compost
C’è chi risiede senza permesso di soggiorno. E quindi non viene considerato residente, “titolare” di domicilio, di doveri, di diritti.
Eppure c’è lo stesso, come presenza, come influenza, a volte come segno di contraddizione del mondo com’è, di quello che dentro al mondo manca.

Segno per esempio di una distribuzione di risorse iniqua, di un’ineguaglianza fatale che spegne per alcuni la possibilità di vivere con dignità e legittimità, mentre legittima sprechi indecorosi, per altri.

Per raccontare l’esperienza del Compost di Prato (data di nascita: agosto 2009/ data di morte: la settimana scorsa), centro indipendente di ricerca formazione e produzione artistica a forte vocazione multiculturale, penso che serva estendere la riflessione alla politica culturale espressa dal territorio toscano, in particolare nell’ultimo bando triennale uscito in primavera sulle residenze artistiche e poi più’ in generale alla politica culturale nazionale.

Da come si spendono i soldi pubblici, dove e a chi vengono erogati, si dovrebbe poter desumere la natura delle azioni culturali che le istituzioni intendono premiare. Finanziando alcune realtà piuttosto che altre l’istituzione dice: quello che fai mi serve, è utile alla comunità, dunque lo sostengo.
Giustamente discrimina, nel senso etimologico del termine, cioè sceglie in relazione ad un pensiero, a strategie culturali che immagino siano determinate da visioni e da preoccupazioni; spesso mi chiedo per quali cose gli amministratori pubblici non dormano la notte, quali siano i problemi della collettività che generano i loro peggiori incubi.

E mi chiedo se davvero pensano che la cultura possa essere un attrezzo efficiente ed efficace per stringere qualche vite, accorgersi di un ronzio del carburatore e magari provare ad aggiustare qualche guasto delle comunità di cui si occupano.Quando a fine primavera scorsa abbiamo letto il bando della Regione Toscana sulle residenze, ci siamo sentiti, senza mezzi termini, presi in giro: i requisiti minimi necessari per partecipare al bando erano la fotocopia sbiadita dei criteri di assegnazione del Fus. Quindi volti a consolidare ciò che già c’è, più che a fare affiorare nuove esperienze di lavoro sui territori.

Dopo lunghe ed inutili conversazioni con le segreterie, ci siamo messi l’anima in pace: il lavoro svolto dal Compost in questi quattro anni e mezzo era “incatalogabile” : secondo quelle regole eravamo a meta’ tra degli hobbisti volenterosi e il club degli annusatori di ortensie.
Era inutile partecipare al bando. Avremmo ricevuto lo stesso verdetto, la stessa bocciatura toccata -come si è poi visto negli esiti di finanziamento – ad altre realtà “per mancanza di requisiti minimi”. Noi abbiamo preferito non perdere tempo e lasciar stare.

La settimana scorsa abbiamo con dolore ratificato la chiusura dello spazio , in parte per l’impossibilità economica a procedere nelle molte attività intraprese , ma soprattutto per aver realizzato in modo sostanziale che un’azione culturale come quella che abbiamo sviluppato in questi anni, non rientra tra le azioni che la Regione ritiene finanziabili, non costituisce un possibile altro modello di rapporto con il territorio.
Quindi, che abbiamo vissuto come clandestini senza permesso di soggiorno: altro che residenza.

Breve identikit del Compost

Il Compost nasce nel 2009 dallo stabilizzarsi di un progetto di ricerca partito due anni prima e fondato da Letizia Russo e da me.
Negli oltre quattro anni della sua attività indipendente il Compost NON E’ STATO FINANZIATO STRUTTURALMENTE DA NESSUN ORGANISMO ISTITUZIONALE. Per scelta. Uno dei cardini della nostra ricerca era di essere indipendenti anche economicamente per poterla sviluppare con la massima libertà artistica nei tempi, nei modi, nelle forme. Cioè fare fino in fondo, a modo nostro. E poi, se ne avessimo ricavato qualcosa di buono, cercare canali di finanziamento istituzionali per i nostri progetti. Volevamo creare un ambiente plurale, non una compagnia.

Per questa ragione, un vasto gruppo di artisti di tutta Italia ha finanziato con le proprie risorse personali i costi fissi di affitto e mantenimento dello spazio ( un ex lanificio di 200 metri quadri situato accanto alla Biblioteca Lazzerini e al Museo del Tessuto)
i progetti e le molteplici attivita’.

