In un ipotetico Monopoli fatto degli artisti indipendenti italiani Paolo Benvegnù sarebbe una casella importante, come quella della Società delle Acque. Paolo fa parte del mondo della canzone d’autore da anni: il suo lessico poetico ed importante, il suo essere leggero ma profondo, la sua presenza magnetica sul palco fanno sì che sia doverosa per Lungarno qualche domanda, alla luce dell’uscita del suo ultimo lavoro “Earth Hotel”. Il 30 gennaio sarà in concerto al Tender Club di Firenze.
Benvegnù accetta un’intervista via mail, più comoda per l’artista ma forse meno spontanea: quello che ne esce è una lettura leggerissimamente corposa e che francamente ci sorprende. Prendete fiato ed iniziate.

Earth Hotel, ultima fatica dei Paolo Benvegnù. Il tema, bene eviscerato e costruito, è quello dell’amore, tutto l’amore. Che differenza c’è fra questo amore e quello che cantavi nei tuoi precedenti brani? E’ una questione di “sintassi sentimentale” o è cambiata la tua visione su questo argomento?

Vorrei innanzitutto ringraziarti. Ringraziarvi. Perché dare spazio a degli outsiders come noi è coraggioso. Come tenere alla Fiorentina. E, per inciso, io sono tifoso viola.
Detto questo, rispondo al primo quesito. E’ vero. Earth Hotel è un disco che parla di amore.
Amore, però, visto da altre angolazioni rispetto a prima. Da altre profondità rispetto a prima.
Analizzando la parola Amore, colpisce che si possa scomporre in A-mors: letteralmente non-morte.
Partendo da questo assunto, perfino questo nostro dialogo è un atto d’amore, cioè di non-morte. Perché è un atto che si compie da vivi e tra vivi.
Ecco che allora tutto ciò che noi compiamo è Amore.
Ed è così confortante saperlo.
Ed è così confortante non poterlo controllare.
Ed è così meraviglioso che ci possa guidare.

Mi ha particolarmente colpito il brano “Orlando”, per stile ed arrangiamento. Una canzone che a tutti ha ricordato la tradizione cantautoriale  italiana: quali sono i tuoi riferimenti nel mondo dei cantautori e nell’ambito più generico della musica moderna?

Orlando, in realtà, è più legata ad una canzone popolare che mi cantava mia madre quando ero piccino. (“andiamo a mietere il grano..etc..). Innegabilmente come scrittura sembra avvicinarsi alla tradizione dei songwriters italiani per eccellenza (penso a De André, a Tenco) e probabilmente, inconsciamente mi ci sono confrontato. In verità, ciò che più mi ha colpito negli ultimi quarant’anni nel panorama musicale italiano, è quel meraviglioso paradosso di stile di Gaber e Luporini, nel periodo dal 1973 (polli d’allevamento) fino ad “Io se fossi Dio”.  La potenza evocativa ed il coraggio di estrarsi dalla forma canzone reinventandola teatralmente mi sono sempre sembrati un patrimonio prettamente unico e fortemente identitario. Così lontano da tutte le fiere della canzone italiana, così vicino alle cause del malessere di questo Paese. Ovviamente, rispondendo alla lettera alla tua domanda, potrei riempire decine di pagine con i riferimenti che mi hanno più colpito nel tempo. Però in realtà, essendo, come un albero ormai adulto, stratificazione su stratificazione, preferisco e mi è più semplice ricordare la radice. E cioè la musica classica, Mozart, Richard Strauss. E la letteratura. E il cinema. E la vita di tutti i giorni nel personale e nel quotidiano.

Ti confesso che trovo il tuo uso della lingua italiana sublime. E trovo i vostri arrangiamenti belli, pieni, completi e fantasiosi, ma uno serio problema: spesso non vi capisco. Mi rimangono di un brano tre immagini, due assonanze ed una frase. E’ colpa mia, o il gioco funziona così?

Ti ringrazio. Anche a nome dei miei compagni. Anche se devo dire che siamo e ci sentiamo apprendisti. In Assoluto e di Assoluto. Per ciò che concerne la comprensibilità, ho almeno un paio di considerazioni da fare.
La prima è che, muovendoci in un contesto di assoluta desertificazione dell’Idea, noi DOBBIAMO muoverci per mistero e complessità, visto che tutto è ormai semplificato ai minimi termini, depotenziato di sfumatura.
La seconda è che ogni messaggio, fatta salva la necessarietà del messaggio stesso, arriva solo SE e QUANDO deve arrivare. Non è importante la quantità. E’ importante la qualità dell’interlocuzione, dell’Altro. Viceversa si è imbonitori, seduttori. Allora bisogna fare politica, non Espressione. Vedi? Hanno rubato a Pessoa quella meravigliosa intuizione: ”Il Poeta è fingitore”. Se tutti lo sono, allora il Poeta deve essere verità. E la Verità non è mai così semplice.

Sei un veterano della musica indipendente italiana, ed hai avuto a che fare praticamente con tutti gli artisti di questa scena. Su chi avresti  scommesso, magari perdendo, negli anni 90, tu escluso?

Oh.. Io ho scommesso su Marco Parente. E secondo me è una scommessa vincente ieri, oggi, domani. La scrittura, Frederick, sua Maestà la Scrittura! ( per dirla a la Fassbinder).

