Firenze spara ì fochi quando arriva San Giovanni, noi si guardano e si dice ” l’eran meglio quegli altr’anni! – L. Pieraccioni

Io sono di Scandicci. Da piccolo non c’era il patrono, e non solo. Scandicci era una serie di palazzi nati durante il boom industriale. A Ferragosto era tutto serrato, i bar chiudevano presto, i giovani rimanevano nelle Case del Popolo e si fermava tutto anche il 24 giugno. C’era la Fiera, c’è ancora la Fiera. I nostri FOCHI, che poi erano i FOGHE, vista la concentrazione borbonica nella nostra riserva periferica, erano quelli della fine della Fiera. Noi si guardavano, ma ci sembravano un po’ inutili, perché non si sentivano i botti: si badava alla sostanza, abituati come eravamo a mettere i raudi nelle cabine del telefono o nei tombini. Se non c’era il botto, che ci fregava? Poi “misero”, come si dice, il patrono, San Zanobi, e ci emancipammo.

Tutti con le due ruote, adolescenti, ci addentrammo a vedere i fochi della città, quelli importanti. Quelli di Firenze. Una migrazione inutile, breve, per poi fare ritorno negli stessi giardini con lo stesso piglio di chi torna a casa dopo aver presenziato in agosto al battesimo della figlia della cugina della moglie. Un entusiasmo pari a quello del girone di ritorno della Fiorentina dello scorso anno.

I fuochi li ho visti spesso addirittura fermando il motorino in mezzo alla coda di Ponte Alla Vittoria: perché quello spettacolo è paragonabile per il fiorentino alla scena madre di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Tutti si muovono, ma quando iniziano, fermi tutti. Altro che Fatima.

Alcuni non tornano nemmeno a casa dopo il lavoro per prendere i posti migliori, che spesso equivale a prendersi in testa qualche pezzo di carta esploso sopra di loro. Tutti abbiamo un amico che ha casa ad un piano alto, e tutti abbiamo vissuto lo psicodramma di andare da lui per vederli bene, capendo nell’istante di partenza che l’esposizione del balcone allestito per l’evento dava sul lato di Firenze sbagliato.

Se per lo Scoppio del Carro, evento di cui ho già parlato paragonandolo ad una festa venezuelana dove un pandoro della Paluani prende vita, c’è l’ansia da presagio millenario (peraltro comprovata nei fatti), per i FOCHI l’atmosfera che si vive è quella da ricongiungimento con il mistico. Firenze vive in quel momento “l’apparizione”, con un rito consacrato che vuole nel finale lo scoppio più grande seguito spesso da un applauso liberatorio, stile atterraggio Ryanair.

E terminato lo spettacolo, puntuale come il “Vaia, vaia” al gol preso dalla Fiorentina, arriva il commento scontroso, laconico e ciancicato che vede il fiorentino criticare nell’ordine: allestimento dello show pirotecnico, durata dell’evento, gestione del traffico e della mobilità, amministrazione comunale, e visto che siamo a dirle tutte, che è giugno, campagna acquisti della Fiorentina.
A Firenze non ci va mai bene nulla, ma siamo sempre lì. Come i mariti burberi ma buoni, come i figli ribelli rimasti eternamente bambini. Io son di Scandicci, ma in questa pantomima esistenziale gigliata ci sguazzo. Guai a chi ce lo tocca, questo rito pagano a base di polvere da sparo e coloranti. La Firenze vera è anche questa.