Un po’ di numeri

Le attività di laboratorio al Compost (master di recitazione, drammaturgia,danza, contact) hanno avuto negli anni la presenza totale di oltre 400 partecipanti paganti. I soldi dei laboratori sono stati interamente destinati al mantenimento dello spazio e delle sue attività: i formatori hanno lavorato sempre gratuitamente. Le risorse immesse tra finanze personali reali e mancato guadagno di oltre quaranta persone che per anni hanno profuso lavoro in termini di volontariato, si aggira intorno ai 200.000 euro: circa 50.000 euro all’anno.

– Le persone che hanno abitato e frequentato il Compost negli incontri del progetto di ascolto “Sono qui perchè” (2011/12) durato un anno con appuntamenti mensili sui conflitti tra cinesi e italiani a Prato sono state oltre 2000, di cui piu’ della metà cinesi. I materiali video degli incontri sono stati richiesti per ragioni di studio da ricercatori di università nazionali ed estere; televisioni locali e straniere -tra cui NHV tv nazionale giapponese – hanno realizzato servizi e trasmissioni tematiche sul particolare format di incontro da noi utilizzato nel progetto di ascolto sui conflitti.

Inoltre, lo scorso aprile siamo stati invitati a presentare al Museo Guggenheim di Venezia il progetto, nell’ambito di un ciclo di incontri su esperienze innovative di ascolto e gestione creativa dei conflitti urbani , coordinato da una delle massime esperte internazionali del settore, Marianella Sclavi).

– Sono stati svolti numerosi laboratori con gruppi di adolescenti e nelle scuole di Prato in collaborazione con altre associazioni sui conflitti in classe e le questioni etniche con realizzazioni di video e cortometraggi.

– Abbiamo realizzato “Cooking” un progetto di formazione artistica con valenze di integrazione su otto discipline che ha coinvolto da novembre 2012 a settembre 2013 un gruppo di oltre cinquanta adolescenti di tutte le nazionalità residenti sul territorio.

– Abbiamo autoprodotto una performance / laboratorio con nove attori “Scuolasbroc” che indaga i conflitti tra studenti e professori che ha girato e gira nei teatri e nelle scuole superiori di tutta Italia, ma non ha trovato possibilità di essere rappresentato a Prato, suo luogo di origine artistica, dato che lo spettacolo è nato da mesi di ricerca esplorazione e improvvisazioni con studenti e prof di alcune scuole della città.

– Abbiamo realizzato due edizioni (2011/2012) di un festival di confronto poetico tra artisti VUDSTOC a cui hanno partecipato 30 gruppi in cinque giorni da tutta Italia il primo anno, 45 eventi in sei giorni il secondo. Vudstoc second ediscion si è concluso con una simulazione sociologica (l’abbandono di Prato da parte della comunità cinese) cui hanno partecipato come giocatori dal vivo 50 persone tra cui il Presidente della Provincia Gestri, l’Assessore all’Integrazione Silli, i Consoli e Capocomunità cinesi, cittadinanza italiana e cinese di opposta appartenenza politica e ragazzi di seconda generazione) alla presenza di un foltissimo pubblico multietnico.

– Con un gruppo di direttori tecnici dei principali teatri toscani (Livorno Pisa, Lucca, Fabbrica Europa etc. ) altri artisti e ricercatori industriali provenienti da tutta Italia nel 2010 abbiamo inventato e strutturato “Prateria d’arte” un progetto imprenditoriale declinato in tre aree in relazione tra loro: riciclo e recupero delle scenografie teatrali , ricerca per la tv attraverso un generatore di numeri zero di format multimediali e creazione di brevetti industriali a partire dalla ricerca dei materiali tecnici sperimentati nell’arte.

Il progetto che ha finalità di innovazione, sostenibilità e sviluppo economico attraverso arte e cultura (come peraltro auspicato nelle direttive dell’Unione Europea 2014/20 sulla “smart specialization”) da due anni rimbalza sui tavoli di assessorati mediateche e cineporti, con decine e decine di riunioni fatte e sopralluoghi che non hanno portato a niente in termini di azioni concrete.

