Clet, al secolo Anacleto Abraham, è ormai di famiglia a Firenze e in Toscana. Di origine bretone è in Italia da molti anni e la sua cifra stilistica sono gli interventi urbani, da quelli storici sui cartelli stradali fino alle installazioni più controverse e provocatorie. Irriverente e originale, negli ultimi mesi Clet ha fatto molto parlare di sé. Lo abbiamo incontrato.
Clet, in Italia sei oggetto di un procedimento penale da parte della polizia municipale per l’installazione della “Statua della Giustizia” su due autovelox fiorentini. In Francia ti chiamano per fare educazione stradale nelle scuole. Che succede?
“Penso che in Italia ci sia un rapporto distorto con il concetto di autorità. Magari è così dappertutto, ma qui è un po’ come se ci fossimo fossilizzati sul rispetto forzato del comando, tipico di alcuni momenti della storia italiana. Ad esempio si fa spesso riferimento all’Impero Romano oppure al medio evo fiorentino come modelli di perfezione sociale. Due periodi storici a ben vedere decisamente “autoritari”. E’ un po’ come se questo atteggiamento di ubbidienza fosse ancora molto ancorato nella cultura popolare ovvero l’idea che il comando non debba essere messo in discussione, a prescindere da quale sia e da cosa ci chieda di fare. Ma questo pensiero così rigido verso l’autorità porta a volte ad una pressione sull’individuo tale da sfociare nell’illegalità. Non c’è secondo me nessuno sforzo di comprensione da parte dell’autorità, che in parte dovrebbe adattarsi al cittadino. E non il contrario. In Francia hanno tagliato la testa al Re, e penso che abbiano fatto bene. Qui forse ancora no”.
Cosa deve succedere perché questo accada anche qui? Soprattutto rispetto all’arte.
“Non so se avverrà, non posso saperlo. Forse nella storia italiana non è neanche necessario. Per me lo è. Serve una presa di coscienza da parte del cittadino, smettere di vedere la legge come un tabù. Non è la legge il valore assoluto, ce ne sono di molto più importanti, ad esempio la giustizia”.
A proposito di Giustizia, cosa hai intenzione di fare con la statua, la riproporrai?
“Non lo so perché è sequestrata. Ora voglio rimontare qui nello studio una copia esatta della statua, anche un modo per farla vedere e poterne parlare, far circolare l’immagine e il concetto. Per il resto dovrò affrontare una difesa legale probabilmente”.
In Francia cosa è successo invece?
“Sono stato cercato e ingaggiato dalla prefettura di Parigi per partecipare a una giornata di educazione al codice della strada in un collegio della città. C’erano vari laboratori, fra cui il mio. Si trattava semplicemente di mostrare il mio lavoro. L’idea nasce dal fatto che i ragazzi giovani in una città come Parigi prestano ormai pochissima attenzione alla cartellonistica stradale. Il mio lavoro invece potrebbe servire a stimolare la loro attenzione verso i segnali e magari anche a ricercarli. E’ un ragionamento concreto. E’ stato anche divertente, perché i ragazzi mi chiedevano “Scusi ma lei lo può fare questo?” e io dicevo indicando la poliziotta accanto a me: “Chiedete a lei”. E lei, la responsabile della sicurezza stradale a Parigi, rispondeva “Beh, no non è proprio legale, ma abbiamo pensato che fosse costruttivo”. Ecco quello che mi interessa è la capacità da parte dell’autorità di saper relativizzare la legge, pur di avere un risultato positivo. In questo caso non è tanto importante la norma, quanto trarne qualcosa di utile. Riconoscere il fatto che abbiamo una capacità intellettiva, sfruttare questa e non per forza la mera ubbidienza a una pseudo regola”.
Perché hai scelto di dedicarti in particolare a questa forma di intervento urbano?
“Il concetto di arte per l’arte non interessa. Per me l’arte deve essere un contenuto da veicolare. Quindi l’importante è comunicare questo contenuto e se possibile con la maggior parte di persone, non con gli addetti ai lavori. Non è questo il mio obiettivo. Per me il mio lavoro può essere filosofia, politica come messaggio che va distribuito. La strada è il posto migliore per questo. Il lavoro che faccio con i cartelli riassume ciò che dicevo all’inizio: ti arriva un’informazione e la cosa migliore innanzitutto è dubitarne. Soprattutto se è imposta”.
Come reagisce Firenze?
“Il pubblico fiorentino mi sostiene, le istituzioni non hanno il coraggio di sdoganare il mio lavoro, io per loro sono trasparente. Non esisto, non cercano mai di prendere contatto. Gli artisti senza nome, giovani, sono anche loro trasparenti perché per mancanza di cultura o di coraggio si va sempre a pescare i personaggi ufficiali, riconosciuti il più possibile, così non si sbaglia. A Firenze ci sarebbe un capitale artistico nascente, forte, ma non c’è il coraggio di andargli incontro. E’ difficile rinnovarsi in questa città perché ci si confronta con la storia, con opere e nomi di grande importanza. Ma si deve avere il coraggio di farlo altrimenti siamo morti”.
Progetti a venire?
“Sto lavorando a un intervento da realizzare alla stazione di Milano, durante l’EXPO 2015. Vorrei installare all’ingresso in stazione, arrivando dai binari, tre grandi facce, per simboleggiare il fatto che tu spettatore dell’expo, che ha come tema “Nutrire il pianeta”, arrivando a Milano diventi alimento tu stesso. Trovo però molta difficoltà per gli accordi e le autorizzazioni, non so se riuscirò a realizzarlo”.