Perché i bambini fanno “Oooooh, che meraviglia”.
Povia

Doveva andare in Africa invece è sempre qui che lotta accanto a noi – rubando sale a chi da anni sogna di esordire al cinema (qualcuno ha detto Short Skin?).
E alla prima c’era pure l’eterno nemico D’Alema e una schiera di critici pronta a incensarne le lodi.
Come era successo per il documentario su Berlinguer, come da manuale. Tutti a applaudire Uolter, come si applaude al temino del primo della classe mediocre di un liceo borghese romano, mentre tutto il mondo intorno sgobba seriamente. Ed è troppo chiedere una sorpresa all’Italia in questo momento. Soprattutto quando si tratta di politici che promettono di levarsi dalle palle e da Montecitorio te li ritrovi nel luogo che ami di più, il cinema, a gongolare.
E nessuno tra il pubblico che si alza ed accusa Veltroni di essere un documentarista dallo sguardo ottuso, perché è OVVIO che lo sia. O qualcuno che almeno lo scriva sui giornali. Invece nulla. Si loda lo sforzo, si lodano gli intenti, si sigla un tacito accordo tra mediocri dalle buone intenzioni.

Già il titolo I BAMBINI LO SANNO vorrebbe richiamare per qualche forma di perverso onanismo I bambini ci guardano di De Sica. E si sente che a realizzarlo deve aver pensato tanto al Pasolini di Comizi d’Amore il Walter nazionale. Invece ti trovi lì a guardarlo mentre una vocina ti canta Povia nella testa. Ma solo perché non ricordi canzoni di Jovanotti coi bambini protagonisti. Perché I bambini lo sanno è, ancor più del Berlinguer agiografico, il Trionfo della Retorica Veltroniana, tutto maiuscolo come il Trionfo della Volontà della Riefenstahl. E magari ci fosse un centesimo del cinema che c’era lì. Perché se i bambini lo sanno, Veltroni NON SA. Non è capace, è un dilettante del documentario, incapace di recepire, di ascoltare, nonostante le premesse. E il suo lavoro è ombelicale, provinciale, lontano anni luci dal vero documentarismo, più vicino agli sperimentalismi di un altro coetaneo narcisista come Salvatores (Italy in a Day). Perché i bambini lo sapranno anche, ma dicono quello che Veltroni vuole sentirsi dire, per cogliere la profondità di un intimo discorso socialdemocratico e progressista. E il Veltroni regista li “filma” senza ascoltarli, senza cogliere sorprese, senza dissonanze, senza dialettica, senza urgenza. Rileggetevi i programmi del Veltroni retorico che ci riconsegnò a Berlusconi, tanto è la stessa roba filmata, con l’utilizzo di un mezzo innocente, come i bimbi. Già. Dopo il santino, i bambini. Nel prossimo, Walter, i gattini. Tanti gattini.

Anche se il Terminale, fedele alla linea, dà la priorità a Veltroni il vero film d’essai da vedere questa settimana è SHORT SKIN, opera prima di un regista fiorentino, Duccio Chiarini, che si era già fatto notare con corti e documentari. Operazione consapevole, già sorprendentemente matura di mash-up tra il modo di raccontare del primo Virzì (Ovosodo), l’appeal fotografico di certo cinema europeo (Un amore di gioventù) e un gusto per l’inquadratura ricercata post wes anderson con musica indie tipico di certo cinema americano. L’originalità sta tutta nel modo in cui tratta argomenti bassi (si parla di un problema al prepuzio), invece che problemi sociali da esordiente tipo o di bambini che ci fanno la morale. Promosso.

Il seguito di AVENGERS mantiene quello che promette. Ovvero gli ingredienti del primo moltiplicati all’eccesso. Anche se il rischio di saturare c’è e negli scontri si capisce meno che nel primo (la cui ultima mezz’ora era davvero ottima) e la durata è sempre mastodontica. Meno comedy, più cupo, come imposto dai produttori, meno nerd e cazzone purtroppo, è operazione già datata rispetto agli standard di spettacolarizzazione degli ultimi Trasnformers e Fast & Furious.
Cinema che invecchierà malissimo.

SAMBA è una commedia sociale interracial con la Gainsbourg che di interracial se la intende (la ricordiamo in mezzo a due piselli neri oversize in Nymphomaniac 2). Diretto e scritto dai registi di Quasi Amici è un passo indietro rispetto alla commedia precedente (già sopravvalutata) e mostra tutti i limiti del loro cinema. Certo i radical chic andranno in brodo di giuggiole (come per Walter).

Poi c’è lo “splendido” ritorno del cinema pugliese, LE FRISE IGNORANTI, ma davvero deponiamo le armi. No comment.