Il mondo è ammantato di fiabe. Nonostante tutto, la quotidianità non può scrollarsi di dosso la fantasia, la genialità e la potenza delle storie, che ci fanno compagnia passo dopo passo e obbligano l’uomo a confrontarsi con un’altra dimensione. Lo sa bene il protagonista di “Andersen 2014”, spettacolo di Emanuela Ponzano fino a domenica al Fabbricone: uno scrittore di favole, sconfitto dal mondo e dalla sua mediocrità, decide di cambiare vita e simbolicamente taglia con il passato bruciando i manoscritti delle sue storie in un grande camino, perché oggigiorno “non c’è più posto per queste ingenue macchie d’inchiostro”.

Proprio da lì, invincibili, i personaggi delle sue fiabe prenderanno vita e si racconteranno, con una commistione tra echi del passato e suggestioni del presente. Infatti le fiabe messe in scena e rinate dal ceneri del camino sono tra le più belle di Hans Cristian Andersen, riviste in chiave moderna: ed è così che il “Soldatino di stagno” diventa un militare volontario di stanza in Afghanistan ansioso di riabbracciare la sua ballerina, intenta a costruirsi il suo spazio di celebrità tra concorsi di bellezza e provini in tv; la “Piccola fiammiferaia” vive un conflitto familiare fatto di maltrattamenti e solitudine; “I vestiti nuovi dell’imperatore” presentano un “sovrano” a noi molto familiare, a capo di tutte le televisioni e intento a guadagnarsi il favore sempiterno del suo popolo.

Fiabe contemporanee, macchiate di dramma e di tristezza, che ci mostrano quanto le storie di Andersen siano ancora tremendamente attuali e vivano al loro interno un conflitto molto simile alla tensione del nostro mondo, proprio perché, come si chiarisce nello spettacolo, “le fiabe raccontano in altri modi quello che c’è fuori”. Un viaggio prima di tutto all’interno di una società, la nostra, tra povertà, materialismo e ipocrisia.

Un progetto a cui non si nega una certa genialità. Sulla carta, perché troppo spesso nella pièce i monologhi dei personaggi appaiono ridondanti, rivestiti di un’aura concettuale che affievolisce la loro atavica potenza. E certo aiutano le musiche di Teho Teardo – artista che ha firmato, tra le altre, la colonna sonora de “Il divo” del premio Oscar Paolo Sorrentino – che ci trasportano in una dimensione così lontana e così vicina a noi. Ma non bastano a far sì che lo spettacolo avvolga lo spettatore, lo investa di un soffio senza tempo fatto di tragedia e di passione.