Stefano Zenni, direttore artistico del Metastasio Jazz, è un’enciclopedia con la barba e gli occhiali. Domani sera inizia la ventesima rassegna Jazz del teatro pratese, che vanta grandi collaborazioni – in primis quella con la Camerata Strumentale Città di Prato al Politeama col progetto “Rava on the road” – e nomi importanti fotografare la scena jazz e le sue continue evoluzioni.

Ecco l’intervista che abbiamo realizzato a Zenni.

Metastasio Jazz arriva all’edizione numero venti. Quando è iniziata la tua esperienza in questa rassegna.

Sono arrivato al Metastasio nel 1998, tra l’altro facendo una mostra alla Lazzerini sui materiali storici del jazz al Metastasio, come quella che abbiamo organizzato al teatro per l’inizio della nuova rassegna. Io venivo a Prato chiamato da Andrea Melani, che fu direttore artistico nelle prime 2 edizioni, per fare le conferenze della domenica mattina, all’epoca le conferenze avevano un trio che si alternava a quello che parlava. Il trio era composto da Bollani, Licusati e Melani. Dopo due anni ho conosciuto mia moglie a Prato, e di lì a poco mi è stato chiesto di prendere in mano la programmazione perché Andrea non aveva più tempo perché voleva suonare a giro.

Quindi la tua direzione artistica raggiunge la maggiore età. Un bilancio di questa rassegna in questi anni?

In generale direi molto positivo: a partire dalla terza edizione diretta da me, dalla fine degli anni 90 inizi 2000, Metastasio jazz si è imposto gradualmente ma in maniera decisa come una una delle rassegne chiave del jazz in Italia. E’ passata da essere una piccola rassegna di respiro provinciale, a una che ha prodotto dischi, concerti, mostre, seminari. Ha fatto conoscere musicisti che oggi vincono il Top Jazz come Steve Lehman, che noi abbiamo portato per la prima volta in Italia.
E’ chiaro che la crisi ha colpito duro il teatro e la rassegna, che di conseguenza ha portato quindi anche una crisi di pubblico. Però nella penultima edizione e anche in questa, ci sono già dei segnali sia da parte del teatro con investimenti maggiori, ma anche di ripresa di interesse del pubblico: l’anno scorso abbiamo aumentato gli abbonati. Mi sembra che sia finita la china e si stia risalendo, insomma.

La rassegna 2015. Descrivicela in breve.

Grande evento d’apertura Rava on the road che vede per la prima volta la Camerata Strumentale Città di Prato e Fondazione Teatro Metastasio: potremo ascoltare al teatro Politeama, il quintetto di Rava con la Camerata in questa scrittura molto affascinante, ispirata al libro di Jack Kerouac, un lavoro concertante, in cui il quintetto jazz dialoga in maniera sontuosa e trascinante con l’orchestra sinfonica.
Poi ci sono tre concerti del lunedì sera, tutti legati alla scena del jazz contemporaneo e tutti organizzati in collaborazione con enti importanti. Il nuovo gruppo del Craig Taborn, uno dei maggiori pianisti contemporanei. Un gruppo giovanile al Fabbricone, gli On dog, uno spaccato che rende l’idea di dove stanno andando i giovani musicisti italiani jazz, una direzione di collaborazione europea: questo infatti è un gruppo italo-danese, si sente molto l’influenza di Tim Berne, Steve Coleman, ritmi funky, energia molto spinta. Il concerto di chiusura è con un nome più popolare: Ravi Coltrane, un miracolo di musicista. Un uomo che porta un cognome così ingombrante, ma che riesce a raggiungere una completa autonomia espressiva a prescindere dall’identità del padre. Uno dei musicisti di punta del jazz contemporaneo.
E poi gli appuntamenti della domenica mattina alla scuola verdi, tra i quali mi preme sottolineare quello con Fabrizio Puglisi che suonerà in piano solo, uno dei maggiori pianisti italiani: ai 100 anni dalla nascita di Billy Strayhorn, braccio destro di Ellington.

Il futuro di questa rassegna come te lo immagini? Chi vorresti chiamare a suonare al Metastasio Jazz 2016?

Più che chi invitare, punterei a continuare la mescolanza dei linguaggi, la musica, ma anche cinema, danza, pittura. Mi piacerebbe offrire ancora di più uno spaccato anti accademico della realtà musicale oggi nel jazz: ogni tanto senti questi fremiti conservatori per cui il jazz sarebbe solo quella cosa lì, invece il jazz è una musica che cambia, non spesso coincide col suo nome e diventa altre cose.