Se mai scriverò un libro di memorie musicali, ammesso e non concesso che qualcuno ne senta il bisogno ed io trovi tempo e voglia di farlo, il titolo ce l’ho già.  “Ho visto i Verdena giocare a Monopoli”. Perché li ho visti davvero. Quando i Verdena registravano il loro primo disco, allo Studio Emme di Calenzano, sul finire degli anni 90 erano poco più che adolescenti, e a dire il vero sembravano anche molto più ragazzini di quanto lo fossero in realtà. Dimostravano meno dei loro 17-18 anni, anche se, di testa, erano già risoluti e determinati a spaccare il mondo. Avevano un manager onnipresente che li controllava a vista (forse convinto di aver trovato la gallina dalle uova d’oro) e alternavano le loro session pseudonirvaniche – fomentate incoraggiate e guidate da un Giorgio Canali assolutamente in palla come produttore – agli alberghi di Parco della Vittoria sul parquet dello studio. Perché stare settimane in studio – come si usava allora, quando i budget discografici erano ancora consistenti – comportava anche dei tempi morti lunghissimi. E allora, cosa fai? C’è chi si droga, e c’è chi gioca a Monopoli. I Verdena nel 1998, io l’ho visto cosa facevano. E il disco che ne venne fuori (il loro disco d’esordio, omonimo, che conteneva pezzi comeViba e Valvonauta) venne fuori proprio bene. Un piccolo gioiellino, magari acerbo – rispetto all’evoluzione del gruppo nei dischi successivi – e per certi tratti anche ingenuo, ma averne di dischi d’esordio così.

Più o meno nello stesso periodo in quello studio di Calenzano c’erano anche i Marlene Kuntz. Cristiano Godano registrò lì le voci del loro terzo disco Ho ucciso Paranoia non ricordo se un attimo prima o un attimo dopo le registrazioni dei Verdena. Era quello che io considero, tuttora, il loro disco più centrato, non incazzato quanto Il Vile né generazionale quanto Catartica, ma aveva al suo interno cose come L’Odio Migliore, il Lamento dello Sbronzo (troppo spesso dimenticata dal vivo, ritroveremo raramente un Godano così teatrale), Ineluttabile e Infinità, quella che io considero la Ballata dei Marlene Kuntz, con la maiuscola: evanescente e tangibile, spirituale e carnale allo stesso momento. Avevo in mente un altro titolo, per il libro che mai scriverò: “Ho visto Godano ridere”. E non è mica cosa da tutti, anche quella. Se lo racconto in giro, che Godano quando “fa il fagiano” (slang piemontese, credo, per “fare lo scemo”) ti fa sdraiare dal ridere, la gente mica ci crede, abituata a quell’immagine pubblica di posata, seria e profonda rockstar. Questa cosa non la vedrete mai su di un palco. Non la vedrete mai nella sua immagine pubblica, perché il frontman dei Marlene preferisce giocare e giostrarsi su altre qualità, altri temi, altri colori. Ma ve lo assicuro: Godano, quando è in vena, fa sdraiare dalle risate. E ride, egli stesso. Pensa te.

Verdena e Marlene Kuntz divideranno il palco di Piazza Duomo a Prato nella serata del 2 settembre prossimo, il secondo dei concerti del festival “Settembre – Prato è spettacolo”. Prima i Marlene Kuntz, poi i Verdena. Non so chi abbia deciso l’ordine delle uscite, se sia frutto di casualità o di accanita diplomazia tra i vari management. La decisione può essere opinabile, sotto qualunque aspetto la si voglia giudicare, quello storico, quello artistico e finanche quello prettamente numerico. Ma poco importa, si tratta di due signori concerti, chi suoni prima o dopo alla fine conta poco.  E’ chiaro, negli intenti, cosa faranno i Verdena: la scaletta pescherà solo ed esclusivamente dall’ultimo lavoro, Endkadenz volume 1 e 2, lavoro diviso in due album separati (per volere dell’etichetta, sottolineano i nostri) usciti nel gennaio e nell’agosto del 2015. Niente di più vecchio, niente di storico. E’ come se i 26 pezzi diEndkadenz avessero spazzato tutto quello che è stato fatto negli anni passati. Un disco che è di fatto una sintesi del suono Verdena degli ultimi dieci anni, che alterna momenti di grande fragore a momenti più acustici. Una scelta coraggiosa, anche controcorrente rispetto a quella che è l’economia consueta dello spettacolo dal vivo, che predilige i pezzi che il pubblico ha già negli orecchi da anni. Apprezziamo il coraggio e stiamo a vedere.

Quello che faranno i Marlene Kuntz è forse un po’ meno prevedibile. Di sicuro nella scaletta troveremo poco di Catartica: i nostri l’hanno eseguito dal vivo per intero per quasi un anno e mezzo in occasione dei vent’anni dalla pubblicazione, ed è giusto che ora faccia spazio ad altro. L’ultimo disco, Lunga Attesa, è forse il migliore da qualche anno (personalmente, lo considero il migliore da un decennio, almeno da Uno in poi), ed è giusto che sia ampiamente rappresentato. Però qualche tuffo nel passato viene concesso, e in questo giro di concerti ritornano in scaletta proprio alcuni pezzi da quell’Ho Ucciso Paranoia di cui parlavo prima e che non vedevano la loro esecuzione dal vivo da anni. Di nuovo, una giusta e fortunata scelta.

Insomma, quella del doppio concerto del 2 settembre rischia di essere un momento importante, per affinità e contrasto, per chi ama e apprezza il rock in italiano. Mi verrebbe da dire per il rock italiano stesso, ma ciò avverrebbe solo se decidessero, seduta stante, di fare un pezzo insieme. Ma non chiediamo troppo.

P.S. Si apprezzi che in questo articolo non ho usato l’aggettivo “sonico”.