Il campo che si estende intorno si è fatto di ghiaccio. Alcune storie raccontano che in mezzo a quell’inutile vastità dormano le anime degli antichi abitanti dell’Etruria. Tutto, però, pare immobile. Solo una nebbia densa flagella l’aria, avvolgendo l’erba morta in una nube sospesa a mezzo cielo.

Il signor R. procede lento, passo dopo passo: è come in attesa. Ad ogni metro percorso, con la mano scarna e priva di forze sposta la cappa d’umido che si forma sempre identica davanti al naso ossuto. Intanto va avanti. Il piede lungo, ormai privo di pelle, si stacca da terra, per riposarvisi poi con estrema cautela. Ecco che la nuvola candida si riforma, quasi per magia. Il signor R. la attraversa ancora una volta; il frac nero rimane impigliato nelle schegge che affiorano dal terreno, sfilandosi in silenzio e lasciandolo progressivamente nudo.

Il campo non sembra avere fine. Si estende fino alla linea visibile dell’orizzonte. Di più: pare superarla, ripetendosi uguale a se stesso. Fino al confine del mondo: è il punto di fuga dello scenario ad inseguirlo, senza mai afferrarlo.

Il signor R. cammina con il mento alto, senza mai voltarsi indietro. Si rifiuta di guardarsi intorno e di posare lo sguardo sui luoghi dove giacciono i corpi di quegli uomini così lontani e vecchi, imputriditi.

Improvvisamente qualcosa cambia.

L’inferno sembra generarsi all’improvviso, dall’alto. Il cielo diventa grigio piombo: il signor R. sospettava che sarebbe nuovamente accaduto. Era preparato anche a quello. A un tratto si scopre a scansare spine, a evitare rovi, a calpestare erbacce subitamente sorte dal terreno. Con le mani si libera le gambe avviluppate dall’edera marcia e appiccicosa. Evita le nere arpie che si precipitano su di lui. Con l’anima ferma, vede decine di fulmini indiavolati cadere ad un passo dal proprio corpo esasperato. Gocce di sudore colano sulla sua fronte corrugata. Salta le pozzanghere di petrolio nero, cercando di non precipitare nelle crepe che ora hanno straziato il campo tombale. Folate di vento gelido gli spaccano la pelle, gliel’aprono in mille fenditure. Respira con la bocca per non odorare il tanfo fortissimo. Le sanguisughe iniziano a trascinarlo con loro. Cerca di chiudere le orecchie con la forza del pensiero. Stringe i denti consumati senza provare dolore.

La coscienza, intanto, lo porta avanti: ogni balzo un pochino più in là. Ancora, ancora. Resisti!, sembra dirgli. Sono le voci della volontà, della decisione, della difesa del proprio corpo. L’automa continua a procedere, per quanto può, indifferente a ciò che lo circonda.

Come è arrivato, poi, tutto torna normale.
Il signor R. sapeva che sarebbe nuovamente terminato. Era preparato. Aveva imparato a superare la tempesta da solo, con la sua sola presenza. Sapeva che anche quello sforzo sarebbe valso la pena. Che solo lo sguardo mai scalfito lo avrebbe salvato da quell’ennesimo naufragio. Lo sapeva bene; e forse non l’aveva mai saputo meglio di quel giorno, tra i resti di Gonfienti.

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