più piccoli tra voi . In ogni caso, eccovi l’esotica avventura di Elena e i suoi amici, vi lasciamo in loro compagnia e vi diamo appuntamento alla settimana prossima, sempre su Piesse.

La prima parte del racconto

CAPITOLO 3
Ci svegliamo quando la donna ci porta la colazione, mangiamo in silenzio e quando
questa va via, ci mettiamo seduti e ci guardiamo.
– Cosa facciamo adesso?
– Facciamo mente locale al tragitto che abbiamo fatto ieri sera e cerchiamo di riportarlo su
un foglio.
Così facciamo. Tutti e tre ad occhi chiusi ripercorriamo la strada, cercando di ricordare
quel muro, quell’albero e quella determinata cosa che ci è rimasta impressa nella mente.
Siccome ho fatto un disegno di una delle due donne, glielo porto e cerco di trattenermi con
lei il più possibile facendo finta di sforzarmi per farmi capire, e così cerco di guardare fuori
per vedere qualche indizio che ci possa aiutare, ma vedo solo un muro in pietra alto e
alberi dietro.
Sconsolata ritorno dai miei amici e insieme decidiamo di riprovare stasera. Con l’animo in
ansia non riusciamo a trovare niente da fare per poter passare il tempo, camminiamo in sù
e giù per la stanza come leoni in gabbia, vorremmo che le ore passassero in fretta,
cerchiamo anche di inventarci giochi con fogli e penna, ma niente ci dà pace. Le donne ci
guardano preoccupate, parlottano un pò fra loro, ci riguardano e poi si rimettono nella loro
posizione abituale con lo sguardo in avanti.
Finalmente arriva l’ora della tisana e, con lo stesso stratagemma della sera prima, non la
beviamo. Restiamo in silenzio ad occhi chiusi e, non appena rimasti soli, ci alziamo e
piano piano usciamo.
C’è molto buio stasera, non ci sono le tante torce accese in lontananza e non si sente
cantare. Camminiamo chini cercando di fare meno rumore possibile, ma anche il semplice
respiro sembra rimbombare in quel silenzio. Almeno sapessimo dove andare, stiamo
vagando alla cieca, senza capire come uscire da quelle strette vie sterrate. Arriviamo alla
fine di un muretto e tutto ad un tratto ecco improvvisa la luce, chiudiamo gli occhi, ci
stringiamo vicini l’un l’altra e poi piano piano li riapriamo.
Siamo circondati da tutte le persone del villaggio, ognuna con una torcia accesa in mano
che ci guardano come ci stessero aspettando. Noi ci alziamo intimoriti senza vedere una
via d’uscita. All’improvviso mi tornano in mente le storie che ho letto sui sacrifici umani dei
Maya e in special modo i sacrifici dei prigionieri, mi stringo ai miei amici e comincio a
balbettare.
– Adesso ci uccidono! Adesso ci sacrificano a qualche loro Dio!
– Silencio, silencio! – mormora Chaac impaurito, poi si avvicinano tre uomini, ci prendono e
ci riportano nella nostra stanza.
Noi ci divincoliamo, ma è inutile nelle loro mani che sembrano tenaglie.
Subito dopo che siamo entrati arriva Juan. Io lo guardo torva e arrabbiata.
– Vogliamo andare via! – urlo cominciando a piangere.
– Non vogliamo più stare qui prigionieri!
– Cosa volete?
– Non vi abbiamo fatto niente!
– Non sappiamo nemmeno dove ci troviamo…..
– Ssst, tranquilli – risponde Juan – tranquilli, adesso dormite e domani mattina parliamo
insieme e vedrete che troveremo una soluzione. Ma adesso è l’ora di dormire e di non
pensare più a scappare, perchè tanto sarebbe inutile, non trovereste mai la strada per
uscire da quà. Rimango qui con voi a farvi compagnia ma sia chiaro che adesso non
risponderò a nessuna domanda.
Ci calmiamo e ci stendiamo sui giacigli. Ma fatichiamo a prendere sonno ed è tutto un
rigirarsi, un pò per la paura e un pò per lo stato d’animo in cui ci troviamo. Juan dà un
ordine e subito dopo entra la donna con le tisane.
– Volete berle oppure no? Lascio a voi la scelta.
Ci guardiamo e facciamo cenno di si, meglio bere e dormire fino a domani mattina che
stare a rigirarsi tutta la notte.
Al nostro risveglio Juan è già lì e dopo aver fatto colazione ci fa cenno di seguirlo.
