“Contro la svendita, l’abbandono e al desertificazione delle città d’arte italiane”. Tomaso Montanari, critico d’arte fiorentino che insegna all’Università Federico II di Napoli e tiene un blog sul Fatto Quotidiano, arriverà a Prato martedì  9 settembre (17,45 – Circolo Curiel di via Filzi) per discutere del suo ultimo libro “Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà” (Minimum Fax). Lo ospita “Open Prato”, la stessa associazione che ha portato in città Bernardo Secchi per discutere di urbanistica e anche Gavino Maccioccio per un dibattito sulla salute come patrimonio di tutti.

Montanari, negli ultimi anni, “è intervenuto più volte per difendere il nostro patrimonio artistico e culturale dal degrado, dall’abbandono e dagli attentati della commercializzazione – si legge nella nota di Open Prato – Per questo ha ricevuto nel 2012 il Premio Bassani di Italia Nostra ed è stato nominato Commendatore dal Presidente della Repubblica Napolitano”.
“Sostiene – si legge ancora – contro la mercificazione del patrimonio artistico, la fruizione della nostra tradizione artistica come strumento di democrazia reale, di crescita morale, di resistenza civile“. L’incontro sarà coordinato da Angelo Formichella, architetto e membro del CdA del Centro “Luigi Pecci”.

Ecco un passo dell’intervento tenuto in occasione del conferimento del Premio Bassani di Italia Nostra nel 2012.

In questi anni ho cercato di raccontare soprattutto l’agonia delle città italiane: a partire da Firenze, dove vivo, e da Napoli, dove insegno. Città diverse solo in apparenza, ma condannate entrambe: la seconda ad una rovina materiale più evidente, con uno dei patrimoni artistici più importanti del mondo che va letteralmente a pezzi, e l’altra condannata ad una rovina morale, perché ridotta a feticcio turistico alienante, a “macchina da soldi” come teorizza il suo sindaco […] Oltre alla sacrosanta denuncia del disastro del patrimonio e del paesaggio italiani, credo che uno storico dell’arte che parla ai cittadini, abbia un altro principalissimo dovere. Mi riferisco al dovere di provare a dire a cosa serve davvero il patrimonio storico e artistico della nazione. Questa è la cosa che mi sta più fortemente e più profondamente a cuore“.

Dopo la rivoluzione epocale dell’articolo 9 della Costituzione repubblicana il patrimonio ha cambiato funzione. E la sua nuova funzione non è più la legittimazione del potere dei sovrani degli antichi stati italiani, ma è la costruzione sostanziale della nuova sovranità, quella dei cittadini. Il patrimonio appartiene oggi al popolo italiano. Che lo mantiene con le proprie sudatissime tasse non perché sia ‘bello’ e non perché sia il nostro petrolio, cioè una fonte di ricchezza materiale. Il novanta per cento della nostra fatica quotidiana, ventitré ore delle nostre ventiquattro, nove decimi delle nostre città, la quasi totalità dei nostri desideri e del nostro immaginario sono asserviti al potere del mercato e del denaro. Se pieghiamo a questo stesso, unico fine anche il poco che resta libero e liberante ci comportiamo esattamente come il Re Mida del mito e delle favole: ansiosi di trasformare tutto in oro, non ci rendiamo conto che ci stiamo condannando a morire di fame“.

Il patrimonio, invece, è come la scuola: è un potentissimo strumento di educazione alla cittadinanza e di innalzamento spirituale. L’articolo 3 della Costituzione affida alla Repubblica il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Il patrimonio storico e artistico della nazione è precisamente uno degli strumenti che permettono alla Repubblica di rimuovere quegli ostacoli, e di rendere effettiva la libertà e l’eguaglianza dei cittadini“.

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