Fra poco compirai 50 anni. Quali traguardi ti senti di avere raggiunto a livello artistico, e quali vorresti raggiungere? Chi guardi come artista “esempio”, ovvero a chi vorresti somigliare nel tuo tempo in divenire?

Abito a Città di Castello. In via del Maestro c’è una piccola officina di tipografia, ancora in funzione potenzialmente, che però non ha clienti e non stampa nulla. Ogni pomeriggio Antonio, il padrone della tipografia, viene raggiunto da Oreste e sua moglie. Si mettono i camici da lavoro. Parlano del più e del meno, spesse volte stanno per ore in silenzio e guardano le macchine ferme. Loro sono gli esempi. I miei traguardi raggiunti, i miei traguardi da raggiungere.

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Nasci a Milano e ne fuggi: in pratica hai fatto il percorso a ritroso di chi tenta la carriera artistica. Forse è come un rifuggire dalle possibilità di inserirsi in una scena mainstream? Che rapporto hai con il mondo delle major, tralasciando la tua giustificata polemica sull’uso del brano “Il mare verticale” di Giusy Ferreri?

Sono fuggito da Milano perché sottoproletario e pieno di ogni tipo di miseria. Sono fuggito perché altrove cercavo un’Altrove. Ci sono poi tornato con Scisma, il mio primo gruppo, perché volevo un contratto con una major. Ci sono, ci siamo riusciti. Mi sono accorto così, in modo lampante, della disintegrazione di ogni valore che non fosse il denaro da guadagnare, il denaro da potere ostentare. Questo tipo di approccio alla vita, alle cose, all’Espressione, non mi si addice,  non mi si addiceva. Così ho scelto altro. E sono stato e sono felice di questa scelta. Detto ciò, ancora non ho il talento per scrivere in leggerezza e profondità.
Perciò non ho il talento che serve per essere un artigiano di successo, ma solo l’impegno per essere uno studente all’altezza.
Mi si permetta di dire, comunque, che l’approccio all’Espressione che ho citato prima da parte delle multinazionali, le ha portate sul lastrico. Con mia somma soddisfazione. E la mia completa disistima.

Parteciperesti a Sanremo come alcuni tuoi colleghi indipendenti? Cosa pensi di questa imminente manifestazione?

Ho provato l’anno scorso ad andare a Sanremo. Un brano dei due presentati era Orlando. Perciò non nego di averci provato, ad andare a quella sagra dell’uva con una canzone riconoscibile. Non ci riproverò mai più.

Concludi un’intervista a Rockit dicendo “L’ultima volta che hai pianto? Dieci minuti fa.” Riprendo questa frase per chiederti se, come affermò con sicurezza Bobo Rondelli a noi di Lungarno, un artista vero e proprio deve avere dentro un filone di dolore e forte malinconia. Tu che ne pensi?

Penso semplicemente che in quanto esseri viventi non possiamo esseri scevri di Gioia, Vivacità, Colore, Melanconia, Rabbia, Possesso. E molto, molto altro ancora. L’Artista non esiste. Esiste casomai l’Essere. Ho visto molta più arte negli asili infantili che sui palcoscenici di mezzo mondo. Poi esiste l’Artigiano. Ma è, l’artigiano, effetto dell’Essere. Non la Causa. Questo, Michelangelo lo sapeva bene. La sua rabbia nei confronti del David non era per l’imperfezione, ma per l’impossibilità di creare in Carne e Sangue. E Michelangelo ERA talmente, che si nomava Artigiano. Come dargli torto?

Tralasciando scontate e retoriche analisi, cosa pensi dell’attuale situazione sociale (e politica) italiana, a fronte anche del fatto che hai suonato al Woodstock 5 Stelle?

Ne ho parlato prima, scomodando Pessoa. Ribadisco il concetto.  Finzioni e Seduzioni. Grossolane. Vergognose. Stolide. Misere.
Non un Uomo, una Donna, che si elevi contro il culto dell’IperDesiderio.
Nella società invece, in quello che io chiamo mondo reale, esistono ancora piccole sacche di resistenza. Incrollabili e stupefacenti nel personale e nel quotidiano.
E mi commuove la loro esistenza. Come chi si ostina a leggere.
Come chi si ostina a guardare  la luna.
Come chi ne misura la distanza.
Ho suonato due volte ai primi raduni del movimento cinque stelle.
L’atmosfera era gioiosa e febbrile.
Come ad un convivio tra persone civili.
Fino a che non è diventata massa.
Fino a che non è diventata come un concerto allo stadio.
Essere lì per poterlo dire, senza un’idea.
Essere lì perché insieme si muore meno che da soli.
Essere lì perché essere altrove da solo è disperante.
E se io dico yeah voi dite yeah.
E se io dico all right voi tutti dite all right.
Grillo e Bon Jovi sono la stessa persona.
Evviva.

Se non avessi fatto questo lavoro, cosa avresti voluto fare o cosa avresti dovuto fare, e perchè?

Questo non è un lavoro. È una meravigliosa, intensissima ricerca. Perciò io continuo ad essere uno studente. Non vorrei essere altro. Non sarò altro finchè vivo. E sono anche taxista, panettiere, benzinaio, cameriere. Ma non sarò altro finchè vivo.

Congedaci con un consiglio su un libro ed un disco, quelli insomma che regaleresti al tuo cugino che non vedi da 25 anni.

Talk Talk, Laughing Stock
Ceronetti, Insetti senza frontiere.
Angelo, che fai il dentista etico. Nutriti.
Che non di solo denti vive l’uomo.