Inoltre al Compost dal 2011 risiede YAZ (con cui è stata fatta una fusione nel mese di febbraio 2011), realtà indipendente che ha prodotto dal 2010 al 2013:

– Sorelle d’Italia spettacolo musicale con Veronica Pivetti e Isa Danieli suonato da Alessandro Nidi (tre anni di tourneè)

– Trittico – trilogia di e con Antonio Tarantino, O. Valente e Gilda Postiglione (due anni di tournee’)

Al Compost sono state ospitate le prove di Spettri, Precarie eta’,La fine di Shavuoth ( prod Stabile di Bolzano), Glengarry Glen Ross (prod Urt) La signora Baba e il suo servo Ruba (prod Nim) Trittico e Sorelle d’Italia (Yaz) Satyricon ( Massimo Verdastro), Arem ( prod Elena Vanni), La Compagnia dell’acquisto dell’ottone (Prato)

Cosa abbiamo avuto

I contributi spot che abbiamo avuto sono stati

Nel 2012
-Dalla Regione all’interno del bando Sipario Aperto:
1120 euro.

Nel 2013
-Dal Comune di Prato e ANCI Portale Integrazione/ Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali per la realizzazione del progetto Cooking:
27.000 euro

Se ho descritto minuziosamente la mole di attività realizzata dal Compost sul territorio e non solo, senza contributi pubblici stabili non è per fare l’elenco recriminatorio delle “eroiche gesta”, anche perché in questo momento il dispiacere per la fine di questa esperienza, per il tempo la passione la fatica e la fiducia che in tanti hanno messo e’ assolutamente superiore alla rabbia.

Racconto l’esperienza del Compost per segnalare una disfunzione, un deficit di ascolto: categorie ancora troppo strette e non in grado di accogliere proposte che lavorano sul territorio usando strumenti teatrali che non sono pero’ in prima battuta gli spettacoli. Ma esperienze che lavorano più sulla ri/animazione , nel senso di rimettere anima nei luoghi, di ricreare cerchi umani che vengono molto prima del “pubblico” inteso come somma di spettatori. Di indagare i conflitti e “le ragioni del nemico”, principio poetico fondativo di tutta la nostra ricerca, in modo non ideologico, ma artistico, per stanare la falsa coscienza che ammala il nostro paese. La nostra, prima di tutto, come operatori culturali.
Come si potrebbe “parametrare” questo lavoro? Difficile da dire, ma anche da ignorare, credo.
Eppure siamo in una Regione che ha ospitato un artista come Grotowski in una fase finale della sua ricerca dove già molti anni fa era tematizzata chiaramente la differenza tra l’arte come “presentazione di spettacoli” e l’arte come veicolo….
Sta di fatto che per il livello di complessità delle questioni che sono inscritte in molti territori, il teatro come strumento può assumere un’importanza decisiva per aprire inediti canali di comunicazione.

Sento di dover esprimere una grande amarezza: mi aspettavo dalla Toscana che pensa il futuro altre idee, altra benzina, altre ali.
Altra voglia di chiedersi, per esempio , se a Prato, la città più multietnica d’Europa , con la presenza della più grande comunità cinese per densità,
è normale che non esistano progetti culturali stabili di accompagnamento che rendano gli stranieri ( cinesi e non) soggetto di cultura e non oggetto di manifestazioni rappresentative in cui, peraltro, la partecipazione degli eventuali interessati è sconfortantemente bassa.

Ma tutto questo richiederebbe un pensiero organico su idee di fondazione di nuova cittadinanza, di melting pot, di dispositivi culturali che ben poco hanno a che fare, a mio avviso,almeno in questa fase, con la messa in scena di spettacoli. Per concludere: credo che le residenze artistiche dovrebbero poter operare anche con modalità diverse da quelle efficacemente illustrate nell’intervento di Mimma Gallina, con maggiore flessibilità nelle azioni e nella struttura, senza che ciò comporti di restare privi di permesso di soggiorno. Il rischio è (facendo inseguire parametri) di obbligare ad omologare le azioni, di non consentire vera sperimentazione. Di perdere risorse e presenze culturali di valore solo perché non si inquadrano dentro le mappe di ciò che già esiste.
Il rischio è di dimenticarsi di quante cose ci stiamo dimenticando, tra cui a cosa dovrebbe servire la cultura? Ad aumentare gli abbonati o aumentare il senso di appartenza tra i cittadini?

