“Otello” per la regia di Luigi Lo Cascio. E’ lo spettacolo che il Metastasio ospiterà dal 26 febbraio al 1 marzo (feriali ore 21, festivo 16 – biglietti da 7 a 25 euro).

Un Otello scarnificato, ridotto a tre, anzi quattro personaggi: Otello, cui dà corpo e voce Vincenzo Pirrotta, attore palermitano erede della tradizione dei cuntisti; Iago, impersonato dallo stesso Lo Cascio; Desdemona, incarnata da Valentina Cenni; e nel ruolo di un soldato che si fa narratore, coscienza critica e coro Giovanni Calcagno.

La sua è una rilettura della celebre tragedia di Shakespeare. Che lavoro ha fatto sul testo e quali aspetti ha valorizzato?

Non sarei stato in grado di metterlo in scena tutto l’Otello. Non sono un vero e proprio regista, ho sempre l’esigenza di ridurre il testo di partenza e riscriverlo, farlo più alla portata delle mie capacità. La cosa che mi interessava di più in questa tragedia è la storia d’amore e il rapporto tra uomo e donna. Ho messo da parte la questione razziale: qui non c’è “il Moro”, Otello non è di colore, che molto spesso viene analizzato come il fattore predominante di questa storia. Nella mia rilettura la storia che raccontiamo è quella di un uomo che uccide una donna. Una storia sull’incomunicabilità fra i sessi dove la vera “straniera” è la donna, l’unica sul palco a parlare in italiano, elemento che denota un ostacolo di comprensione fra il protagonista e l’amata.

Ha scelto di riadattare il testo in siciliano. Perché?

Non sono uno scrittore, non sono un poeta e dovendomi riferire a Shakespeare l’italiano corrente non mi permetteva di esprimere al meglio la lingua barocca utilizzata nelle sue opere. Ho provato, ma non ci riuscivo. C’è un detto che dice che per tradurre un verso di Shakespeare al meglio ci vogliono tre endecasillabi in italiano. Col siciliano mi è venuto più naturale, forse perché non è la lingua che uso, è una lingua straniera che ha delle qualità che rendono la trasposizione molto più semplice. D’altra parte avendo Pirrotta e Calcagno, due attori siciliani poteva essere una cosa fattibile.

Anche Iago, colui che insinua nel cuore di Otello la gelosia nei confronti dell’amata, ha un ruolo diverso rispetto al testo originale.

Iago diventa un personaggio marginale e non è il co-protagonista tentatore della storia. Questo perché parto dal presupposto che se Iago è in grado di accendere il meccanismo che scatenerà la tragedia, è perché c’è una struttura che risponde a questa semplice scintilla, pronta ad accendersi. Non ci sono quindi i lunghi monologhi in cui Iago architetta il tranello. Appare in due momenti: uno, mentre va verso la sedia della tortura, in cui Iago parla del male, componente fondamentale dell’uomo secondo lui; un altro momento diventa più contemporaneo, emergendo dalla massa del testo, in cui all’interno di una cella, confessa la sua misogenìa, il suo odio nei confronti delle donne.

Che ruolo ha la scenografia, quasi completamente nera, in questo lavoro?

E’ l’unica tragedia di Shakespeare che comincia e finisce di notte. Non è proprio nera la scena, è un grigio che vuole richiamare l’accampamento da campo militare, per la dimensione della guerra che coinvolge sia Otello che Desdemona che decide di seguirlo sul campo di battaglia. Lo scuro fa anche da supporto ad alcune apparizioni e proiezioni, realizzate da Nicola Console e Alice Mangano, due scenografi che hanno sempre lavorato con me.

Un uomo che uccide una donna. Ha nulla a che vedere con l’attualità?

Non ho voluto attualizzare la storia su argomenti di oggi come la violenza di genere, non è mia intenzione. E’ un uomo che uccide una donna, al pubblico di rendere contemporanea la storia.

Che rapporti ha col Metastasio di Prato?

Come autore “conosciuto dalle persone” nasco a Prato. Avevo già fatto un testo a Udine nel 96, “Verso Tebe”, ma non avendo fatto cinema, non mi conosceva nessuno. Qui nasco davanti allo sguardo di chi mi aveva già conosciuto al cinema. Il primo posto che mi ha dato fiducia è stato il Metastasio di Prato con “La Tana”. Sono tornato poi con Ronconi con il “Silenzio dei Comunisti” e le “La caccia”.

Che ne pensa dei teatri nazionali e della riforma del sistema teatrale?

Sinceramente ancora non ne so molto. Quello che sento andando nei teatri dai direttori è che c’è un’attesa e un certo scetticismo. Ormai i giochi sono fatti e le domande depositate: vediamo gli effetti, vediamo questo primi anni e poi potremmo dire se questa riforma è sensata o meno.