thailandia

Daniele Ferri è un pratese doc che ha scelto di fuggire dalla noiosa routine che lo assillava e, inseguendo il sogno di fare della sua passione per la pallanuoto una professione, è andato in Thailandia, ha preso le redini della nazionale femminile e l’ha portata a vincere il 15 giugno la medaglia d’oro ai Giochi del Sud Est asiatico (Sea Games) diventando in due anni l’allenatore più osannato del paese. Sì perché i Sea Games sono l’appuntamento sportivo più importante d’Oriente e la Thailandia erano decenni che non vinceva una medaglia: con Singapore e Malesia non c’era mai stata storia. Almeno finora. Almeno fino all’arrivo dell’allenatore del miracolo, come lo hanno definito laggiù. Una vera e propria star, ricevuta persino dal primo ministro del regno e richiesta in tutte le principali scuole, dove tutte le mattine davanti a migliaia di studenti ha fatto pubblicità alla pallanuoto, approfittando anche per selezionare i migliori talenti.

A raccontare la storia di questo 32enne coach per hobby a Sesto Fiorentino e da sempre innamorato della pallanuoto è Il Fatto Quotidiano al quale spiega: “Non mi sarei mai aspettato un giorno di fare l’allenatore di professione, la vita è strana. In Thailandia nel settembre 2013 ci andai solo per trascorrere una vacanza. Sfruttai il viaggio per incontrare un dirigente della squadra, contattato tramite un amico, il quale mi fece subito un’offerta pazzesca: diventare il nuovo allenatore a 1300 euro al mese, più alloggio e un volo all’anno per l’Italia. Tre mesi dopo ero già là. A Prato ero insoddisfatto e annoiato. Mi occupavo delle vendite per un’azienda informatica, ma non mi sentivo sfruttato per le mie capacità, io ho una laurea in Economia e facevo una cosa che avrebbe potuto fare chiunque”.

Gioca a pallanuoto sin dall’età di 11 anni ed è arrivato a militare in serie B e i poi in C nella Futura Nuoto. L’esperienza come allenatore lo ha fatto con un club femminile di Firenze, ma l’impatto con le atlete thailandesi non è stato certo semplice. “L’importante per loro era partecipare ai tornei, non vincerli. Avevano poca tecnica, abituate solo a un allenamento al giorno, nessun esercizio fuori dall’acqua, nessuna attenzione al regime alimentare. Appena sono arrivato, ho detto ‘dobbiamo conquistare il podio ai sea games’, e ho cambiato le regole. Ho imposto due allenamenti al giorno, una preparazione atletica molto rigorosa e tante trasferte in Cina e Australia per misurarsi con le colleghe più esperte”.

“Le ragazze della squadra hanno dai 15 ai 22 anni, sono studentesse, eccetto una lavoratrice di 32 anni, e vengono da famiglie umili. Ai giochi si sono portate a casa ottomila euro a testa, una fortuna qui. Sono tutti gentili con me, mi rispettano molto, la gente mi offre cene, ma sul lavoro mi stressano parecchio. Basta che io perda di vista una scadenza per un attimo che c’è il rischio che vada tutto a rotoli. Perché sono lenti e vivono alla giornata, si pongono il problema solo quando non possono fare a meno di porselo. Per esempio, una trasferta va organizzata quasi sei mesi prima. Lo staff a venti giorni dal campus in Cina doveva ancora prenotare il volo aereo, l’hotel e fare il visto. Ho fatto notti in bianco”.

Daniele ormai parla Thai e frequenta pochissimi italiani. Non molto tempo libero e ha poca vita privata. “Sono single infatti”, ammette ridendo al Fatto. Vive in una stanza d’albergo al 21esimo piano del comitato olimpico, nel villaggio sportivo, e sente la mancanza solo del fratello e dei suoi genitori, che vede per due settimane d’agosto. È un ragazzo che ama le sfide, infatti, e abituato a non abbattersi. “La mia vita mi ha abituato ad automotivarmi parecchio per superare le difficoltà, quindi oggi mi piace motivare gli altri e dimostrare che nulla è impossibile, a patto di volerlo. I medici mi hanno dovuto allungare la tibia e il femore di 18 centimetri altrimenti un arto sarebbe rimasto più corto dell’altro. Ho portato le stampelle due anni da piccolo e fino ai 17 anni ho giocato con le gambe di altezza diversa. Il mio problema fisico però è diventato il mio punto di forza. Più in là – conclude – vorrei allenare un’altra squadra di un altro paese emergente”. Di tornare in Italia, quindi, ancora non se ne parla neppure.

 

Foto anteprima: wpdworld.com