Caparezza è un piacevole mistero. E’ nato ibrido, ma non nel senso di non essere né carne né pesce, ma di essere carne e pesce allo stesso tempo. Pane e companatico. Cultura alta e cultura bassa. Con un’ampia dose di ironia, di autoironia (cosa più unica che rara dalle nostre parti, dove prendersi sul serio è lo sport nazionale più praticato). Non è un cantautore ma vince il premio Tenco (e d’altra parte nel suo ultimo disco – e anche in quelli prima – ci sono più idee che in discografie intere di blasonati nuovi cantautori). Non è un rapper tout-court ma le parole che ti spara in un pezzo hanno un lessico, un ritmo, un flow che i maestri cerimonieri delle nostre parti si sognano. E poi, è colto, ma non te lo fa pesare. Ti fa ridere. Ti fa ballare. Ti fa pensare. Ti sorprende di sbieco con concetti astratti – o fin troppo concreti – mentre sei lì che batti il piedino. Musicalmente è vorace, spazia dalla taranta al rock con disinvoltura zappiana, ma senza quel retrogusto da come sono bravo. Fa i dischi a tema. Fa gli spettacoli a tema. E riempie Piazza del Duomo.

Il concerto di Caparezza di ieri sera – ancora una volta in una Piazza del Duomo gremita, a testimoniare che i pratesi (ma anche da tutta la Toscana, in realtà) gradiscono eccome quando gli si portano cose di qualità – era un orologio. Musicalmente e scenograficamente. I video rincorrevano scenografie mobili, gli ammennicoli teatrali di cui Caparezza si serviva a commento visivo delle canzoni erano centrati e spiazzanti e lui era assolutamente in palla.

Il tema dell’ultimo disco, “Museica”, è l’arte: si fa finta di entrare in un museo e si traccia un filo tra storia dell’arte, idee e teorie estetiche e l’assurdo dei giorni nostri. Il concerto non toglie, anzi, aggiunge. Aggiunge idee, siparietti, concetti. C’è chi ha detto che si è fatta più storia dell’arte ieri sera in Piazza del Duomo che in vent’anni di Pecci. Un’iperbole, ma di fatto in un concerto di uno i cui pezzi passano solitamente in radio è raro che si trattino argomenti in maniera sì leggera, ma niente affatto superficiale. E allora Van Gogh non era pazzo, il pazzo sei tu che stai in fissa col telefonino; Il critico d’arte che non dice cazzate, mai, nemmeno quando riconosce come vere le Teste di Modì fatte col Black&Decker (e ieri sera Fabio Luridiana, uno degli artefici della burla di trent’anni fa, era in piazza del Duomo); il lessico dadaista non è più assurdo degli anglicismi da telegiornale. E via così. Per quasi due ore di divertimento intelligente.
Non male per chi si dichiarava “fuori dai tunnel del divertimento”: un altro pezzo che non è mancato in scaletta, dopo un’assenza di qualche anno, uno di quei pezzi che tutti cantano ma che pochi hanno realmente capito.

Così come Vieni a ballare in Puglia: il tema tragico per eccellenza trattato senza retorica alcuna. Un pezzo realmente unico, nell’ambito della canzone italiana. Di solito su questi temi ci si piange, ci si incazza, non ci si costruisce un capolavoro di atroce ironia a suon di taranta. Chi riesce a farlo, è senza dubbio un grande autore. E Michele Salvemini, alias Caparezza, lo è. E ieri sera abbiamo avuto la conferma che oltre che essere una bella testa, è anche uno che ti fa uno spettacolo come raramente se ne vede. Più che uno showman, un consumato teatrante, che è molto di più e molto più raro. Applausi.

(Foto anteprima: Simone Ridi)