“La vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Questo diceva Vinicius de Moraes. E questo ha ben chiaro da sempre Enzo Avitabile, che degli incontri ha fatto un’arte di vita. Incontri con musicisti, con artisti, a tutto tondo, senza pregiudizi o prevedibilità alcuna. Da Mory Kante a David Crosby, da De Gregori a James Brown, da Tina Turner a Francesco Guccini, da Fela Kuti a Rocco Hunt. Da Pino Daniele a Pino Daniele, primo e secondo termine di paragone, perché come ha avuto modo di dire, quello non è un incontro, è la mia vita. E questi incontri sono serviti a focalizzare l’originalità della musica di Enzo Avitabile, fatta di jazz e tradizione, di soul e tammurriata, una cifra stilistica probabilmente unica in Italia.

Questo è andato in scena il 10 di luglio come secondo appuntamento del Festival delle Colline in un Anfiteatro del Pecci rovesciato, col palco che dava le spalle alle gradinate a causa di una decretata non agibilità dei gradoni, in una situazione burocratica ancora tutta da capire. Ma ad Avitabile le questioni legali e locali non importano, l’importante è sempre e solo la musica. E quindi è andato in scena un concerto acustico e minimale che, alla fine, di minimale aveva poco: pur essendo solo due i musicisti che l’hanno accompagnato (un chitarrista e un percussionista) Enzo Avitabile passava dalla voce alle percussioni, a strumenti a corde non convenzionali, a strumenti a fiato senza soluzione di continuità. E a raccontare le proprie storie e i propri incontri, la parola come parte integrante di uno spettacolo confidenziale e danzereccio allo stesso tempo: il suono, il senso, la parola, la danza. Quasi un mantra, che ha convinto e non ha fatto star fermi un attimo tutti gli astanti di un teatro esaurito (con molti rimandati a casa per la riduzione della capienza dello spazio, per le ragioni di cui sopra).

Enzo Avitabile e i suoi incontri, quindi: non ultimo quello con il cinema, che gli ha fruttato ben due David di Donatello nell’ultima edizione, e quello con la spiritualità, da cattolico di ritorno, come si è definito, dopo aver attraversato il buddhismo e altre forme di religiosità: una sorta di ritorno alla tradizione anche in questo.

Verso il finale, l’omaggio a Pino Daniele con una superba e sentita versione di “Terra Mia”, e l’omaggio all’Avitabile che fu, con quella “Soul Express” di quando era solo un giovane sassofonista e non quel pilastro della cultura musicale partenopea che oggi è.

Un gran bel concerto, ulteriore conferma della proposta di qualità del Festival delle Colline. Unica nota forse un po’ ripetitiva, un continuo ricorrere alla risposta del pubblico e al battito di mani a tempo, anche quando forse non ce n’era il bisogno, con un pubblico così attento e partecipe. Ma essere un napoletano della vecchia guardia, probabilmente, significa anche questo.