Non arriva purtroppo a Prato MOMMY. Ed è un peccato perché sarebbe stato il film della settimana ed una rivelazione per molti questo primo film (su 5 già realizzati) a sbarcare nelle sale dell’enfant prodige (regista, sceneggiatore ed attore) canadese Xavier Dolan, uno capace di vincere a 25 anni il premio della Giuria a Cannes ex aequo con Godard.

E’ certamente vero, come scrive la metà dei critici italiani, che MAGIC IN THE MOONLIGHT non è uno degli Allen migliori. Non è assolutamente vero, come scrive l’altra riottosa, barbosissima metà, che è uno dei peggiori, per il semplice motivo che il peggior Allen non esiste.
(No nemmeno To Rome with Love, che tra l’altro contiene una tra le trovate più geniali – il cantante lirico sotto la doccia – del suo ultimo periodo).
Quindi scriviamolo subito a chiare lettere: i film di Allen vanno visti TUTTI. E al cinema.
E ci mancheranno tanto quei titoli sempre uguali con la musica jazz quando Allen non ci sarà più per cui gli auguriamo altri 30 di questi film in 30 anni, in culo agli haters della critica 2.0. (Gli stessi che poi magari si esaltano per Blue Jasmine che, per scrive, non vale più di un Incontrerai l’uomo dei suoi sogni, solo perché il primo è più posato e drammatico e il secondo più farsesco e grottesco).
D’altra parte Allen è andato in pensione da un bel po’ – Match Point? – dopo un decennio di film in cui il lavoro cominciava palesemente a stancare – Hollywood Ending – e il mestiere è diventato, più serenamente, un passatempo per girare il mondo e circondarsi di belle donne giovani. Chiamalo grullo.
Così il suo cinema è diventato un continuum spaziotemporale pervaso dalla grazia, in cui se spesso viene meno l’urgenza, la foga di dire cose nuove che è propria, spesso, dell’arte in giovine età, ma resiste – appunto – la Grazia, il Piacere di raccontare, il lampo geniale capace di spazzare via la concorrenza.
Vi basti sapere – per non rovinare le sorprese – che Magic in the Moonlight parla di magia. Tema caro di Allen, da Alice al capolavoro – quello sì – Ombre e nebbia, da La maledizione dello scorpione di Giada a Scoop. E se è vero che il racconto pecca quindi dall’origine in originalità e Colin Firth non è Cary Grant, è altresì vero che non tutto è sciocchino come sembra – nemmeno il vituperato Scoop era un film sciocco –, Berlino e la Costa Azzurra calligrafati alla fine degli anni 20 sono immersi nella solita bellissima luce ed Emma Stone è splendida con quei vestitini. Forza Woody.

Prima o poi ci sarà da studiare a fondo i fratelli Farrelly. Che tra tutti i registi del nuovo cinema comico americano sono quelli che hanno un maggior rapporto con il cinema classico, nonostante l’apparente demenza e le continue battute volgari del loro cinema. SCEMO E PIU’ SCEMO 2 è una sorta di versione “senile” del primo e quindi vicino più come sensazioni alla Strana Coppia che alle goliardiche imprese di Seth Rogen e soci. Quindi si esce dalla sala un po’ tristi, si ride meno o meglio si ride uguale ma son cambiati i tempi e siamo cambiati noi e i fratelli non sono più à la page come negli anni 90, ma lo stile c’è sempre e c’è un cammeo di Bill Murray che vale un intero film.

Certo meglio di queste commedie francesi che ricalcano le commedie americane anni 90 con quel velo di tristezza francese. Tipo UN AMICO TUTTO SPECIALE, paraculata natalizia che il bravissimo Tahar Rahim (Il profeta) non riesce a sollevare dalla melassa.
Nel dubbio comunque Woody tutta la vita.