Alla luce del sole ci accorgiamo che ci sono altre stanze attaccate alla nostra, alcune
scavate interamente nella montagna che ci sovrasta, altre per metà e l’altra metà costruita
in pietra. Mi rendo conto che sono case e ce ne sono parecchie. Poi guardo tutti quei
muretti e vedo che sono le recinzioni di orti.
Juan mi guarda e sorride:
– Così ci siamo accorti che siete usciti, perchè avete distrutto gran parte del seminato.
– Ci dispiace – mormoriamo in coro perchè, non so come, ma capiamo che abbiamo
distrutto qualcosa che è molto importante per loro.
Camminiamo e ci ritroviamo in una specie di piazza ai piedi del monumento che avevamo
visto. Il monumento è simile alle piramidi che ci sono nei siti archeologici, ma non così
grande.
Ci fermiamo e ci mettiamo seduti con Juan davanti a noi, che ci guarda e sembra non
sappia come incominciare a parlare.
-Vedete, questa è una situazione particolare. E’ la prima volta che persone esterne
arrivano qui. Ne avevamo parlato durante vari consigli, ma avevamo sempre finito col dire
di affrontare la situazione quando si sarebbe presentata. Ora si è presentata e dobbiamo
trovare una soluzione al più presto.
– Ma scusa, dove siamo?
– Questo è l’ultimo villaggio Maya, dove viene parlata la lingua antica. In poche parole
queste trecento persone custodiscono le tradizioni, la medicina, le usanze Maya. Quello
che avete visto due sere fa era una cerimonia, un rito per propiziare la pioggia.
Chaac, a questo punto si fa piccino piccino.
– Non temere Chaac, non ti faremo alcun male, anche se porti il nome del dio della
pioggia. Anzi quando siete arrivati e ho sentito che ti chiamavi Chaac, mi è sembrata
quasi una benedizione.
– Ma tu parli più lingue, perciò devi essere andato fuori per impararle.
– Si, parlo diverse lingue che ho imparato fuori. Ho viaggiato molto, ho visitato molti musei
dove ci sono reperti Maya, ho partecipato a molti convegni sulla civiltà Maya. Ma sempre
da spettatore. Mi divertivo a stare a sentire tutto quello che veniva detto, a volte vero e a
volte un pò meno.
– Hai conosciuto la mia mamma?
– Si, l’ho conosciuta in Italia molti anni fa durante la mostra a Venezia. Era laureata da
poco e ricordo che aveva un entusiasmo incredibile, tanto che pensai “se viene in
Messico ci trova subito” .
– E invece no, non è mai venuta in Messico, perchè sono arrivata io e ho frenato molto la
sua carriera.
– Si, ma adesso è venuta con te e tu ci hai trovati.
– Ma per sbaglio, senza volere. Come facevamo a sapere che nella grotta dietro la cascata
c’era un passaggio segreto! A proposito c’è solo quello o ce ne sono altri?
– Ce ne sono altri, ma tutti ben nascosti. Ci eravamo accorti che quello della cascata era
pericoloso, ma adesso è stato sistemato e non potrà più provocare incidenti simili. E
sono stati ricontrollati anche gli altri.
Adesso siamo molto più tranquilli e le domande cominciano a venire spontanee.
– Ma qualcuno può arrivare lassù in alto e vedervi?
– No, prima cosa è impossibile che qualcuno arrivi lassù, ma se anche fosse non ci
potrebbe vedere, perchè questi alberi così alti ci coprono benissimo e nessuno da lassù
potrebbe distinguere delle persone.
– Qualcuno potrebbe vedere il fuoco acceso delle torce.
– Se fosse lassù forse sì, ma poi non potrebbe mai capire come fare ad arrivare qui.
– Ma solo tu esci o anche qualcun altro?
– Ci sono altre persone che escono come me, anche se solo io mi sposto molto lontano e
lo posso fare grazie ad un lavoro esterno. Gli altri lavorano come guide e questo
permette loro di non portare mai nessuno vicino ai passaggi e di verificare sempre la
loro perfetta mimetizzazione. Ed essendo guide partecipano alle riunioni per fare i
programmi, per stabilire i percorsi e ciò permette loro di tenere i turisti e i locali ben
lontani.
– Ma nessuno di coloro che stanno qui vuole andare via?
– Si certo, se qualcuno vuole andare via, può andare mantenendo il nostro segreto. Infatti
molte persone, per lo più giovani sono andati via, ma sanno di far parte di un qualcosa di
unico e mai metterebbero a repentaglio il nostro villaggio. Poi possono tornare quando
vogliono, se non trovano fuori quello che pensavano di trovare e rimangono delusi
dall’esterno.
