Se si prova ad andare oltre le semplificazioni mediatiche e le strumentalizzazioni politiche,  cosa troviamo nella problematica presenza della comunità cinese a Prato?

Secondo Giorgio Bernardini, giornalista del Corriere della Sera autore di “Chen contro Chen, la guerra che cambierà Prato” (Round Robin, 12 euro, prefazione di Dario Di Vico), troviamo soprattutto una guerra tra generazioni. Tra quella che è arrivata a Prato da anni e che magari vuol tornarsene in patria dopo aver fatto i soldi e quella dei loro figli, che a Prato invece sono cresciuti e che di andarsene non hanno proprio voglia.

Bernardini, com’è nata l’idea di questo libro?

“Un anno fa un editore di Roma mi contatta per chiedermi se voglio scrivere un libro sulla comunità cinese di Prato. Ero scettico, sinceramente. Non volevo scrivere una cosa che poteva essere strumentalizzata, a Prato come in Toscana. Quindi ho cercato una chiave di lettura che fosse nuova e anche efficace”.

Perché “Chen contro Chen”?

“Perché la “guerra” che c’è a Prato non è tra pratesi e cinesi, cioè non è quella di cui si sente parlare solitamente, ma tra cinesi di prima e di seconda generazione. La mia è una tesi nata dalle interviste che ho fatto, non si tratta di sociologia o di psicologia. Però sono convinto che sarà l’esito di questo scontro generazionale che determinerà il futuro della città. E cerco di raccontarne dinamiche e umori attraverso le interviste che ho raccolto nell’ultimo anno.”

Come sono i giovani cinesi che ha incontrato?

“Sono giovani come tutti gli altri e le loro storie mi hanno emozionato tutte, nessuna esclusa. D’altronde stanno cercando di fare una cosa che almeno una volta nella vita ogni persona ha cercato di fare: cambiare la mentalità dei propri genitori. Solo che per loro riuscirci ha un valore e un significato maggiore”.

Quindi i giovani cinesi che abitano a Prato stanno cercando di cambiare radicalmente le cose.

“E’ una diatriba aperta. Non tutti i giovani cinesi che ho incontrato vogliono rimanere a Prato, così come non tutti i genitori hanno intenzione di tornarsene prima o poi in Cina. Però in molti ragazzi c’è questa esigenza di smarcarsi e di fare le cose in un altro modo. E sto parlando soprattutto del rispetto delle regole. Per questo alcuni di quelli che sentono Prato come la loro casa ci tengono molto a non ripetere i comportamenti dei genitori. Altri invece hanno addirittura convinto i loro genitori a rimanere, gli hanno fatto comprare casa a Prato. Se proviamo a pensarci un attimo, siamo di fronte ad una specie di rivoluzione”.

Ok, però qui si sta parlando di una guerra. Chi la vince secondo lei?

“Non lo so, ma ho provato a tratteggiare alcuni scenari plausibili. Anche perché il fenomeno migratorio è molto più veloce e fluido che in passato e quindi lascia spazio a diverse possibilità. La vittoria dei padri per esempio, potrebbe portare ad uno spopolamento della comunità cinese di Prato. Esagerato? Non credo. Io, comunque, non parteggio nè per l’uno nè per l’altro. Sono dalla parte di Prato e dello sviluppo che questa città merita”.