Se non sapete chi sia Luigi Delli, probabilmente non frequentate abbastanza i teatri toscani. Affermazione esagerata dite? Bene, allora leggete queste poche righe qui sotto e ditemi se non ho ragione. Il “Gigi” ha seguito passo passo, da spettatore, ma anche da uomo ovunque, amico e manager, le carriere di alcuni tra i più importanti artisti che la nostra regione abbia mai prodotto. Volete un nome? Roberto Benigni, per esempio. Ma io ho parlato anche troppo, vi lascio alle poetiche parole di Luigi. Una grande esclusiva targata Pratosfera.

Gigi, benvenuto su Pratosfera. Vuoi innanzitutto presentarti ai nostri lettori?

“Un attore mancato … poco! E di poco pregio, poco intelligente, poco veloce, poco simpatico. Vivo vita e teatro da spettatore emotivo… troppo! Mi sento sempre al centro della scena ( La nevrosi ci sommerge ci impedisce di gioire della vita e dei rapporti con gli altri). A questo punto non vorrei farvi assistere a uno spettacolo di contorsionismo… cheto la collera… e ho detto tutto!”.

La tua è una vita legata a doppio filo con il teatro, il cinema, lo spettacolo, anche se mai “direttamente”. Ci racconti come è nata e come si è sviluppata negli anni questa tua passione?

“Il 25.11.1968 con velleità artistiche e fuoco sacro Monni ed io, ci siamo spinti ad un inizio, marginale, presso il teatro SMS di Rifredi in Firenze, con lo spettacolo di Friedrich Dürrenmatt ” La visita dalla vecchia signora ” con la regia di Valerio Vannini. Nell’anno 1969 alcuni mesi dopo la recita abbiamo incontrato Sannini Donato, poeta e fine intrattenitore, gran ricercatore del genere femminile, della tavola, dello spettacolo e singolare ogni qualvolta conversavamo con amici, per i suoi raffinati e sferzanti interventi linguistici che erano gli unici che ricordavi. Siamo nell’anno 1971 in compagnia di Carlo Monni a vedere una commedia al teatro S.M.S. di Rifredi, dove in quegli anni vigeva la prassi “segue dibattito”… lo spettacolo non aveva ricevuto molti consensi ma elargito tanto tedio. La gente era snervata, nauseata ed indolenzita al limite della sopportazione, nessuno poneva delle domande agli attori o al regista, silenzio totale! E’ la prima volta che vedo Benigni, ed è lui il primo che chiede la parola, “puro nonsense”, per discutere su di un argomento che non aveva nessuna attinenza alla commedia!… possedeva il solo scopo di una provocazione, parlando su i massimi sistemi “dove va l’America se noi siamo qui?”, servita a rompere il ghiaccio e a far pensare… perché quel giovane folletto aveva rianimato una serata non indovinata e che avresti voluto dimenticare al più presto. Ci ritrovammo insieme al bar e diventammo subito amici. Per Donato, Firenze nel ‘72 era diventata troppo stretta e provinciale e principiava a scalciare cominciando a fare delle proposte teatrali di Achille Campanile da mettere in scena in teatro a Roma, iniziando un’opera di convincimento nei miei confronti ed alle stesse condizioni di Carlo Monni… senza spese e con busta paga, cosa che non era da sottovalutare, non sempre certe occasioni capitano nella vita. La generosa amicizia e la sua innata disponibilità finanziaria non servirono a convincermi, sebbene vantaggiosissima fosse la proposta. La mia temerarietà ebbe un calo, quando vinsi il concorso di vigile urbano nel comune di Firenze, cosicché consigliai al Sannini di sostituirmi con il più giovane e “aitante” Benigni che da un anno incontravo e di cui ero invaghito per quei giorni passati, in sua compagnia, che furono un esaltante piacere intellettuale a cui il rinunciare non nego di essere stato geloso nel privarmi di quest’ultimo, per consegnarlo al sempre caro Sannini”.

Qual è il ricordo più lontano che hai del mondo dello spettacolo? E quale invece quello più prossimo?

“L’imprevisto, la follia di gioventù… Che bisogno c’era di dirvi tutto questo?”.

Qual è la cosa più bella che tu abbia mai visto accadere in un teatro? E quale invece, tra i tanti film che hanno prodotto i tuoi amici, è secondo te l’opera migliore?

“Cioni Mario di Gaspare fu Giulia”, sulla biografia e autobiografia di Roberto, in relazione al limitato gruppo di amici di Vergaio con i loro patimenti, le umane sofferenze e deformazioni, evocati in un linguaggio pittoresco, ma anche specchio di una società di piccoli paesini, composti da tre vie (via di Vergaio, via di mezzo a Vergaio, via traversa a Vergaio), con un’anteprima a Grignano di Prato alla presenza del notorio attore-regista-sceneggiatore Paolo Poli che ne approvò l’esordio. Debuttò a Roma, all’inaugurazione dell’Alberichino alla fine 75, – diamogli il tempo di imparare – e il terzo giorno di rappresentazioni con critiche avvincenti fu venduto in tutta Italia, ed iniziò la tournée, replicando per lungo tempo, si può dire il suo “best seller” il big bang, il parto. E’ da lì che la vita per Benigni si trasforma in technicolor. La critica costruttiva dello spettacolo teatrale porta i recensori ed anche i responsabili della RAI dell’epoca a interessarsi costantemente del personaggio Benigni e Cioni e viceversa ed è da lì che matura l’idea di girare il film “Berlinguer ti voglio bene”. Dicendo “La vita è bella” e “Berlinguer ti voglio bene”… cado in piedi! Aggiungo anche: “Non ci resta che piangere” e “Tu mi turbi”. Non vorrei si notasse un giudizio partigiano!”.

Quali sono le differenze principali tra il mondo dello spettacolo degli anni 70 e quello del 2014, secondo te?

“Il ‘70 è un periodo di avanguardia d’autore, Carmelo Bene al Teatro Beat 72 è ritenuto la punta di diamante scenica in Italia, una combinazione di fusioni fondamentali per una classe di intellettuali. Oggi ci distinguiamo per essere più portati a vivere il presente, esponendoci di più al ridicolo con i fatti, tralasciando le opinioni”.

Se tornassi indietro, c’è qualcosa che cambieresti delle scelte che hai fatto?

“La povertà di fantasia, di idee, d’ingegno… se vi par poco!”.

E la solita domanda finale di RidottOperatori: saluta tre persone che stimi.

“Roberto Benigni, Woody Allen, Enrico Brignano… ne potrei aggiungere altri ma poi la lista si protrarrebbe troppo”.

foto credits: jimmy tranquillo.