rugby prato

“Prato e i suoi volti” è il corso di giornalismo organizzato da Officina Giovani e tenuto dalla nostra Stella Spinelli a partire da ottobre 2014. Si tratta di una serie di inchieste su specifici problemi e caratteristiche della città

di Arianna Di Rubba

Hanno scelto di chiamarsi Invictus perché sul campo si sentono invincibili. Si allenano duramente tutti i venerdì per un’ora e mezzo. Con il caldo, il freddo, la pioggia, il fango, niente li ferma. Non stiamo parlando del celebre film di Clint Eastwood, ma degli Invictus Rugby Prato, la prima squadra italiana di rugby integrato, nata nel 2010 grazie alla collaborazione tra il Laboratorio Sportivo ASD di Marco Bertocchi e Claudia Cavaliere e la Polisportiva Aurora. Sono una ventina i ragazzi, tutti tra i 18 e i 42 anni, che hanno deciso di intraprendere questo percorso perché il rugby non è solo sport, amicizia, ma può essere anche un valido strumento terapeutico e riabilitativo per l’integrazione e l’inclusione sociale. E basta andare un venerdì pomeriggio alle 15 al campo Memorino di Iolo per percepire quanto questo gioco di squadra sia di fondamentale aiuto per questi ragazzi, perché gli Invictus si emozionano e regalano emozioni. Quando è partito il progetto, gli Invictus erano cinque, oggi sono una vera e propria squadra di rugby, che ha come unico obiettivo quello di superare il concetto di riabilitazione, partendo dallo sport. “Da quei cinque ragazzi ad oggi, il progetto Invictus è diventato una buona pratica, un contenitore di rugby sociale che sta sviluppando un’importante rete toscana di rugby mixed ability che da settembre farà la sua comparsa anche nelle scuole – ha dichiarato Marco Bertocchi del Laboratorio Sportivo – Nel maggio scorso a Prato si è svolto il primo incontro che ha sancito l’istituzione di un tavolo di lavoro nazionale sul tema. Inutile dire che la soddisfazione maggiore è che da quei cinque ragazzi sia nata questa splendida squadra!”. Nessuno escluso! Questo è il motto degli Invictus. “Abbiamo ragazzi con sindrome dello spettro autistico, persone con difficoltà relazionali e ambientali. Talvolta la pratica ha superato la teoria e abbiamo visto accadere sul campo ciò che da manuale non potevamo aspettarci – ha spiegato Luciano Giusti della Polisportiva Aurora – Tutti hanno un valore nel rugby, uno sport che ha intrinseco il vero gioco di squadra, cosa che invece sfugge al calcio o ad altre discipline sportive. E qui abbiamo una regola: se uno sbaglia qualcosa, deve pagare un euro, chi non si presenta a un allenamento, la volta dopo deve portare un dolce. Questo per dare un maggior senso di responsabilità ai ragazzi e per far sì che si creino dei legami nel dopo partita”.

Alessandro, il coach amico

Uno staff costituito da operatori, allenatori, rugbysti, psicologi, lavora per far si che l’unica preoccupazione dei ragazzi sia quella di impegnarsi e divertirsi. Sta poi al team adattare il gioco in modo da riuscire a includere nella squadra chiunque abbia voglia di giocare. Uno fra tutti Alessandro, il coach. Un poliziotto che da tre anni e mezzo ha deciso di aiutare gli Invictus e ha preso le redini della squadra, ottenendo ottimi risultati, sia sul campo che fuori. “Lavoro molto sul contesto del gruppo, il mio obiettivo è far avvicinare persone con patologie diverse a questo sport, farle sentire importanti e parte integrante del gruppo”, ha spiegato il coach, mentre dietro di lui i ragazzi hanno iniziato a riscaldarsi in piena autonomia. “Far parte degli Invictus vuol dire condividere gioie e sofferenze. Questo è un team saldo e compatto, i ragazzi si rendono conto di potersi aiutare tra di loro. Tutti per uno, uno per tutti. Questo è il nostro motto e lo spirito con il quale scendiamo in campo”. Il rugby non è solo sport, ma anche amicizia e condivisione. È terapia fisica e mentale. “I ragazzi sono tutti diversi l’uno dall’altro, il mio compito è quello di farli sentire tutti alla pari. C’è quello che deve essere spronato, quello che deve essere incentivato. Ognuno ha il suo ruolo e sa di poter dare e ricevere dagli altri, tutti sono importanti – ha aggiunto Alessandro – Il rugby è fatto anche di contatto, mischia, placcaggi, situazioni di gioco che dall’esterno ad alcuni potrebbero sembrare ingestibili per i ragazzi, ma che invece per loro sono medicina. Qui per esempio c’è un ragazzo autistico che quando è arrivato non sopportava il contatto, ora non ha più problemi. C’è quello che aveva paura di sporcarsi e veniva ad allenarsi tutto coperto, adesso si butta a terra tranquillamente e se si sporca non succede niente. Tutti abbiamo dei limiti, quello che conta non sono gli ostacoli, ma il percorso più corretto per superarli”.

