Mentre ve ne state a guardare i migliori show di Costantino Della Gherardesca su Real Time, io esco per andare al Next Emerson, e appena varcato il portone mi becco pure i complimenti per la maglietta che ho indosso dai fattoni sotto casa, notoriamente ipercritici riguardo la società ed i suoi costumi. La serata inizia quindi alla grande, mi sento cool come ad un afterparty del Fuori Salone, ma senza paresi facciali e cocaina. Tutto ciò che mi aspetta è un banchetto post metal firmato Juggernaut e Deaf Eyes, un venerdì 17 apocalittico in barba alle superstizioni.

Mille gatti neri mi attraversano beffardamente la strada, ma a me non interessa; quando sei vestito come un black bloc che sta andando ad un concerto in un centro sociale sei tu stesso il gatto nero. Io e Necro arriviamo col timore di essere in ritardo; all’ingresso non si trova il timbro che solitamente si stampa sulla mano dei paganti, quindi vengo segnato con una X, neanche fossi straight edge. È così che la vecchia scuola sopperisce alla crisi e finalmente entro nel locale, scoprendo che nonostante siano quasi le undici sono ancora tutti a cena. Pizza, pasta, torte, una vasca piena di frutta, un simposio di gentiluomini ad un euro a shottino.

Per fortuna il bar ha prezzi politici ed i concerti non aspettano il tempo della digestione. I Deaf Eyes imbracciano gli strumenti, ma non montano sul palco perché proprio non c’è, e si limitano a porsi di fronte al pubblico. Questo è l’underground, un fight club con regole tutte sue. I Deaf Eyes sono una delle migliori band del genere attualmente in attività in Italia, per non dire in Europa; una band di Pistoia nata da quattro dei cinque membri degli Incoming Cerebral Overdrive, gruppo di zona ormai storico, anche se stasera c’è la defezione del chitarrista Stefano Tocci in favore di Jonathan Mazzeo, vecchia conoscenza della scena post hardcore nostrana. Il loro primo disco, uscito l’anno scorso per Argonauta Records, è un prodotto già maturo che affonda le proprie influenze nella marzialità del post metal unita alla psichedelia del post rock. Apocalittici, cupi e micidiali fanno risuonare uno dopo l’altro i pezzi del disco con una potenza unica, unita alla tecnica perfetta di chi sa maneggiare gli strumenti, quelli in legno e metallo, non in plastica e circuiti. Due chitarre, un basso ed una batteria, nessuna voce è necessaria per raccontare stati d’animo con tale violenza epica e totalizzante. Avvolgenti ed oscuramente sperimentali, i Deaf Eyes rapiscono il pubblico per mezz’ora di ordinata devastazione sonora, impeccabile come le facce serie e concentrate che si vedono in giro per la stanza. Uno show di livello internazionale proprio dietro l’uscio, creato da vicini di casa, più o meno, eppure purtroppo il pubblico non affolla il locale come dovrebbe.

Dopo una visita ai cessi più folkloristici della città di Michelangelo, affrescati da allievi del Maestro, faccio in tempo a sentire le prime note del concerto dei Juggernaut, band romana che sta per compiere dieci anni di attività, e che propone uno stile in linea con quello dei Deaf Eyes. La formazione è la stessa, ma l’accento è quello di Mario Brega. Il sound dei Juggernaut è anch’esso potento e preciso, tanto tecnico che mai vorrò sfidare i due chitarristi a L’Allegro Chirurgo. Può apparire curiosa l’introduzione a ‘Crapula’, un pezzo di denuncia nei confronti del mondo della politica, che non avendo un testo si spiega a suon di bastonate ben assestate sugli strumenti. Non c’è bisogno di didascalie e commenti, le canzoni dei Juggernaut sono una colonna sonora molto espressiva, che svaria fra parti sludge / metal e melodie talvolta ironiche. Originali, ma non devastanti come i Deaf Eyes, si fanno apprezzare dal pubblico anche per l’approccio amichevole, finché, giunti ormai all’ultimo pezzo e vista l’assenza della fog machine, chiedono ai presenti di fumare tutti insieme per creare un effetto nebbioso: “Fumate tante sigarette”, dice uno dei chitarristi; “Sì, ma quando torna di moda la droga?”, gli risponde qualche nostalgico, che non fa mancare la tipica rispostina toscana.

È stata una serata di musica italiana underground di grande qualità, penso, mentre i bambini obesi continuano a correre su Real Time.