– E per gli abiti come fate?
– Avete notato come la stoffa è grezza e ruvida. Ricaviamo la lana dagli animali e la
tessiamo come facevano i nostri antenati. Avete notato come ci sono simboli diversi?
Beh ogni simbolo ha il suo significato o etnico o religioso. Molte persone che sono uscite
continuano in queste tradizioni. Senz’altro voi due che siete di qui lo sapete che ci sono
molti gruppi che si definiscono discendenti dei Maya ed in realtà lo sono. In molti di
questi gruppi ci sono persone che vengono da qui e contribuiscono a far rispettare la
natura, che per noi è molto importante. E‘ nostra tradizione chiedere il permesso alla
natura per raccogliere quello di cui abbiamo bisogno e raccogliamo solo quello che ci
serve, niente di più. Prima avevate paura dei sacrifici. Si purtroppo questi venivano fatti
in onore degli dei per propiziare o la raccolta, o la semina, o la pioggia oppure
semplicemente la rinascita del sole. Immaginatevi il sole che alla sera viene inghiottito
dalla terra, la paura che il sole non rinascesse più. Adesso lo sappiamo bene che il sole
sorgerà ogni mattina, ma in quel tempo lontano no, non era una certezza.
– Avete un re che vi governa?
– Si, diciamo di si, ma non è un re vero e proprio. E‘ qualcuno in cui le persone hanno
fiducia, a cui si rivolgono per avere un consiglio e per trovare insieme una soluzione.
Diciamo che è un capogruppo, con cui discutere dei vari problemi del villaggio quando si
presentano….
– Noi siamo uno di questi problemi?
– Si, siete uno di questi problemi. Ma, state tranquilli, lo risolveremo al più presto. Dovete
capire le persone più anziane. Loro hanno paura, paura di perdere la loro storia, la loro
vita, le loro tradizioni. Loro si sentono privilegiati di essere gli ultimi discendenti del
popolo Maya, conservano gli antichi scritti con amore e devozione e mai vorrebbero
vederli finire in qualche museo. E come per gli scritti anche per tutti gli oggetti antichi
conservati gelosamente. Alcune cose che ci sono qui sarebbero per il mondo esterno i
tasselli mancanti al vostro sapere sul nostro popolo, ma è meglio così, meglio che il
mondo rimanga con quello che ha e che troverà ancora con altri scavi, ma certamente
non saprà mai tutta la verità su di noi, perchè noi vogliamo così.
– Hai detto che il nostro problema sarà risolto al più presto. Ma come? Ci lascerete
andare?
– Si, dobbiamo ancora sistemare qualcosa, ma poi vi lasceremo andare, anzi vi
accompagneremo fino all’uscita che vogliamo noi e state tranquilli che non riuscirete a
ritrovarla mai, perchè sarà molto lontano da qui. Comunque, questione di un paio di
giorni, poi partiremo e voi potrete riabbracciare i vostri genitori.
– Ci rimetterai nella nostra stanza?- urla Maya già preoccupata di dover passare ancora
del tempo racchiusa fra quelle quattro pareti.
– No, quella rimane sempre la vostra stanza dove dormire, ma poi potete andare dove
volete, ma non vicino alla piramide, mi raccomando non là, perchè è un luogo sacro e
come tale deve essere rispettato. Via andate! Fra poco è ora di pranzo e sarete portati in
una casa a mangiare insieme ad una famiglia. Così potrete vedere come si svolge la
nostra vita.
Ci incamminiamo tutti insieme, poi Juan si ferma guarda una donna e lei ci fa cenno di
seguirla. Entriamo in una casa molto semplice, ci sono anche due bambini piccoli. La
donna ci fa mettere seduti su delle stuoie e comincia ad impastare farina gialla di mais con
acqua e pizzichi di erbe. Fa un pane che schiaccia con le mani e lo mette sul fuoco in una
specie di padella. Non appena cotto lo serve con le ciotole di zuppa di mais.
Siamo solo noi a mangiare, mentre tutta la famiglia ci guarda sorridendo. E anche se tutti
quegli sguardi addosso ci mettono un pò a disagio, finiamo contenti il nostro pranzo. Ci
alziamo, ringraziamo e usciamo. Parlottiamo fra di noi:
– Avranno capito che li abbiamo ringraziati?
– Perchè loro non hanno mangiato?
– Avranno dato le loro poche cose da mangiare a noi?
