Stamani un’altra fabbrica gestita  da cinesi (la confezione Aox di via del Molinuzzo) ha preso fuoco facendo temere il peggio, e cioè che si ripetesse qualcosa di simile alla tragedia di via Toscana dello scorso dicembre. Per fortuna non è successo niente del genere questa volta, nel Macrolotto: una donna, riportano i giornali, è stata estratta viva dalle fiamme, alcuni connazionali sono riusciti a fuggire in pigiama e altri ancora si sono poi presentati al pronto soccorso con i sintomi di un’intossicazione.

Le reazioni dei politici non si sono fatte attendere. La cosa bella è che i politici pratesi e i sindacati che si sono pronunciati hanno tutti ragione. Ognuno per sé, e nessuno per tutti però. E il fatto che abbiano tutti ragione e siano, più o meno, tutti sulla solita linea non è un dettaglio da poco se i cittadini pratesi se ne rendessero conto. Specialmente ad una settimana dalle elezioni.

Sono tutti d’accordo, soprattutto, nel considerare che le condizioni d’illegalità e di sfruttamento in cui lavorano molte confezioni cinesi non siano più tollerabili. Hanno ragione. Lo pensano tantissimi pratesi e dopo i sette morti dell’inverno scorso lo pensano anche quelli che con Prato non hanno nulla a che fare.

Stamani il primo a parlare è stato l’assessore alla sicurezza Aldo Milone, che col fare profetico che ultimamente lo contraddistingue ha ricordato a tutti che lui l’aveva detto che Prato è a rischio tutti i giorni da questo punto di vista. Probabilmente Milone ha ragione, lui che negli ultimi cinque anni ha provato a fare pressione sul bubbone dell’illegalità cinese senza riuscire a inciderlo davvero. S’è impegnato come un buon politico deve fare ma poi, solo come un cencio, s’è dovuto arrendere anche lui: i blitz il fumo lo fanno ma l’arrosto è tutta un’altra cosa.

E’ quindi stata la volta dell’assessore all’integrazione Giorgio Silli che ha annunciato vigorosamente la rottura di ogni rapporto con il Consolato cinese. Silli è normale che si arrabbi: il Governo cinese considera poco o niente l’Italia e ancor meno la questione cinese a Prato. Sicché è ancora più normale che i politici che negli ultimi cinque anni hanno cercato senza successo di intavolare un dialogo per trovare una soluzione siano fuori dai gangheri. Nessuno li ascolta, e da soli non sono riusciti ad ottenere risultati.

A Silli  ha risposto il governatore Rossi definendo una scelta completamente sbagliata la chiusura dei rapporti con il Consolato cinese. Rossi, inutile dirlo, ha perfettamente ragione sostenendo che occorre premere, piuttosto, per un dialogo sempre più serrato con il Consolato cinese, se solo questo si degnasse di prendere in considerazione la faccenda. Intanto, la task force di 50 ispettori messa in piedi per la prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro, quella nata dopo la tragedia di via Toscana, scalda i motori da qualche mese.

Poi è arrivata la Cgil, con Massimiliano Brezzo del comparto tessili, a ricordare che è normale che continuino a succedere cose del genere se ancora non si è voluto colpire il sistema produttivo dell’abbigliamento che si cela dietro l’illegalità cinese. La Cgil ha ragione: nella città del tessile almeno un componente per famiglia conosce come funzionano queste cose e dove si pone la confezione lungo la filiera. Ma anche alla Cgil, che come ogni altro sindacato locale è sempre stata ben presente nelle fabbriche pratesi, nessuno l’ha ascoltata.

Ora, si può andare avanti all’infinito sulla questione cinese come si è fatto negli ultimi anni (quelli che accusano gli altri, gli altri che accusano quelli, quelli che fanno, quelli che non fanno eccetera eccetera) oppure piantarla una volta per tutte e provare, tutti insieme nel 2014, a cercare delle soluzioni vere. Vere per tutti. Certo, la politica è il gioco delle parti, ma probabilmente la questione dell’illegalità e dello sfruttamento di una parte della comunità cinese ha smesso di essere un problema politico da anni.

Sicché a Prato adesso hanno ragione tutti: quelli che vogliono il pugno di ferro, quelli che inneggiano al dialogo e all’integrazione come motore del cambiamento, quelli che vogliono colpire il sistema produttivo ed economico che si cela dietro al “nero” cinese. E se invece di cercare per forza qualcuno che ci ascolti si provasse a mettere insieme tutte queste cose organizzandole con un taglio che guardi ai prossimi vent’anni e non solo al qui e ora? Troppo facile? Troppo difficile?