Da Prato a Cochin, per fare “meta” al campo Memorino

“Fin da piccolo ho sempre fatto volontariato. Nel 2012, anno della maturità, con la scuola ho avuto l’opportunità di partecipare a “Cittadini del mondo – passaggio in India”, un progetto per la promozione della salute mentale. È stata un’esperienza unica, ho fatto nuove amicizie, ma soprattutto mi sono reso conto della difficile realtà di quei luoghi. Al Sert di Cochin si vedono cose che non capita tutti i giorni di vedere. Dopo questo viaggio mi hanno proposto di entrare in questa squadra e per me è stato naturale accettare l’invito”. Damiano ha 23 anni, la famiglia gli ha tramandato la passione per il volontariato e lui ora non può viverne senza. Da un anno gli Invictus gli hanno dato la fascia di capitano “E’ stata un’emozione grandissima ricevere questa fascia e essere chiamato dai giocatori stessi a ricoprire questo importante ruolo – racconta il giovane, con lo sguardo sempre rivolto verso i suoi compagni di squadra – Non mi sono mai sentito in una squadra diversa, siamo persone che vengono qui per fare una normale attività sportiva. Mi trovo benissimo con tutti, ci divertiamo e ci alleniamo insieme a rugby, lo sport più bello del mondo”.

Il facilitatore sportivo

Al campo Memorino è presente anche una nuova figura, quella del facilitatore sportivo, che ha il compito di coadiuvare arbitri e allenatori, ma soprattutto di facilitare le dinamiche di gruppo e l’integrazione tra i vari membri della squadra. La sua figura nasce all’interno di un progetto, “Dove c’è rete…c’è un campo di calcio”, ideato da Pangea Onlus, insieme all’associazione dilettantistica sportiva Aurora e a Di.a.psi.gra. Questo compito, nella squadra degli Invictus, è affidato a Simone, ex giocatore di rugby, ha militato nella nazionale italiana under 16 negli anni ’90. “Ho fatto rugby per tanti anni, poi ho smesso di giocare per dieci anni perché ho avuto un po’ di problemi. Il rugby è sacrificio, tecnica, fisico, resistenza, ma anche aggregazione e strumento importante per superare certi ostacoli – ha spiegato Simone – Sentivo nostalgia del campo e della palla ovale, così ho deciso di provare a rimettermi in gioco. Mi sono reso conto che c’era chi non riusciva ad inserirsi bene e aveva bisogno di qualcuno in grado di aiutarlo a comunicare e a integrarsi con il resto della squadra. Così ho rimesso le scarpette e sono rientrato in campo, come facilitatore sportivo”. Simone ha una storia difficile alle spalle, ma ha avuto la forza e il coraggio di chiedere aiuto e di rialzarsi, e ora sta cercando di trasmettere questa energia agli altri ragazzi della squadra. “Il rugby è uno sport che ti forma, sotto tutti i punti di vista, fisicamente, caratterialmente. Ti permette di entrare in relazione con gli altri, ti insegna a comunicare, a rispettare le regole, cosa vuol dire fare gruppo, ti rilassa, ti aiuta a superare certi ostacoli che magari da solo non sei in grado di oltrepassare – ha continuato Simone – Il facilitatore deve individuare i ragazzi con più problematiche in campo, spronarli, aiutarli ad emergere e a inserirsi nel gioco. Mi sono reso conto che molti grazie a questo sport hanno migliorato la propria condizione fisica e mentale e questo per me, che so cosa vuol dire toccare il fondo e rialzarsi, è la meta più bella”.

Dal campo di Iolo a quello di Bradford

Nel corso degli anni sono stati numerosi i tornei che i ragazzi di coach Alessandro hanno effettuato con alcune squadre old e della serie C affiliate alla Federazione Italiana Rugby, e ora questa avventura diventerà mondiale! Gli Invictus, infatti, insieme al Chivasso Rugby Onlus e al Settimo Torinese Rugby, rappresenteranno l’Italia alla prima edizione del Torneo Mondiale di Rugby Mixed Ability, un campionato del mondo speciale, nel quale si confronteranno squadre composte, in parte, da giocatori con ritardi cognitivi e disabilità psichiche. L’evento si svolgerà dal 17 al 21 agosto a Bradford, in Inghilterra. Alla manifestazione saranno presenti 14 squadre europee di rugby mixed ability e saranno coinvolte sei selezioni regionali della Federazione rugby inglese per giocare partite dimostrative. È prevista la partecipazione di oltre 300 giocatori con differenti abilità in rappresentanza di oltre 10 nazioni, comprese Inghilterra, Scozia, Galles, Italia, Francia, Irlanda, Serbia, Belgio, Spagna e Argentina. La nazionale italiana sarà composta dagli Invictus rugby Prato e dal Chivasso Rugby Onlus. “Il rugby è un grande meccanismo per combattere il disagio – ha commentato Luciano Giusti – non ci aspettavamo di essere chiamati per partecipare a una competizione così importante. Questo avvalora sempre di più il binomio sport-integrazione”. L’obiettivo di questa manifestazione, che si svolgerà a cadenze regolari, è proprio quello di generare una maggior consapevolezza sulla disabilità e aumentare la partecipazione negli sport Mixed ability, ma allo stesso tempo creare nuove partnership tra associazioni sportive, club, enti di formazione e di educazione, scuole, comunità locali ed Istituzioni. Perché il rugby è rispetto, disciplina, lavoro di squadra, divertimento, ma anche una medicina, una luce in fondo a un tunnel.