– Sarà rimasto qualcosa anche per loro e i bambini?
– Lo chiederemo a Juan quando lo rivedremo, intanto che facciamo adesso? Lui ha detto
che possiamo andare dove vogliamo. Su forza c’è tanto da vedere qui. Sentite questo
rumore? Andiamo a vedere cos’è!
Entriamo in una casa e vediamo due donne davanti a telai rudimentali che tessono la
stoffa. Loro sorridono e continuano il loro lavoro. Noi restiamo affascinati dai colori e dai
disegni che piano piano si compongono. Con la testa ci indicano pezzi di stoffa ripiegati
per terra. Li allarghiamo e ci divertiamo a riconoscere quell’animale o quel fiore. Poi io e
Maya ce li drappeggiamo addosso come tuniche e facciamo finta di essere delle modelle
ad una sfilata. Chaac ci guarda scuotendo la testa, ma poi si mette a ridere e a battere le
mani soddisfatto.
Usciamo dopo un pò e continuiamo la nostra esplorazione.
Troviamo la casa delle stoviglie dove un vecchio modella una specie di fango a mo’ di
ciotole, quella più larga, quella più stretta, quella più alta, insomma forme di vario genere
che servono per varie cose. E poichè c’è un forno lì vicino, lo sentiamo dal profumo, ci
avviciniamo e troviamo donne intente a cuocere quei pani schiacciati, come abbiamo visto
fare nella casa dove abbiamo pranzato, solo che questi sono un pò più grossi. Mentre
siamo affascinati da questo spettacolo ci raggiunge Juan e senza che noi domandiamo
niente ci spiega che ogni famiglia cuoce in casa il proprio pane, ma questo serve per le
persone anziane e per quelli che non sono più in grado di provvedere a se stessi e anche
per le famiglie stesse, insomma serve per tutti quelli che ne vogliono usufruire.
Con lui andiamo sotto una tettoia dove ci sono due donne intente a preparare collane e
altri monili. Senza dire niente ci fanno cenno di avvicinarci e ci mettono al collo una collana
fatta con piccole conchiglie, uguale a quelle che ognuno di loro porta e uguale a quelle
che io ho visto dipinte sui muri del Tempio al sito archeologico.
Andiamo anche in un posto dove ci sono tanti tipi di piante secche e Juan ci spiega che
queste sono foglie, radici, fiori essiccati di particolari piante che servono a curare le
malattie.
– Voi le avete provate, alcune servono per calmare il dolore, altre per cicatrizzare le ferite,
e altre ancora per esempio per dormire.
Lo dice con una punta d’ironia.
– Sì, le conosciamo bene. – rispondiamo anche noi ridendo.
Ce ne sono tantissime, le elenca e le sfiora con dolcezza, forse perchè sa che la salute di
questa gente dipende da loro, dalla loro efficacia.
Passiamo dei giorni meravigliosi, tutti ci vogliono bene, tutti vogliono regalarci qualcosa.
Noi accettiamo ben sapendo che la maggior parte di queste cose rimarrà poi qui, perchè
sarà fisicamente impossibile portarle via, ma siamo contenti lo stesso perchè ci sentiamo
parte di questa comunità.
Poi purtroppo arriva il giorno della partenza, tutti vengono a salutarci e il nostro cuore è
gonfio di sofferenza, ma dobbiamo andare, tutti lo sapevamo che quest’avventura doveva
prima o poi finire.
Ci lasciamo alle spalle il villaggio con tanta tristezza nel cuore, perchè sappiamo che è
qualcosa di unico e non ritroveremo mai da nessuna altra parte una comunità così
affiatata. Ci dirigiamo verso una boscaglia più fitta ed entriamo poi in una grotta, all’inizio
abbastanza stretta ma poi via via si allarga e con la luce delle torce vedo che non ci sono
ciottoli, nè sassi, ma la terra è ben battuta e ci permette di camminare speditamente.
Perciò penso che sia un entrata od uscita molto usata e per questa ragione tenuta così
bene. Juan leggendo nei miei pensieri mi spiega che questa è la via principale appunto
per chi esce o per chi entra di loro. Ci sono anche altre uscite, ma erano state fatte per
l’emergenza e non vengono mai usate se non per verificare la solidità dei passaggi
segreti.
– Quella che avete percorso voi arrivando qui – ci dice – è una di queste. Comunque il
fiume che avete trovato è lo stesso di quello che andiamo a prendere ora, poichè da
dove vi abbiamo tirato fuori, entra nella terra per riaffiorare un pò più avanti, proprio dove
stiamo andando adesso.
