Alessandro Puca gioca con un meccanismo non certo nuovo, ma sempre d’effetto. Con queste sue 3 novelline “diseducative ed equivoche”, il nostro prende uno stilema tra i più classici che esistano (la favola, genere quasi mai rinnovatosi da Esopo in poi) e lo condisce di modernità, cattiveria, cinismo. Ne escono racconti brevi sui quali (soprattutto sull’ultimo) siamo sicuri vi nascerà un sorriso. L’invito a commentare è sempre aperto… e mi raccomando, portate queste novelle ai vostri bambini, e dite loro che sono l’abbraccio di Alessandro Puca.

La profe str*nza

C’era una volta una bella bambina con le trecce che andava alle elementari. Le piaceva tanto studiare e da grande voleva fare la maestra. Un giorno nella sua bella scuola in cui andava tanto volentieri arrivò una nuova professoressa. Si presentò in classe dicendo che da quel giorno avrebbe insegnato italiano al posto della vecchia insegnante, che piaceva tanto alla bambina.

La nuova maestra era severa e cattiva, la interrogava alla lavagna e le faceva domande difficili. Se rispondeva correttamente e andava bene, le metteva solo ottimo, senza la stellina. La bambina era triste quando c’era la professoressa, e italiano divenne la materia che odiava di più. Finite le elementari andò alle medie. Il professore di matematica non le piacque fin da subito. Urlava continuamente ai suoi studenti, parlava di politica, criticava l’istituto e gli altri insegnanti, come se capisse solo tutto lui, come se lui fosse l’unica persona intelligente al mondo.

La bambina, che ormai era una ragazza, lo considerava solo un cretino. I compiti in classe erano difficili, dovevi sapere tutto e le penalità erano tantissime. Ma la bambina, che ormai era una ragazza, si impegnò e studiò, riuscendo a finire le medie. Scelse un liceo e iniziò la nuova scuola felicemente, ancora convinta del suo sogno di diventare insegnante. I primi due anni andarono benone, ma in terza arrivò la professoressa di filosofia, una vecchia zitella isterica che viveva da sola per la quale il criticare gli studenti e l’odiare il prossimo erano le uniche occupazioni.

Fu l’incubo che l’accompagnò durante tutte le notti. Studiava incessantemente la sua materia, piangeva durante le interrogazioni mentre la professoressa la criticava e la infamava, aveva continuamente crisi isteriche che le procurarono un semi esaurimento nervoso. Ma la nostra eroina riuscì comunque a completare il liceo, sconfiggendo il drago cattivo e conquistando l’ambito tesoro: il diploma.

Finì l’università velocemente e diventò tirocinante, cercò lavoro per anni e alla fine, dopo essere andata a letto con uno degli organizzatori del concorso, vinse una cattedra in un piccolo liceo. I primi giorni furono felici. Faceva quello che faceva e si divertiva molto, aveva un buon rapporto con gli studenti e con i colleghi: era tornata ad andare volentieri a scuola. Un giorno però interrogò un ragazzo. Questi non sapeva praticamente niente e la giovane professoressa sapeva che si meritava un brutto voto. Avvicinò la penna al registro, tremando. Ci pensò un attimo, poi, tutto d’un fiato, come se disegnasse la z di zorro, scrisse un 4 sul registro. Quel gesto le provocò un piacere immenso. Aveva giudicato qualcun altro, si era sentita in grado di esprimere un giudizio negativo, si sentiva come se avesse appena detto “fai schifo, suicidati ora che tanto in futuro diventerai un drogato inconcludente” al ragazzo, e le piaceva, le piaceva da morire. Corse in bagno. Si guardò allo specchio e iniziò a ridere furiosamente. Si spettinò i capelli, rughe orribili e baffetti osceni comparivano sulla sua faccia. Si fissò negli occhi, in quello sguardo allucinato: la trasformazione era iniziata ed era ormai inarrestabile.

Da quel giorno fu l’incubo dei suoi studenti. Per lei gli alunni erano tutti dei completi cretini, i brutti voti erano ormai all’ordine del giorno, non faceva altro che urlare e sbattere le mani sulla cattedra. Il suo ragazzo la lasciò, lei si comprò un gatto, ma questo morì suicida dopo pochi giorni. Si ritrovò improvvisamente sola, a sessant’anni, esistente solo nei ricordi di quegli alunni che l’avevano tanto odiata, che la disprezzavano così tanto. Non gliene importava così tanto: aveva ancora il suo lavoro, poteva continuare a sentirsi migliore degli altri. Quando fu costretta ad abbandonare le mura di quella scuola che l’aveva tanto odiata si ritrovò sola, completamente sola. Il suo lavoro e la sua ossessione di essere meglio degli altri erano tutto per lei, ora che non aveva più l’arma del voto era solo una povera vecchia incapace di fare alcun male. FINE