Ma è una storia vecchia: più di vent’anni fa, Massimo Castri, da cui come assistente ho imparato tante delle cose che so , ci si arrabbiava tremendamente: tornava spesso dagli incontri in Regione smadonnando. Da marxista, se ancora questa parola può essere detta, pretendeva che il teatro pubblico e le istituzioni che lo finanziano avessero chiari obbiettivi, progettualità congrua e cura per la comunità a cui si rivolgono.
Capacità di analisi e immaginazione. Cioè saper immaginare la propria funzione di Teatro che stabilmente abita un luogo con azioni concrete ed efficaci.

E’ triste dire, come si evince anche da altri interventi, in particolare da quello di Scena Verticale, che da tutto ciò siamo ancora molto molto lontani.
E allora servirebbe un po’ meno ipocrisia per dire che in questa Regione il rischio vero è quello dei monopoli culturali, altro che residenze.
Di mancanza di vera dialettica, di soggetti che abbiano titolo e parità nel dialogo sul rinnovamento delle forme.
E più parità economica per metterle in azione. C’è odore di paternalismo, e poca voglia di farsi da parte, di lasciare spazi veri alle nuove generazioni e non la stanza dei giocattoli. C’è poca curiosità di incontrare altre esperienze,molta retorica e tanta rappresentazione di azioni al posto di azioni vere.
Ci sono interlocutori politici che non decidono per “paura di pestare i piedi” ai “titolari”, finanziamenti che piovono a ripianare debiti di realtà di cui da anni si fa fatica a leggere l’identità progettuale.
Questo, per me, significa falsa coscienza: fingere di analizzare un problema, non potendone o volendone includere la macrocausa, che comunque splende come un limone nel frigo.
La possibilità che viene concessa con il finanziamento delle Residenze, è ancora troppo modesta: se davvero, come emerge da molti interventi, rilevanti quote di innovazione, ricerca e rapporto stabile con i territori sono migrate dal centro alle periferie, ossia dai Teatri Stabili ( Pubblici, Privati e Innovazione) alle Residenze, come mai e’ ancora così impari il rapporto economico?
In una distribuzione nazionale di risorse già incredibilmente (e stabilmente) virata alla conservazione delle forme (47,5 per cento del Fus alla Lirica) e non all’innovazione e alla cultura del presente, alle Residenze come economia toccano le briciole delle briciole di un sistema all’interno del quale si puo’ fare solo una gara impari.

Per fare un esempio, la somma del finanziamento che la Regione Toscana assegna alle Residenze artistiche (circa 1.300.000 euro per una trentina di soggetti) corrisponde all’incirca all’intervento di ripianamento del bilancio dello Stabile di Innovazione di Pontedera o alla metà del finanziamento al Teatro Stabile pubblico Metastasio di Prato. (655.000 euro. La situazione è poi ulteriormente divaricata dai finanziamenti concessi dal Ministero e dagli Enti locali:per cui nel game economico “Residenze vs Stabili”la scala di grandezza è 1:3.Ossia:il finanziamento complessivo di trenta soggetti pesa circa un terzo di quello complessivo di uno stabile.

Come potrebbe mai avvenire un cambio di paradigma artistico-culturale nella produzione o nella formazione se la situazione economica tra soggetti che operano nello stesso campo è così sbilanciata? Anche perchè gli spettacoli che si producono, siano essi prodotti da una piccola compagnia di ventenni alle prime armi o dal colosso di uno Stabile, confluiscono poi tutti in uno stesso mercato in cui -come è noto- le realtà più retribuite determinano un trust attraverso gli “scambi” tra loro, dopando le regole del mercato e creando a tutti gli effetti un’ulteriore concorrenza sleale.

Non si produrrà mai cambiamento, nè in Toscana, nè in Italia se la politica culturale non muta: e quando dico politica culturale intendo dove si mettono i soldi e quanti. E a quali realtà. E per fare cosa. Perchè le scelte in politica sono raccontate per davvero, da questo atto concreto.
Il resto sono chiacchere e distintivi che tengono tutto uguale a com’è.
Il Compost si congeda da Prato con grande dispiacere: era la città scelta da tanti non toscani come noi, come propria casa artistica perché l’abbiamo ritenuta e la riteniamo di straordinario interesse per la ricerca teatrale; per i processi socio-economici in atto, per i conflitti, per il laboratorio che la città potrebbe essere. Perché ciò che sta succedendo a Prato, è un modellino, un bonsai di ciò che sta capitando al mondo.

Cristina Pezzoli

La rubrica “RidottOperatori è a cura di Riccardo Goretti. Segui il suo blog.