– Ma come avete fatto a trovarci? Se quella è un’uscita che raramente usate?
– Vedi noi che viviamo qui, non abbiamo molti suoni che ci distraggono. I suoni che
sentiamo sono quelli degli animali, sono quelli della comunità. Perciò basta un suono
diverso per mettere tutti in allarme e poi ci sono degli accorgimenti, che non posso
rivelarvi, che ci permettono di sentire voci e suoni estranei con molto anticipo in modo da
poter fronteggiare bene il rischio.
– Avete sentito anche noi in anticipo? Avete sentito le nostre urla quando l’acqua ci ha
trascinati via?
– Si, senz’altro, ma nel vostro caso sapevamo già da che parte sareste arrivati. Perchè le
notizie del mondo esterno, quando possono interessare la nostra comunità, le sappiamo
subito anche noi. Perciò visto il luogo da dove eravate scomparsi, non potevate che
arrivare da là e così abbiamo avuto una ragione in più per stare all’erta e per venirvi
incontro così da tirarvi fuori dall’acqua il prima possibile.
Rimango zitta, lo guardo e faccio di sì con la testa, poi guardando i miei amici mi accorgo
che anche loro sono commossi e tutti e tre restiamo in silenzio e continuiamo a
camminare.
Sentiamo il rumore del fiume e ci prende un pò d’angoscia ripensando a quando siamo
arrivati. Ma questo è un rumore lento e costante che ci accompagna piacevolmente.
Infine arriviamo alla riva e ci accorgiamo che è proprio un fiume. Ci sono canoe piccole e
grandi e penso che è con queste che andremo via. Infatti vengono preparate con coperte
e viveri. Juan ci dice che lui ci accompagnerà fino all’uscita che è molto lontana da qui,
addirittura qualche giorno, ma il più del percorso lo faremo sulla canoa, ci fermeremo solo
per mangiare e per dormire.
Così le canoe sono pronte, noi saliamo su quelle a due posti, cioè uno di noi e un uomo
del villaggio, che poi le riporterà indietro, mentre Juan è su una canoa ad un posto, quella
che poi gli servirà appunto per ritornare.
Salutiamo gli altri del villaggio che ci abbracciano anche loro commossi e finalmente
diciamo:
– Mahah-loh ha teehch yehtehl ootsea! – che vuol dire “ciao” in lingua antica Maya e tante
volte diciamo:
– Nata boo ooh Lahl! che vuol dire “GRAZIE”.
E loro lo sanno che questo nostro grazie è per averci salvato, per averci sfamato, e per
averci vestito. E’ un grazie per averci reso partecipi della loro vita senza chiedere niente in
cambio, per averci donato la possibilità di vivere come loro, anche se per poco, e per
averci fatto il regalo più grande che si possa fare: ci hanno donato il sapere e il modo in
cui questo sapere ci potrà fare da scudo nel momento del bisogno.
Abbiamo imparato a guardare il sole, le nuvole, il cielo, gli insetti, gli uccelli, le stelle.
Abbiamo imparato a guardare tutte queste cose, che per noi erano normalità di ogni
giorno, con occhi diversi, con amore e con riverenza, perchè da loro dipende tutta la
nostra vita.
Partiamo, ci sono molte lacrime sui volti di ognuno, e solo in questo momento ci rendiamo
conto di quanto ci hanno voluto bene e di quanto è difficile anche per loro lasciarci andare.

CAPITOLO 4
Scivoliamo sull’acqua dolcemente, solo in alcuni punti la corrente è un pò più forte o ci
sono delle piccole rapide, ma loro sanno come gestirle e tutto procede liscio senza intoppi.
Ci fermiamo a mangiare e a dormire, questo per tre giorni, poi il quarto giorno arriviamo in
un punto dove vediamo altre due canoe. Juan ci dice che siamo arrivati, che le canoe non
possono più andare oltre. E le due canoe che ci sono lì ferme servono a chi è fuori in
questo momento per ritornare al villaggio. Certamente tornare indietro è più dura e alcuni
tratti li devono fare con la canoa sulla testa, comunque sanno come fare ormai è insito nel
loro gene, come diceva mamma quando parlavamo di famiglie in cui tutti i discendenti
sono dottori, oppure farmacisti, oppure ciabattini: ce l’hanno nel sangue!
-Ci sono anche altri passaggi, come vi avevo detto, ma molto lontani da qui. – precisa
ancora una volta Juan.
