Un progetto potente, che rende possibile l’incontro tra la culla della civiltà e la terra natale dell’uomo: la Grecia della tragedia antica e universale, che racconta passioni e inquietudini senza tempo, tende la mano a quell’Africa nera da cui prende il via la storia del mondo. E nasce “Antigone. Una storia africana”, lo spettacolo di Massimo Luconi liberamente tratto dalla tragedia di Jean Anouilh, fino al 3 marzo al teatro Fabbricone di Prato.

Una messinscena che coinvolge sei attori, tutti senegalesi, formati all’interno di un laboratorio durato quasi tre anni che ha visto il regista pratese protagonista di un lavoro di ricerca interpretativa a Saint Louis, antica capitale di questo stato dell’Africa occidentale. La storia poco si discosta da quella consueta del ciclo di Edipo: Antigone decide di seppellire il cadavere del fratello Polinice, contravvenendo alla volontà del nuovo re di Tebe Creonte, e viene condannata a morte, nonostante questa sia la promessa sposa di Emone, figlio del sovrano.

La crudele decisione di Creonte porterà uno strascico amaro, con i suicidi sia del figlio del re che della moglie, Euridice. Alle tre morti, si accompagna l’eterna solitudine del sovrano tebano, condannato a vivere con il peso di una decisione stolta e insensata.
La vera forza di questo spettacolo sta nell’aver trasferito la tragedia in un mondo al di fuori del tempo e dello spazio, in cui i veri protagonisti sono i valori universali che Antigone si trova a difendere: la lotta contro l’ingiustizia, l’opposizione alle leggi dello stato in nome dei diritti sacri della famiglia e del sangue.

Il coraggio di opporsi alla discriminazione, alla miopia, all’insensata volontà di far prevalere il potere e l’ambizione. La storia di Antigone non è una tragedia tebana, ma abbraccia tutto il mondo: quest’eroina destinata a restare schiacciata sotto il peso dell’odio rappresenta il ganglio in cui si incontrano opposizioni e contrasti antichi quanto il mondo. In una scena minimale, i sei attori senegalesi recitano in francese (lo spettacolo è sottotitolato) e portano echi della loro cultura: i canti, la presenza di percussioni che danno il ritmo allo sconforto e alla solitudine, il canto del griot – il cantastorie dei villaggi centroafricani – in lingua wolof, che dà voce alla terra. “Un’Antigone nera”, come l’ha definita Umberto Cecchi, che va oltre le logiche dell’occidente e amplifica il senso di una storia immortale. Un personaggio che respira polvere, che riscatta il sangue della sua gente. Una donna che sceglie di non abbassare la testa, e che rinuncia ad “essere condannata a vivere”.