Chi gira in lungo e in largo per seguire i concerti dei propri artisti preferiti forse capisce meglio di chiunque altro lo stato d’animo con cui ieri sera, 5 aprile, siamo andati a sentire Micah P. Hinson al FAB di via Targetti.

Niente partenza all’ultimo minuto, nessuna Rustichella all’autogrill, nessun ritorno all’alba devastati dal volume e dalla stanchezza. Solo una piacevole passeggiata di un quarto d’ora lungo il Bisenzio dopo una cena in centro storico. Certo, anche i chilometri del viaggio, le persone e l’atmosfera di un concerto milanese, giusto per fare un esempio, contribuiscono a rendere indelebile il concerto. Però, insomma, ci siamo presentati al FAB con uno stato d’animo di assoluta soddisfazione, ci siamo presi una birra – i Sunday Morning stavano smontando – e abbiamo atteso Micah P. Hinson.

Che si è presentato sul palco insieme alla sua ottima band italiana confermando ancora una volta quanto pensiamo da tempo, e cioè che dal vivo il lirismo, la voce e le melodie scavate nella pietra che ti fanno innamorare di Micah P. Hinson devono combattere una sorta di sgangheratezza sempre in agguato. Una tenera sgangheratezza che compare qua e là: in certi momenti troppo morti, in certe canzoni ringhiate per il bocchino stretto trai denti, in certe melodie rincorse e non sempre raggiunte davvero.

L’impressione è che Micah P. Hinson a volte non riesca a capacitarsi di essere fronte a un pubblico che è lì per lui e le sue canzoni, e che faccia una corsa tutta sua. Per poi smentirti subito, infilando un pezzo in cui riesce a cantare tutta la sua romantica e rabbiosa disperazione. Prendere o lasciare, ormai ci siamo abituati.

Il concerto di ieri sera per i dieci anni di “Micah P. Hinson and The Opera Circuit” è andato così: alti e bassi, complicati da un lavoro sui suoni non proprio soddisfacente, che hanno finito per impennarsi definitivamente solo nei bis, con il cavallo di battaglia “Beneath the rose“, capace strappare pomiciate in tutta la sala, e con “For your eyes“, una sorta di sigillo al matrimonio duraturo ma sempre incerto tra il poeta texano e il suo pubblico.