“Recentemente si parla molto di femminicidio (o anche femicidio e femmicidio) intendendo non solo l’uccisione di una donna, ma anche qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte. Abbiamo riportato la definizione di femminicidio in Devoto-Oli 2009, ma il termine è attestato anche in ZINGARELLI a partire dal 2010 e nel Vocabolario Treccani online”. Questo è quanto emerge in un articolo apparso sul sito dell’Accademia della Crusca, e se lo dice un’istituzione simile… lo possiamo dire pure noi. Dunque, alla luce di tutto ciò, la notizia è presto detta: in Toscana, nei primi sei mesi dell’anno, sono stati registrati 1.236 femminicidi, ovvero una media di 106 al mese: oltre 6 al giorno. E se a questa tragica cifra si aggiungono gli abusi sulle minorenni, l’emergenza è da incubo: 100 in sei mesi le bambine che hanno subito violenza di genere.

A stabilirlo sono i dati del Codice Rosa, un’iniziativa portata avanti dalle aziende toscane (12 aziende sanitarie e 2 aziende ospedaliero-universitarie) con il fine di riconoscere e dunque far emergere il fenomeno dei maltrattamenti e degli abusi contro le donne e comunque contro le fasce deboli. Nel report, infatti, sono riportati anche casi di violenze (maltrattamenti e abusi) su uomini in qualche modo svantaggiati: 236 adulti e 93 bambini. In che senso svantaggiati? Si tratta di persone che subiscono abusi da persone care o di cui hanno fiducia. Si parla dunque non solo di donne, ma appunto di uomini, bambini, anziani, immigrati, portatori di handicap, vittime di discriminazioni razziali, religiose o omofobiche, donne sottoposte o a rischio di pratiche di mutilazioni genitali femminili, che comunque si ritrovino a vivere in situazioni psicologicamente subordinate.

E relazionando i dati di quest’anno con i due anni precedenti, non c’è da star sereni: se è difficile stabilire una relazione visto che il progetto si è diffuso a macchia d’olio solo da quest’anno, il trend resta comunque e senza dubbio stabilmente alto. Nel 2012, anno in cui il Codice Rosa era presente solo in 5 aziende, sono stati registrati 1.455 casi. Nel 2013, con il progetto avviato in 10 aziende, i casi sono stati 2.998. Nel primo semestre 2014 (tutte e 16 le aziende toscane), 1.665 casi, di cui 1.472 su adulti (1.367 maltrattamenti, 64 abusi, 41 stalking), e 193 su minori (164 maltrattamenti e 29 abusi).

“Con l’estensione del progetto Codice Rosa a tutte le aziende toscane – dice l’assessore al diritto alla salute Luigi Marroni – in ogni azienda è ora attivo un gruppo che opera raccordandosi con la realtà territoriale dei consultori, si armonizza con la storica rete dei centri antiviolenza e delle associazioni di volontariato, con le Forze dell’ordine e le Procure della Repubblica per l’attività d’indagine e repressione dei reati”.

Analizzando i femminicidi, emerge che le fasce di età più colpite sono quelle fra i 30 e i 39 anni e fra i 40 e i 49 anni, e che nel 72 percento dei casi si tratta di donne italiane. Nei minori, senza distinzione fra bambini e bambine, i più abusati hanno fra i 7 e i 14 anni e la cittadinanza è italiana nel 70 percento dei casi.

Ma cos’è il Codice Rosa? È una procedura che prevede un percorso di accesso al pronto soccorso riservato a tutte le vittime di violenza, senza distinzione di genere o età. Di fronte a questi casi entra in azione una vera e propria task force: medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, magistratura, forze dell’ordine, associazioni e centri antiviolenza – che ha consentito di far emergere i tanti episodi di violenza, di dare sostegno alle vittime e di perseguire i responsabili.

L’azione più complessa è risultato individuare gli abusi sui bambini, in quanto riconoscere i “segni” non sempre palesi è molto difficile e richiede l’occhio attento del personale, tutto con specifica formazione, svolta in collaborazione con il Meyer. Un’iniziativa che sta tirando fuori realtà tragiche che troppo spesso restavano pericolosamente sepolte dentro le mura di casa.

 

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