Salutiamo i nostri accompagnatori e cominciamo a camminare. Qui la terra non è battuta
ma con le torce accese vediamo benissimo. Il problema è il carico che abbiamo addosso
fra coperta e cibo. Ma è tanta la voglia di uscire da questo buio, di ritrovare il sole e i nostri
genitori che anche la fatica si dimezza.
Per tre giorni camminiamo al punto che i miei piedi mi sembrano blocchi di cemento da
come li sento pesanti. Le spalle mi fanno male e non vedo l’ora di togliere questa sacca
che ci hanno dato tutte le volte che ci fermiamo a bere o a mangiare.
Sono proprio arrivata alla fine della mia resistenza e, come me, anche i miei amici. Juan
no, lui va spedito, non sembra nemmeno toccato dalla fatica, come se finora non avesse
fatto niente. Lui ci guarda e ci dice che abbiamo ancora poco per uscire e che quando
usciremo alla luce del sole, ci farà riposare tutto il tempo necessario. Speriamo perchè io
non ne posso più di camminare, ma più che altro non ne posso più di questo buio. Ho
bisogno di luce, luce, luce, ho bisogno di sentire rumori diversi dal solito calpestio dei
piedi .
Poi improvvisamente arriviamo a dei sassi che ostruiscono il passaggio.
– Forza – ci dice Juan – aiutatemi a spostarli.
Lo aiutiamo e una volta passati cerchiamo di rimettere tutto al loro posto.
– Non importa che il lavoro sia fatto perfettamente, tanto ripasserò di qui, perciò ci penserò
io dopo.
Quel dopo mi lascia felice perchè capisco che siamo veramente alla fine del viaggio, ma
mi sconvolge anche perchè capisco che non rivedrò più Juan e so che mi mancherà
molto.
Piano piano mi avvicino a lui e cerco la sua mano, lo guardo continuando a camminare e
non dico niente perchè le lacrime sono lì, pronte a sgorgare non appena decidessi di
aprire bocca. Lui mi stringe la mano come a dire che ha compreso tutto quello che il mio
cuore vorrebbe urlare e mi guarda sorridendo.
Ci ritroviamo in una grotta non molto grande e, invece di dirigerci verso un cunicolo
stretto , ci dirigiamo verso una parete dove ci sono dei massi. Lui sale sopra alcuni di
essi, facendoci segno di aspettare, tocca qualcosa o fa qualcosa, non ho visto bene, poi
salta giù, si sposta un pò e fa qualche altra manovra dietro altri massi ed improvvisamente
tira un masso con le mani e questo, come per magia, si apre. Lo spazio è abbastanza
sufficiente per passare e finalmente siamo alla luce. Lui richiude subito l’uscita e quando
ha finito non riuscirei mai a dire da quale masso siamo veramente passati. Siamo in un
intrico di rami a non finire, non c’è sentiero, io non vedo niente che mi possa dare
un’indicazione verso cui dirigerci. Ma Juan lo sa bene dove andare e ci dice di fare come
lui cercando di rompere meno rami possibile, perchè anche se il nascondiglio è ben
protetto, non dobbiamo assolutamente lasciare tracce del nostro passaggio.
Sento che il tempo stringe e ho un’ultima domanda da fare a Juan , anzi due, ma non
trovo le parole perchè ho paura di sembrare sciocca. Così continuo a camminare. Sento
che lui mi guarda ma non dice niente. Adesso siamo arrivati vicino agli alberi, ce ne sono
tanti sotto di noi, poi improvvisamente si ferma e ci dice di guardare alle nostre spalle. Ci
voltiamo e rimaniamo senza parole.
– E’ un vulcano?
– Siamo alle pendici di un vulcano?
– Ma se quello è veramente un vulcano, qual’è?
– Calma, calma – risponde sorridendo al nostro coro di domande – sì, è un vulcano. Si
tratta del Vulcano Tajumulco.
– E dov’è? – chiedo perchè io non l’ho mai sentito nominare.
– Ma è in Guatemala! Ma siamo lontanissimi da casa! – urla Chaac con un senso di
angoscia.
– Si, hai ragione, siamo in Guatemala. Dovete capire che dovevo portarvi il più lontano
possibile. Comunque non preoccupatevi, perchè adesso seguirete questa direzione, poi
arriverete in un particolare posto, dove troverete altre indicazioni. Statene certi non
sbaglierete, perchè tutto il percorso che dovete fare vi sarà segnalato adeguatamente. Ci
sono uomini del villaggio, quelli che vivono e lavorano fuori, che vi seguiranno ma non si
faranno vedere. Voi non vi accorgerete della loro presenza, ma le loro indicazioni
segnate vi porteranno poi su una strada dove senz’altro troverete un aiuto, anzi è stato
fatto tutto affinchè lo troviate. Perciò non dovete assolutamente avere alcun timore.
