La notizia del momento è che i Pooh la prossima estate si sciolgono. Anzi, si riuniscono. Poi però si sciolgono. Tutte e due le cose insieme. Non credo sia mai successo prima, un evento di questa portata. I tre Pooh rimasti, Roby Red e Dodi (che detti così sembrano i nomignoli di un film minore della Disney) gettano la spugna dopo cinquant’anni di onorata carriera e non solo riacciuffano quel batterista che se ne andò meno di dieci anni fa (e per la cui fuoriuscita sono state giù fatte fior di celebrazioni, ma poco importa. Il pop e il rock italiano da un bel po’ di tempo a questa parte vive solo di celebrazioni…) ma anche il cantante dei primi quattro dischi, che se ne andò dal gruppo facendo molta più sensazione di un Jack Frusciante qualsiasi, fulminato sulla via di damasco da una donna (e che donna: stiamo parlando di Patty Pravo) e che, per dirla con gli Offlaga DiscoPax, ha fatto davvero la sua luminosa carriera: quel Riccardo Fogli, che dei Pooh non ha mai più voluto sentir parlare per decenni, che in un periodo – i luminosi anni ottanta – se la giocava con i quattro ex-amici in fatto di vendite, e che ha costretto gli orsacchiotti superstiti a cantare un po’ per uno, decretando così – probabilmente – la loro fortuna.
Il tempo, si sa, cambia molte cose nella vita. Specialmente dopo i sessanta. Ed è per questo che le ruggini vanno via con il Sidol, in realtà siamo stati sempre tutti amici, è l’unica via per riempire due stadi – forse tre o quattro, chi può dirlo – ed eccoci allora all’inaspettato atto finale. I cinque Pooh per la prima e ultima volta tutti insieme. Le prevendite sono iniziate, gli amanti del purismo pop e del trash si uniscono tutti insieme in un abbraccio. Pierre abbraccia la Piccola Katy, Parsifal prende sottobraccio Linda, e anche Pratosfera prende parte al carrozzone dei Pensiero e delle Tante voglie di lei ricordando che i Pooh, in un passato ormai remoto, sbarcarono anche sul Lungobisenzio. (Ma guarda te che giro lungo che m’è toccato fare per entrare nel vivo del pezzo.)
L’anno era il 1982. Al governo c’era Spadolini. Battiato sbanca e spiazza con La voce del padrone. Ma anche i Pooh glien’ammollano, al tempo. E’ probabilmente il momento di maggior successo pop e da classifica del gruppo: un trittico di album, in tre anni, finiti tutti e tre al primo posto (Viva – Stop – Buona fortuna). I singoli per l’estate e per l’inverno non si contano (da Canterò per te a Chi fermerà la musica, passando per Dammi solo un minuto). Un momento assolutamente magico, per i quattro bergamasco-veneto-romani, sancito anche da un doppio album dal vivo intitolato “Palasport”, in cui si sente più il pubblico dei Pooh che le voci dei Pooh stessi, e che nonostante questo vende anche quello caterve di dischi. Nel bel mezzo del Palasport European Tour 1982 (dove European sta a significare 40 date in Italia e 2 in Svizzera), all’interno del classico Settembre Pratese, i Pooh suonano anche a Prato. Sarà la prima e l’ultima volta.
Un concerto dei Pooh del 1982 è una cosa unica, per il panorama italiano. Da un punto di vista iconografico, scenico, spettacolare (insomma, se non si stanno a sentire le canzoni) siamo di fronte a un concerto rock. Glam-rock. Grandi soli di chitarre. Sintetizzatori a metà tra 70 e 80. Luci stroboscopiche. Fumi e raggi laser. La scritta Pooh che troneggia e s’illumina a tempo con la musica, come la sigla delle trasmissioni di Telemontecarlo. L’immaginario è molto vicino a quello dei Kiss, pur mancando le maschere. La batteria di Stefano d’Orazio (che quella sera aveva la febbre, ma suonò lo stesso, a differenza di quello che succede oggi) è imponente, definitiva, colossale. Due casse, i tom non si contano, e dietro, a sancire la grandezza e lo sfarzo, il gong. Il Gong. L’unico gruppo che si portava dietro un gong per suonarlo, credo, solo una volta a sera. Ma i Pooh in quel momento storico si potevano permettere anche questo.
Nel concerto ce n’era per tutti i gusti. Dal singolo cantato a squarciagola dai dodici-tredicenni senza capire cosa volesse dire (Chi fermerà la musica / l’aria diventa elettrica / e un uomo non si addomestica… tuttora si ignora cosa intendessero realmente dire, ma santiddio, quelle parole suonavano così bene…) alla suite para-progressive del cavaliere Parsifal, di cui quelli grandi sapevano a memoria tutte le parole. Quelli grandi, probabilmente, avevano sui trent’anni. Ma cosa ci fanno, dei trentenni, a un concerto rock? Certo che questi anni ottanta sono strani, eh… E poi, per non scontentare nessuno, un grande e sontuoso medley finale di tutti, ma proprio tutti, i ritornelli cantati da Riccardo Fogli. Cantati, ovviamente, un po’ per uno. Fu probabilmente l’inizio dei grandi concerti al Lungobisenzio. L’anno dopo arrivarono Peter Gabriel e i Dire Straits, a distanza di un giorno l’uno dall’altro. Ma nessuno dei due aveva i fumi, le luci e i raggi laser dei Pooh. E per un ragazzino degli anni ottanta, le cose importanti erano quelle.

 

Post Scriptum. Questo pezzo è una truffa. Io i Pooh non li ho mai visti. Ricordo esattamente quando ci fu il concerto, i manifesti rossi attaccati perfino in Piazza del Duomo, ed i miei amici più grandi che ci andarono, allo stadio. Con grande rammarico del sottoscritto che ancora non ce lo mandavano, la sera non si esce e poi ai concerti ci sono gli sconosciuti che ti danno le caramelle. Quindi per fare questo pezzo ho saccheggiato la memoria altrui, di chi all’epoca ci andò e mi ha raccontato, nella fattispecie Anna Maria e Michela, che ringrazio.
E’ il quarantasettenne attuale che vendica il tredicenne di allora. Permettetemelo. E perdonatemi.