Siamo alla seconda settimana, il lavoro alla casa dei poveri è stato finito, al Settlement invece rimangono pochi ritocchi. Ci spostiamo alcuni giorni a Kolayad che si trova a circa 120 km da Cochin, raggiunta con il treno con un viaggio di circa 5 ore. Un viaggio estenuante, ma ne vale la pena.

Siamo nella foresta, ospiti presso una casa delle suore Domenicane che qui oltre a gestire una scuola materna si occupano oramai da quasi vent’anni di aiutare le famiglie povere del luogo, spronando le donne del posto ad intraprendere attività commerciali, prestando loro dei soldi che vengono restituiti senza applicare alcun interesse, a loro volta prestati ad altre donne e il ciclo ricomincia.

Purtroppo in questi paesi gli uomini hanno un ruolo che incide negativamente nel management familiare, non lavorano e sono dei grandi consumatori di alcool, sono pochi gli uomini e mariti che contribuiscono e collaborano con le mogli. In tutto ciò i bimbi sono quelli che più risentono di queste situazioni.

In questi due giorni abbiamo avuto anche momenti di riflessione, con la visita alla cava delle pietre in cui il costante e massacrante lavoro di uomini e donne addette a spaccare le pietre sotto un clima torrido e con solo un paio di ciabattine ai piedi. Un lavoro massacrante, quasi un lavoro forzato forse schiavizzato. Anche questa è l’India, con i suoi colori, con i suoi profumi, con i suoi sapori ma con le sue ingiustizie, la sua povertà, la sua debolezza.

Ci è stato permesso di addentrarci nella foresta del Kerala, dove abbiamo incontrato le tribù indigene Adivasi , popolazioni originarie dell’India, che non si sono mai integrate nel sistema e che pur essendo molto vicine ai centri abitati hanno un netto distacco con le popolazioni del luogo e un totale rifiuto della “civiltà.

Pensieri di:

YAHIA
Il termine Spacca Pietre, non rende giustizia all’immane fatica che queste persone compiono tutti i giorni. Vedere quei grandissimi cumuli di pietra e pensare a quante ore di lavoro sotto il sole sono servite per farle diventare così piccole tali da essere utilizzate addirittura per fare il manto stradale, simile al nostro ghiaino, mi ha provocato una grandissima angoscia e difficilmente dimenticherò quei movimenti che incessantemente sembrano dare il tempo quasi come un pendolo di orologio“.

JESSICA
Sono stata colpita dal modo in cui vivono ancora le Tribù indigene, e dal legame che hanno con le Suore Domenicane pur essendo di religione diversa. Mi ha molto scioccato invece il modo in cui lavorano le persone nelle cave, senza prevenzione, senza misure di sicurezza e in condizioni veramente disumane“.

Il ritorno a Cochin ci ha permesso di ultimare i lavori al Settlement e di organizzare per loro una visita al mare. Queste persone escono al massimo 2-3 volte l’anno e una di queste è con noi, con due pulmann noleggiati per l’occasione abbiamo condiviso con loro il viaggio e un po’ di quella libertà per noi scontata ma che per loro non lo è.

La nostra permanenza con loro si conclude con la consegna di alcuni doni che ci erano stati richiesti il primo giorno, materassi e abbonamento ai quotidiani, oltre a dei vestiti per coloro che ci hanno aiutato durante i lavori di pittura.

Il direttore nel suo discorso di saluto ci ha ringraziato per il nostro lavoro ma soprattutto per il nostro continuo supporto in questi anni che ha permesso di migliorare le condizioni della struttura e di dare a chi vive là dentro lo stimolo e la voglia di fare, la voglia di sentirsi vivo. Con questo si conclude anche il viaggio che per tutti noi è stata un’esperienza indimenticabile e che ci ha permesso di confrontarci con una realtà diversa.

In India abbiamo portato il nostro supporto a chi ne ha bisogno ma torniamo via con dei ricordi che ci accompagneranno per tutta la vita.

Foto di Ivan D’Alì.