L’energia alternativa

C’era una volta uno scienziato che aveva fatto una scoperta rivoluzionaria. La portò a una grande convention e, quando fu arrivato il suo turno si portò sul palco un piccolo trenino elettrico. Cominciò a parlare, euforico “Finalmente sono riuscito a risolvere il grande problema della mancanza di energia! Vedete questo apparecchio? È alimentato dalla più grande fonte di energia rinnovabile presente al mondo: l’amore! Basta una carezza, una parolina dolce, un bacio, e il mio motore si ricarica completamente! Energia infinita e completamente gratuita!”. Per dimostrazione si avvicinò al trenino e sussurrò “ti voglio bene”. Il trenino subito partì velocemente e iniziò a girare sulla piccola monorotaia. Uno scroscio di applausi e lodi partì dal pubblico. Anche i più eminenti scienziati si erano alzati in piedi per esprimere la loro ammirazione verso quel giovane ricercatore che aveva appena cambiato il mondo.

I motori alimentati ad amore si diffusero subito in tutto il mondo. Automobili, televisioni, computer, tutto fu mosso dall’amore. In strada era pieno di gente che parlava dolcemente alle loro auto, i ragazzi alternavano il baciarsi tra di loro con il pomiciare con i propri telefonini, gli impiegati accarezzavano i monitor dei loro computer mentre lavoravano. Tutto il mondo era pervaso dalla dolce forza motrice dell’amore. Ma un brutto giorno un ragazzo accese la sua console con l’intenzione di giocare online. Subito gli insulti verso il gioco e il suo team uscirono copiosi dalla sua bocca. La console ne fu inorridita, una lacrimuccia le scese dal vano disco e poi si spense. Gli automobilisti, imbottigliati nel traffico, si lanciavano complimenti poco gentili, così le macchine, intristite, si guastarono. Quando un computer si rivelava troppo lento, l’impiegato iniziava a agitarsi giudicando la macchina inutile e nient’altro che un ferro vecchio. I computer si spensero per sempre. Il mondo piombò nel caos. Ogni apparecchio non funzionava più, nemmeno i lampioni, sconvolti dalle abitudini poco carine dei cani, facevano più il loro lavoro.

Il geniale scienziato che aveva inventato quella nuova fonte di energia lavorò per giorni per trovare una soluzione. Si chiuse nel suo laboratorio segreto per analizzare, smontare e cercare di dialogare con la sua macchina. Dopo due settimane uscì dal suo posto di lavoro, un sorriso vittorioso sul suo volto. “Ho risolto il problema del malfunzionamento dell’apparecchio! Mi è bastato cambiare la polarità del flusso, se prima le macchine rispondevano all’amore, adesso risponderanno alla rabbia e all’odio!”, alzò un telecomando e premette l’unico grande bottone rosso che questo aveva al centro. Tutti i macchinari furono riconvertiti e rincominciarono a produrre energia. Pochi secondi dopo il mondo esplose in mille pezzi per la troppa energia “arrabbiata” prodotta. FINE

Principe²

C’era una volta un principe bellissimo. Era talmente bello che il padre, volendo preservare il figlio dal rovinare la sua bellezza nel mondo reale, lo rinchiuse nella torre più alta del castello, ponendo un drago a guardia dell’entrata. Il principe passava le sue giornate a piangere e a ubriacarsi, sognando che qualcuno venisse a salvarlo da quel suo ingiusto destino.

Un principe di un reame vicino udì le voci riguardanti questo essere bellissimo afflitto da un così crudele destino, così decise di andare a liberarlo. Cavalcò per giorni per le praterie, attraversò deserti, montagne e colline, uccise mostri e giganti e infine giunse al castello dove era segregato il principe. Entrò guardingo nel castello con la spada tratta. Appena udì il ruggito del drago, scappò via. Corse al villaggio vicino, si procurò delle polpette avvelenate e le lasciò nel centro del salone del castello, ben in vista. Il drago le vide e le divorò, morendo all’istante.

Allora il principe risalì la lunga scalinata che conduceva alla torre più alta del castello e sfondò la porta della stanza, entrando con foga. Il principe dormiva in mutande riverso per terra, la bottiglia di vino ancora in mano. L’eroe si avvicinò e lo baciò dolcemente, svegliandolo dal suo sonno post-sbronza. Nacque l’amore, l’amore di fatto. I due principi si misero insieme e espressero il desiderio di unirsi in matrimonio. Il governo e le istituzioni religiose, cattive e omofobe, glielo impedirono. Così i due principi, non dopo aver lottato per anni per la loro causa, scapparono in un reame vicino dove i pastori potevano sposare anche le loro mucche. Lì si sposarono e vissero per sempre felici e contenti e discriminati. FINE

Alessandro Puca