Tra le parole Felicita e Felicità sembra che ci sia una differenza minima. Un solo accento: un segno impercettibile, quasi un piccolissimo errore della penna. E invece in quest’accento c’è tutta la tensione della “Passione” di Daniela Nicosia, con Maddalena e Giovanni Crippa, in scena ieri e questa sera al Metastasio di Prato.

Uno spettacolo che riporta sulla scena – dopo il successo dello scorso anno di Walter Malosti – il romanzo “Passio Laetitiae et Felicitatis” di Giovanni Testori. Questo testo, riadattato per il teatro e messo in scena proprio durante la settimana santa, è come un fendente contro le nostre anime, una coltellata al cuore. Squarcia la quotidianità e fa assaporare il gusto acre e amaro di una passione tutta terrena, carnale. E’ la storia di Felicita, giovane brianzola che passa la sua vita alla ricerca di quell’accento che non gli è stato concesso alla nascita, per trasformare la sua esistenza in un momento di gioia e di “duità”. Questo suo sforzo non avrà un lieto fine: attraverso un amore quasi incestuoso con il fratello Dorigo – morto a 18 anni per un incidente in moto – e la tragica esperienza di violenza sessuale subìta nel cimitero del paese, la protagonista cerca la pace prendendo i voti e diventando una suora. Ma il destino non ha in serbo questo per lei: in convento, conosce una giovane orfanella quindicenne, Letizia, e se ne innamora. Nasce una relazione fugace che, una volta scoperta, porta alla fuga delle due e al loro suicidio.

Una storia controversa e complessissima, arricchita da una messinscena in cui Maddalena Crippa e il fratello Giovanni costruiscono la vicenda con un rimpallo velocissimo di battute, con il dialetto brianzolo che dà un effetto di verità e crudo pragmatismo. Una storia controversa, dicevo, perché appare irrispettosa della morale. Alcuni dei pochi spettatori in platea (veramente un peccato, perché questo era uno spettacolo che i tanti giovani delle scuole avrebbero dovuto vedere, altro che “Natale in casa Cupiello”!) hanno etichettato la pièce come “violenta e blasfema”.

E in effetti la violenza non manca, ma è la stessa che si respira nella vita quotidiana, evidenza della passione dei “poveri cristi”, dei reietti del mondo; ma – attenzione – la blasfemia la si riscontra solo in apparenza, perché in realtà tutto lo spettacolo è come una grande preghiera, un grido di aiuto verso Dio. E’ Lui il co-protagonista, il vero interlocutore di Felicita. Una Passione cristiana e insieme pagana, dalla tensione fortissima. Non me ne vogliate, ma dopo aver visto lo spettacolo non ho potuto non pensare alla “Passione di Cristo” scritta da Mario Luzi (e regalatami dall’editore Paolo Mettel, sensibilissimo). Due scrittori così diversi, ma che hanno sentito su di loro il peso della Croce, simbolo tangibile di tutto il Male del mondo. E, insieme, speranza del riscatto.