– Ma non avete paura che noi si possa raccontare tutto e farvi scoprire?
– Elena guarda adesso dietro di te. Sapresti ritornare indietro e dire esattamente da dove
siamo usciti?
Io guardo ed effettivamente è così, non saprei nemmeno dire tra quali alberi siamo
passati.
– E poi adesso mentre scendiamo ancora dobbiamo parlare di alcune cose. Anzi siccome
è ora di pranzo, ci fermiamo qui e dopo aver mangiato qualcosa vi parlerò.
Così ci fermiamo e buttiamo giù un pasto frugale perchè è rimasto ben poco di tutto quello
che avevamo portato dietro, ma non ci interessa perchè siamo così agitati che non
sentiamo nemmeno la fame.
Juan poi si mette comodo davanti a noi e ci dice:
– Potete raccontare tutto ai vostri genitori, perchè lo so, è impossibile non farlo. Ma dovete
fare in modo che tutto questo rimanga dentro i muri delle vostre case. Non vi chiedo
promesse, vi chiedo solo di non farlo per il bene del nostro villaggio. So che seguirete il
mio consiglio perchè ormai vi conosco e penso di conoscere anche le vostre famiglie e
so per certo che non tradirete mai la nostra fiducia. Devo dire che è la prima volta che
diamo tutta questa fiducia a persone estranee, ma ne sono convinto, è ben riposta.
Detto questo fa per alzarsi ma io lo fermo.
– Con quello che ci hai detto hai già risposto ad una mia domanda che era appunto se
potevo raccontare tutto questo ai miei genitori, ma ho un’altra domanda da farti. Ho un pò
di paura a fartela ma ora è arrivato il momento.
– Penso di sapere cosa vuoi chiedermi, comunque dimmi.
– Scusa, ma è vera la profezia dei Maya? E’ vero che il 21 dicembre prossimo sarà la fine
del mondo?
Si mette a ridere e poi risponde:
– No che non è vero. Però è vera una cosa, gli abitanti della terra devono cambiare,
devono capire che andando avanti così non è possibile. Tutto viene fatto recando gravi
danni a questa nostra terra, inquinamento, agricoltura forzata, taglio smisurato di foreste,
disastri ambientali, e tutto questo solo per il bene di pochi, ed io spero, ma ho paura che
solo un’utopia, che la data del 21 dicembre sia una data in cui verranno prese delle
sagge decisioni. Mi auguro che questa data permetta a tutti i governi della terra di
pensare al bene di tutti i popoli, che sia una data dopo la quale tutti si volti pagina e si
cominci veramente a fare qualcosa per questa nostra terra.
– Ecco, ho capito cosa studierò e cosa farò dopo gli studi. E sensibilizzerò anche le
persone a me vicine, mi batterò per l’ambiente, mi batterò per tutte le cose che ho
imparato vivendo in mezzo a voi.
– Anch’io – dice Chaac – e se tutti non faranno quello che dico, manderò la pioggia
incessante fino a quando tutti cambieranno, perchè io sono il dio della pioggia!
E inizia a danzare e a battersi le mani sul petto. Io e Maya cominciamo a ridere e a
prenderlo in giro e questo ci fa rompere un pò la tensione di questo momento, perchè
abbiamo capito che è l’ora di lasciarci, infatti Juan si è fermato, ci abbraccia ad uno ad uno
e ci saluta.
Noi facciamo qualche passo avanti e poi ci voltiamo indietro a guardarlo, ricominciamo a
camminare e poi correndo io torno da lui, gli salto al collo e vicino all’orecchio gli dico
piano piano:
– Tu non ci hai detto niente, ma io ho capito che tu sei il re Maya!
Poi sempre correndo ritorno dai miei amici, mi volto verso di lui che scuotendo la testa
sorride e mi dice:
– Ciao splendore del sole!
– Oh, lo so cosa vuol dire il mio nome! – rispondo – quello che vorrei invece sapere è il tuo
vero nome!
– Juan, il mio nome è Juan!!!
– Non ti credo, ma va bene così. Addio Juan!
