Una realtà pratese all’interno del Nest, il festival sui centri di produzione artistica indipendente dedicato in questa prima edizione alla scena italiana. Si tratta di “Studio Corte 17“, l’associazione residente in via Genova.

Il festival fa parte del più ampio progetto NESXT, il network internazionale rivolto al panorama artistico no profit, tra associazioni, artist run space e collettivi: un ambito poco esplorato dal sistema dell’arte ufficiale ma estremamente dinamico e articolato, come hanno dimostrato le adesioni alla call, provenienti da tutto il territorio nazionale in una molteplicità di realtà vitali ed eterogenee.

Sede centrale del festival è Q35, ex spazio industriale sito in Via Quittengo 35, dove avrà luogo l’esposizione (show) dei 20 spazi selezionati dal comitato scientifico, in una ricognizione che definisce una prima mappatura sulla dimensione della produzione indipendente italiana.
I 20 progetti vincitori sono stati scelti sulla base dei criteri che informano l’identità stessa di NESXT, ovvero l’esplorazione libera di nuove e sperimentali pratiche relative agli aspetti della ricerca, della produzione, dell’esposizione, dell’associazionismo e della relazione con il pubblico. Centrali i valori della progettualità, intesa a 360°, e la capacità di ideare e dar vita a realtà di networking su più livelli.

SC17 presenta a Torino il lavoro di ricerca sull’archeologia industriale ha portato avanti a Prato. In armonia con il tessuto urbano nel quale sono immersi, Chiara Bettazzi, Gaetano Cunsolo e Alessandro Gallicchio propongono un progetto che si fa carico di una riflessione maturata negli ultimi anni di attività.

La presentazione del progetto

“Il formato ibrido che modella le loro ricerche si materializza infatti in una ricerca formatasi grazie allo studio della fabbrica come luogo abbandonato, ma nello stesso tempo come luogo di reminiscenze di “modelli arcaici”. Se gli anni Ottanta hanno visto nascere e diffondersi progetti volti al riuso di involucri industriali a fini culturali e artistici, oggi risulta invece necessario provare a interrogarsi sulla fabbrica abbandonata come spazio attivo e abitativo altro rispetto ai già consolidati tentativi di recupero museale o allestitivo.
Perseguendo questo obiettivo, SC17 si dedica assiduamente a un lavoro che spazia dalle ricerche d’archivio – utili alla ricostruzione della storia delle fabbriche prese in esame e dei loro “abitanti” –, alla riappropriazione di questi spazi ai fini progettuali, passando sorprendentemente per l’osservazione minuziosa dei più curiosi tra i comportamenti operai contemporanei. Il triplice terreno d’azione, che lega studio, osservazione e produzione, consente di mettere in risalto alcune peculiarità che attraversano il tempo, delle attitudini alla trasformazione del luogo di lavoro in spazio vitale. Queste pratiche mettono così in risalto la persistenza di alcune modalità di invasione e trasformazione dello spazio suggerite da forme arcaiche quali la grotta, il rifugio, la coltivazione e il bacino. Facendosi carico di una visione influenzata dagli studi antropologici, SC17 si ispira agli esperimenti “di quartiere” degli anni Settanta, come, ad esempio, quelli di Riccardo Dalisi, per il quale «l’architetto di quartiere, divenuto alquanto antropologo, conoscerà da vicino conventicole strane di emarginati, volontari e non, e meglio leggerà condizioni brute del minimo spazio esistenziale: rifugi, grotte, capanne, baracche, cantinole ecc. e che tuttavia mostrano tracce di comportamenti validi per lo studio specifico dell’architettura»”.