Presenziare ad una serata pop punk comporta sicuramente alcune difficoltà, a partire dal sacrosanto rifiuto dell’accostamento di quei due termini, che insieme formano una parolaccia con coefficiente di violenza morale molto elevato. Accostare il pop al punk è come ordinare una pizza al catrame, ma alla fine tutto si riduce a giochi di parole che sempre più difficilmente si riciclano per individuare generi musicali. Oltretutto al pop punk non si associano più solo band pacchiane come Paramore o simili fenomeni da MTV, ma il termine si è esteso a gruppi di qualità che intendono declinare il punk rock in maniera leggera o sentimentale. Il primo ostacolo sembra dunque superato, il secondo è il fattore età, perché il pubblico dei concerti negli anni o diventa sempre più intransigente o si mette a sedere in qualche microclub intimo ad ascoltare le performance avanguardiste di nicchia, lasciando il resto ai ragazzini. Per me questo non è assolutamente un problema, perché comunque mi vesto da quindici anni come un ventenne.

Cycle_2015_01_30_1Arrivando al Cycle di Calenzano succede proprio ciò che mi aspetto, cioè rovino incredibilmente l’età media dei presenti, ma riesco a mimetizzarmi alla perfezione, credo. I concerti iniziano miracolosamente alle 22,30, sfatando usanze italiche per cui i live cominciano il giorno seguente, cioè dopo mezzanotte. Sono già sveglio da sedici ore e quindi sono molto contento di iniziare a vedermi i One Last Yard da Bologna, anche se la mia attenzione è maggiormente catturata dai tipi col costume da banana e da orsacchiotto che moshano nel pit. Lo spirito adolescenziale decolla come un volo in first class, con tutti I brufoli che volete, ok, ma non è forse proprio la giovinezza la prima classe della vita? La mezz’ora sul palco serve a riscaldare un po’ gli animi e niente più, fino al primo cambio palco, quell’intervallo che rientra fra le maggiori cause di cancro ai polmoni.

Cycle_2015_01_30_TRAVELLER'S TALES_4Il tempo infatti di una sigaretta, di una, due, tre, quattro partite a calcio balilla (vinte tutte per manifesta superiorità) ed ecco on stage i modenesi Why Everyone Left, la band che accende davvero la serata col proprio easycore potente nel solco dei New Found Glory, suonato davvero egregiamente e con un’energia da trasmettere assolutamente invidiabile. Il pubblico inizia ad impazzire fra stage diving e body surfing, finché l’uomo orsacchiotto non sale sul palco per mostrare a tutti il proprio deretano ignudo. Il nudismo e la musica della band spostano decisamente la lancetta verso il punk, ed infatti la presa sul pubblico è massima e l’atmosfera è di quelle elettriche. Mi arraffo subito il CD di questo giovane e promettente gruppo, pronto per il secondo cambio palco.

Cycle_2015_01_30_DIAMARA_3Finisce che mi metto a giocare a ping pong nella sala buia: il tavolo è blu, c’è solo un neon acceso, anch’esso blu, ed una pallina arancione, di quelle per praticare il ping pong sulla neve. Provatelo. Alla fine ho perso sei diottrie e ho detto basta per sempre con gli sport da circolo. Tutto ciò prima che i Diamara da Grosseto non mi facessero cambiare idea, perché il loro approccio rock più raffinato, dark e di stampo italiano, seppur tecnicamente apprezzabile ed elaborato, ha attentato al mood della serata, rimettendomi di fatto la Stiga in mano per non farmi distrarre troppo.

Cycle_2015_01_30_TRAVELLER'S TALES_3Poco importa, in definitiva il vero motivo della mia presenza è legato a quella dei Traveller’s Tales, band di zona che sono davvero curioso di ascoltare, avendone sentito e apprezzato molto un singolo uscito qualche tempo prima, e conoscendo le qualità di alcuni membri del gruppo. I Traveller’s Tales portano sul palco un pop punk più emozionale, sulla scia di Real Friends o Gnarwolves, trascinati dal frontman Alessandro Cheti, che ha una tenuta di palco paragonabile a quella di strada di uno schiacciasassi, sicura ed energica, già espressa in passato in altri suoi progetti. Ale, Claudio (chitarrista, cardine della band) e gli altri riescono a trascinare tutti sotto al palco: l’americanità è alle stelle, pare di essere davvero in un college movie, con gli uomini banana che continuano a darsi da fare nel pit. Lo stile ed anche la qualità della band sono di livello e non tradiscono affatto le mie aspettative. Pur essendo un gruppo formatosi da relativamente poco tempo è composto da persone già esperte e conosciute; questi sadboys agrodolci, come si definiscono, regalano altroché sorrisi e divertimento sotto al palco, che poi in realtà si riversano anche sopra di esso con un’invasione da parte del pubblico. Il concerto si conclude col singolo ‘Gladstone Ave.’, con una festa che travolge tutti, proprio come scritto nel manuale del punk rock. I Traveller’s Tales, coinvolgenti, genuini e senza pretese, avranno sicuramente altri viaggi da raccontare e un meritato futuro davanti.

La full immersion nel pop punk per stasera è finita, ma a tal proposito nella mia mente riecheggeranno per giorni le parole del neo Presidente della Repubblica, per cui chi non ha mai amato il punk rock non è mai stato davvero giovane. Mi pare.