umberto cecchiL’intervista dell’attrice Valentina Banci sul Settembre Pratese, sul Metastasio e la cultura a Prato  ha suscitato la sua reazione. Ci spieghi.

Innanzitutto un po’ di precisazioni: nell’intervista veniva riportato il merito al lavoro che Paolo Magelli sta facendo per il Metastasio. Sottoscrivo: Paolo Magelli sta facendo un lavoro molto interessante per questo teatro, molto apprezzato, ma non è un lavoro solitario il suo. Lo sta portando avanti grazie al coinvolgimento dell’intero organico del Teatro Metastasio, che appoggia il suo progetto per questo teatro all’unanimità. Io sono abituato a lavorare da solo, ma ho un grande senso di comunità: questo teatro lavora per un indirizzo preciso e lavora tutto assieme. Non c’è un Paolo Magelli, un Massimo Luconi, non un Umberto Cecchi. La compagnia stabile del Metastasio, ed il lavoro che sta portando avanti, è frutto di una grossa battaglia fatta da Magelli, fatta da me, dal consiglio di amministrazione, dal comune assieme alla regione Toscana. Da quando abbiamo preso il teatro, Paolo l’ha ribadito tante volte, ci danno 600mila euro in meno tutti gli anni. Però riusciamo a mantenere la compagnia stabile, produzioni, tutte una serie di cose, con attori e registi che ci vengono volentieri dietro.

Nell’intervista, Valentina Banci affermava che il Metastasio è l’unica vera eccellenza sul nostro territorio.

Io ritengo che il teatro Metastasio sia un’eccellenza nella città di Prato e che come tale debba essere trattata, non deve essere però paragonata alle iniziative che si stanno svolgendo in questa città in questo periodo.

Sempre riprendendo l’intervista, la Banci si domandava perché lo svago e il divertimento in questa città non possa essere di tipo culturale, ma solo intrattenimento fine a se stesso.

Posso dire una cosa che va contro me stesso e tutto il consiglio del Metastasio? Non abbiamo proposto alternative. Se avessimo proposto al sindaco “Noi vogliamo fare un Arlecchino Servitore per quest’estate”, magari il sindaco c’avrebbe detto di sì.
I Medici dicevano: “La storia dice che alla gente bisogna dare tre F: festa, farina e forca”. La festa è quella che c’è ora in Piazza Mercatale, la farina è il mangiare, la forca è il rispetto delle regole. Io credo che oggi nel nostro mondo, non solo a Prato, il rispetto delle regole stia un po’ svanendo; di pane, eccetto quelli che davvero ne hanno bisogno, non ne ha più bisogno nessuno. Le feste, invece, sono diventate per colpa della televisione delle feste nazionalpopolari. Valentina fa parte di un certo tipo di mondo culturale, un mondo bello, non sta però a lei criticare tutto il resto, che poi è il mondo della gente.

Il teatro Metastasio (foto Metastasio)
Il teatro Metastasio (foto Metastasio)

L’attrice faceva riferimento all’apertura che in questi ultimi anni il Metastasio ha fatto nei confronti della gente, a partire dai più giovani.

Il metastasio è inserito nella città da 45 anni: io, Paolo Magelli e qualcun altro, andavamo nelle scuole a fare spettacoli, nelle case del popolo. Il nostro lavoro dovrebbe aver raccolto una serie di frutti, dai semi che abbiamo lanciato. Frutti che però non sono tornati. Questo è un problema che ci dobbiamo porre.

In un momento in cui la cultura televisiva è però predominante, essere inseriti e ben radicati nella città come Teatro Metastasio ha un valore aggiunto, non trova?

Sicuramente. Spesso la città è refrattaria a questo, va detto. Come tutte le città, si accetta ben volentieri il divertissement estivo. Tempo fa c’erano le grandi produzioni estive: Fiesole, Verona, San Miniato, molti teatrini sparsi in qua e là. Oggi gli spettacoli estivi leggeri non ci sono quasi più: è la televisione, che con un presentatore di terza categoria, sostituisce la prosa estiva.

Faceva riferimento ad un problema da porsi per i semi non cresciuti. Da cosa dipende?

Questo non lo so. Se oggi noi dobbiamo parlare della cultura di questa città, dobbiamo tenere di conto di una cosa, ossia che questa città ha avuto per decenni una grande cultura, e solo una: la cultura del lavoro. Se finisce la cultura del lavoro, come in questo periodo di grande crisi è accaduto, non c’è una cultura parallela. Quindi siamo rimasti in ginocchio. Siamo rimasti a guardarci in faccia, perché non abbiamo l’alternativa. Non abbiamo circoli culturali di un certo tipo, posti dove ritrovarsi. Abbiamo il Metastasio e il Pecci, ma sono rimasti a margine: sono rimasti punto d’incontro per pochi. Il resto delle persone ho l’impressione che non sentano nemmeno il bisogno di queste realtà. Sentono però il bisogno famelico di ritrovare la loro cultura, quella del lavoro. E mi rendo conto che mancandogli quella, ricerchino altri sfoghi.