Cerchiamo di commentare questo spettacolo senza pensare di averlo visto nel carcere di Prato. Una rilettura dell’Otello ridotta all’osso, con la totale assenza di elementi scenici, se non l’acqua. Anche questa è la potenza di Shakespeare: il poterlo rappresentare in un teatro da mille poltrone come in una palestra, con centinaia di luci o con dieci neon fermi. H2Otello: dove l’acqua è donna, l’acqua è vita, l’acqua  uccide.

Attori non professionisti, magistralmente diretti dal collettivo di Teatro Metropopolare con la regia di Livia Gionfrida, raccontano in maniera egregia una storia che pare essere scritta ieri, riassumibile in tre elementi principali: amore, potere e gelosia.

Cerchiamo di commentare questo spettacolo senza pensare di averlo visto nel carcere di Prato. Un crescendo di tensione, come a essere in apnea, sott’acqua nel vedere Iago che tesse le fila di una piano che porterà Otello, accecato di gelosia, e Desdemona, totalmente innocente, alla morte. Un gioco crudele organizzato dagli uomini, coordinato dagli uomini, di cui discutono soltanto gli uomini. Alle donne della storia non resta che subire la violenza di un potere forte e crudele. Sono lontani i momenti in cui l’acqua per Otello e Desdemona era la fonte della felicità e dell’amore. Adesso l’acqua soffoca, è ovunque, imprigiona. Adesso l’acqua uccide.

Qui si potrebbe essere concludere il commento allo spettacolo di venerdì scorso, 23 maggio, H2Otello senza pensare di averlo visto nel carcere di Prato.

Ma la straordinarietà di quella serata sta proprio nel fatto che questo spettacolo è andato in scena all’interno della palestra della casa circondariale La Dogaia di Prato. Lo spettacolo è frutto di un lavoro che da un anno Teatro Metropopolare sta portando avanti assieme ai 15 detenuti protagonisti della rappresentazione. Attori non professionisti perfetti nel recitare e nel muoversi sulla scena, da fare invidia a tanti che si vedono sui palchi di molti teatri. L’argomento trattato: il femminicidio. Parlare e lavorare sul femminicidio assieme a chi di storie del genere ne ha viste tante (o magari si trova in carcere proprio per questo). Mettere assieme tante culture diverse, come lo sono quelle dei detenuti attori e lavorare sul ruolo della donna nella società di oggi, di fronte anche a chi non concepisce l’uguaglianza di generi.
Il pubblico: 150 persone, sold out per il numero che poteva accogliere la palestra, che si sono ritrovati all’interno di un carcere per una sera, un’esperienza che, anche se fatta in maniera “tutelata”, rimane forte e a tratti impressionante.
E infine la felicità e l’entusiasmo di un gruppo di detenuti sotto un applauso che sembra non finire mai, un gruppo di detenuti che per una sera si è sentito protagonista di una cosa meravigliosa, protagonisti di una cascata di colori in un luogo quotidianamente troppo grigio, quando non nero.
Ed ecco che torna l’acqua, che è anche simbolo di libertà, la libertà che per una sera hanno vissuto anche quei detenuti del carcere di Prato.

(Foto: Laura Maffe)