Italia terra di santi, poeti, navigatori….e calcettisti. Non ce ne vogliano San Francesco, Dante e Cristoforo Colombo, se a pratiche che lustro e onore hanno portato alla nostra oggigiorno derelitta penisola, associamo un’arte meno nobile, quella pedatoria.

Per giunta non quella che ha trasformato le domeniche in lunghe liturgie laiche in cui venerare il “Dio Pallone”, oggetto un po’ sacro e un po’ profano, a cui a pochi eletti è dato il dono di padroneggiarlo con destrezza.

L’arte pedatoria di cui andiamo a raccontare le gesta è in apparenza di basso rango, ma in realtà rappresenta
la più amata fuga dalla vita quotidiana degli italiani. Un momento in cui il sopracitato “Dio Pallone” torna ad essere una semplice palla, quell’amica conosciuta in tenera età che ad un certo punto quasi scompariva dai radar. Il calcio con l’avanzare dell’età diventava solo quello da poltrona o da divano. Per il resto ci si poteva affidare a qualche tiro in giardino con i propri figli e null’altro.

Con l’avvento del “calcetto” tutto questo è cambiato. Oggi non ce ne rendiamo nemmeno più conto, tanto è normale vedere campi sparsi un po’ ovunque. Prato ne è un ottimo esempio in ogni angolo della città. In quasi tutti i quartieri ci sono impianti per poter giocare. Fioccano i campionati invernali e i tornei estivi e per gli enti di promozione questa pratica di massa è diventata fonte indispensabile di sostentamento. Sui campi si sfidano avvocati e muratori, commercialisti e dottori, studenti e pensionati. Qualche tempo fa, ahinoi con scarsi risultati agonistici, è anche nata la squadra dei giornalisti, la Stampdoria. Della serie tutti possono infilare mutandoni e maglietta e tornare a scorrazzare dietro ad un pallone.

Ma quando è avvenuta questa “rivoluzione sportiva”? Quando il calcetto è entrato nelle vite degli italiani facendoli tornare fanciulli?

cerianiLa gestazione di questo sport è in Italia diversa da quelle del resto del mondo. Il calcio a 5 è nato negli anni ’30 in Uruguay, da un’idea di un professore di educazione fisica, Juan Carlos Ceriani. Il giovane insegnante di Montevideo nel 1933 ne codificò le regole prendendo spunti da pallamano, basket e hockey su pista. Creò una nuova disciplina, che fu chiamata “Fútbol de Salón”, calcio da sala, perché si giocava al chiuso, nelle palestre. In poco tempo il Futsal attecchì in tutto il continente sudamericano.

Negli anni ’50 lo sbarco in Italia. In origine furono i campi da tennis in terra battuta dei circoli della Roma “bene” ad ospitare quello che fu ribattezzato calcetto, con i primi storici tornei. Sul finire degli anni ’70, precisamente nel 1978, nasce la Federcalcetto, che però ha breve durata e si scinde in Federazione Italiana Calcetto e Lega Italiana Calcetto. Nel dicembre 1983 i due enti si fondono e danno vita al primo campionato targato Figc.

E’ la stagione 83/84: l’alba di una rivoluzione. Si gioca in porte più grandi di quelle attuali, di 40 centimetri più alte e di 20 più larghe. Le aree sono rettangolari e le sostituzioni avvengono a gioco fermo. Il pallone, inoltre, è un regolare pallone da calcio, niente dimensioni più piccole, di rimbalzo controllato nemmeno si parla. Vince lo scudetto la Roma Barilla del presidente Ettore Viola, figlio del grande Dino. La finale si gioca al centrale del Foro Italico, sì proprio quello che ospita gli Internazionali d’Italia, davanti a 5mila persone.

Il calcetto è in grande ascesa e arriva anche in Toscana, dove un anno dopo si disputa il primo campionato regionale e comincia a prendere sempre più piede. I campi da tennis lasciano spazio ai sintetici di prima generazione, ricoperti di fastidiosa sabbiolina. Tutti cominciano a giocare, chi in maniera agonistica, chi per gioco.

In questo clima di grande fervore, a Prato, nell’estate del 1987, un gruppo di ragazzi che si riuniscono al Bar Et di San Paolo decidono di mettere in piedi una squadretta. Si chiama Et Prato e si iscrive al campionato Csi, come decine di altre nate in quegli anni. E’ l’inizio di una favola.

(Continua…)