Camminiamo speditamente, adesso ci ha preso la fretta di tornare a casa. Troviamo tutti i
segnali come ci aveva detto. Stiamo scendendo, scendendo rapidamente. Arrivati in una
radura vediamo una jeep che si avvicina, il guidatore fa cenno di salire e via partiamo,
attraverso piste che sono tutto fuorchè strade. Siamo sballottati a causa di sassi, di buche,
di avvallamenti del terreno, ma non ci importa, sappiamo che questa jeep ci porterà in un
posto sicuro dal quale partiremo per Bonampak.
Dopo un viaggio infinito arriviamo in un paese, cambiamo jeep e via ancora riprendiamo la
strada, che però adesso è vera strada, ci addormentiamo e quando ci svegliamo, ci
rendiamo conto di essere in Messico. Siamo in una grande cittadina, ci sono agenti di
polizia o qualcosa di simile, che fanno domande al nostro accompagnatore.
Sentiamo che lui risponde di averci incontrato li vicino e siccome, aveva sentito alla
televisione, della scomparsa di tre adolescenti, appena ci ha visto ha capito che
dovevamo essere noi, e perciò ci ha portato qui.
Noi ci scambiamo uno sguardo d’intesa e non appena ci fanno scendere, cominciamo a
parlare tutti insieme, che abbiamo tanta fame, che abbiamo tanto sonno, che vogliamo i
nostri genitori, io urlo in italiano, i miei amici urlano in messicano nel dialetto del loro
villaggio. Facciamo una tale confusione che ci portano dentro la caserma e ci mettono in
una stanza, dove ci sono molte sedie. Appena soli, di comune accordo, accostiamo un po’
si sedie e ci sdraiamo facendo finta di dormire. Non vogliamo parlare con nessuno,
vogliamo solo i nostri genitori.
E così il giorno dopo finalmente arrivano a prenderci. Mamma appena mi vede mi
abbraccia piangendo, dicendo che ha avuto tanta paura di avermi persa, io la rassicuro
che sto bene e così anche i miei amici con i loro genitori. Insomma siamo solo tre
ragazzini che si sono smarriti e vagando vagando si sono ritrovati qui vicino. Nient’altro e
niente di più.
– Ma dove siete stati? Cosa avete mangiato?
– Abbiamo camminato tanto, abbiamo trovato qualche piccolo villaggio che ci ha rifocillati e
poi fortunatamente abbiamo trovato quel signore con la jeep. Nient’altro.
Mamma mi guarda perplessa, ma poi accetta tutto questo dicendo che fortunatamente è
finito tutto bene, ringrazia tutti e partiamo per Bonampak.
E un viaggio fatto di sguardi, di domande non fatte, ma più che altro di abbracci. Io mi
sono messa fra la mamma e il babbo. Poi abbraccio la mamma e le sussurro all’orecchio :
– Che buon odore hai, sai di mamma!
Lei mi guarda un pò di traverso e mi risponde piano:
– Anche tu hai un buon odore. Strano per essere stata quasi tre settimane a giro, senza
lavarti e queste collanine? Ve le siete fatte da voi? Avete avuto anche questo tempo? Voi
non l’avete raccontata giusta!
– Oh! Mamma, appena arriviamo ti racconterò tutto, ma ora per piacere stai zitta e fatti
abbracciare.
Mi stringe forte e mi sorride e sempre sorridendo guarda il babbo, che mi accarezza i
capelli.
Siamo arrivati, in due giorni prepariamo i bagagli e siamo pronti a partire per l’Italia.
Ancora io non ho detto niente, aspetto di essere a casa, a casa nostra, qui non mi sento
sicura a parlare. Saluto i miei amici, sappiamo tutti e tre che non dimenticheremo mai la
nostra avventura, ci scambiamo indirizzi e promesse di scriverci, di tenerci in contatto e di
rivederci fra qualche anno. Ma sappiamo che nelle nostre lettere non ci sarà mai un
riferimento a quello che ci è capitato, non ne parleremo più.
Arrivati a casa, chiudo tutte porte e le finestre, andiamo nel soggiorno, ci mettiamo comodi
sul divano e io comincio a raccontare tutta la nostra avventura. Rido, piango, dico che ho
tanta nostalgia di loro.
Mamma mi abbraccia forte e mi dice:
-Tu hai vissuto un’esperienza indimenticabile, fanne tesoro, bambina mia, rimani sempre
fedele ai tuoi principi anche quando crescerai, anche quando la vita ti chiederà di
calpestarli, non rinunciare mai ad essi e per essi lotta, lotta finchè puoi.
Abbraccio la mamma forte forte e piano piano dico:
– Te lo prometto!