Quando l’arte fa bene all’anima. È successo a Carmignano dove, dopo 90 anni di divisione insanabile, la gente ha rivissuto, ripensato e superato un fatto storico, un tabù che l’aveva piegata. E lo ha potuto fare solo grazie al coraggio di uno spettacolo di teatro in piazza.

Tutto è cominciato il 29 settembre 2011, per la tradizionale festa di San Michele – durante la quale le contrade paesane si danno battaglia a suon di performance teatrali. Quell’anno il rione Verde, guardato di traverso da molta gente, scelse di affrontare una storia fino a quel momento inenarrabile: l’omicidio di Vittorio Pucci e Giuseppe Verdini, due giovani carabinieri uccisi nel cuore del paese il 28 marzo 1921 in un’imboscata.

Era la fine del biennio rosso, la reazione fascista stava gonfiandosi nel tentativo disperato di imporsi all’ondata di scioperi, al malcontento e agli afflati rivoluzionari che stavano incendiando l’Italia. Per farlo, orchestrava attentati shock per far ricadere la colpa sui rossi e, screditandoli agli occhi della povera gente, affossarli. È quanto successe anche a Carmignano.

Il Comune era appena stato conquistato dai comunisti – che avevano stravinto le elezioni – e i poteri forti – grandi proprietari terrieri e alta borghesia nascente, seguiti dall’esercito dei piccolo-borghesi – cominciavano a innervosirsi. Aiutati dalle squadriglie delle aree limitrofe erano molti i tafferugli e le discussioni messe in atto per screditare il sindaco e i suoi simpatizzanti, e tanti i complotti e le riunioni di rossi e neri in nome del potere.

Fu in questo contesto che caddero i due militari, uccisi nel buio della sera mentre pattugliavano il centro del paese dopo una giornata agitata. La mattina, i rossi avevano cercato di impedire al parroco di benedire il palazzo comunale e ne era nato un acceso battibecco con i ferventi cattolici che in questa zona non sono mai mancati. La sera, quindi, il maresciallo – da sempre molto vicino ai poteri forti – spedì i suoi due uomini più giovani e inesperti a perlustrare i dintorni e la tragedia si consumò. I due vennero uccisi e la colpa ricadde senza troppe indagini sui “soliti comunisti violenti” che con un processo sommario vennero spediti in prigione. Dagli atti ufficiali, ormai consultabili, emerge che nessuno vide i condannati sparare e che coloro i quali tentarono di scagionarli furono minacciati e messi a tacere. E fine della storia.

Quell’episodio da allora è rimasto prigioniero della coscienza sporca di un paese che non ha più voluto affrontarlo, e la verità è andata sepolta con chi vide e mai parlò e con chi non vide e parlò troppo. Una ferita profonda che ha alimentato odio e rancore, impedendo la normale convivenza e un’evoluzione etica e sociale naturale.

Per oltre novant’anni si sono verificati fatti apparentemente inspiegabili che solo andando a leggere gli atti, le deposizioni, le testimonianze raccolte sulla vicenda Pucci e Verdini diventano chiari e ovvi, come tessere di un vecchio puzzle finalmente ricomposto. Per tutti gli anni Sessanta e Settanta, alcune famiglie hanno impedito addirittura le nozze a giovani innamorati senza un evidente perché, che solo ora diventa lampante. Famiglie che si sono trasferite, vicini di casa che non si son parlati per generazioni, pettegolezzi che son diventati macigni hanno compromesso la normalità per tanto, troppo tempo.

Fino ad oggi. Quello spettacolo di piazza (Uno, nessuno, centomila) ha dato il via a un miracoloso processo di riconciliazione indispensabile quanto doloroso. Quella rappresentazione ha denunciato colpe e colpevoli, silenzi e intrighi, ma ha invitato tutti, gli uni e gli altri, a capire, a riflettere, a guardarsi dentro e ad andare oltre. E ha funzionato. Da allora a Carmignano qualcosa si è sbloccato: Carmignano ha rivissuto, riaffrontato e finalmente superato quel dramma, che non ha fatto solo due giovani vittime – Pucci e Verdini – ma ha distrutto la vita di intere famiglie – madri, spose e figli di quegli uomini accusati senza prove, imprigionati senza giustizia eppure additati a vita e denigrati.

È questo ciò che è stato gridato in piazza fra balli e performance coreografiche: un grido di giustizia, perdono e riconciliazione che finalmente è sfociato – dopo oltre 90 anni dal fattaccio e dopo tre anni dallo spettacolo – nella prima grande fiaccolata avvenuta qualche giorno fa per le vie del paese in memoria dei due carabinieri morti, che nessuno aveva avuto più nemmeno il coraggio e l’ardore di commemorare.

Viva la cultura popolare. Che ha bisogno di tempo e coraggio.