di Ilenia Vecchio

Il mondo del teatro a Prato è affascinante quanto misterioso. A svelarci parte della complessa varietà di questo ambiente è Pasquale Scalzi, attore e autore, che si è sempre occupato di teatro a 360 gradi, dall’organizzazione alle scenografie. Parafrasando un monologo scritto da Riccardo Croci sulla società divisa in cinque categorie, ci chiarisce all’istante l’enigma: “La prima è quella degli Sdraiati che aspettano di morire e si lamentano continuamente, ma rimangono lì; poi ci sono i Seduti che hanno la poltrona e non si smuovono; quindi Quelli in piedi, sempre meno, che stanno in fila ad aspettare che si liberi una poltrona; gli Obliqui, che vacillano, provando a stare un po’ di qua e un po’ di là; e infine i Motori, i veri motori della società una rotella che gira e cerca di far girare le cose”.

Pasquale Scalzi, dall’incontro fondamentale con la Compagnia Remondi & Caporossi, ha mantenuto il credo e lo spirito di quel teatro d’avanguardia, di ricerca e sperimentazione nella sua Compagnia Teatrificio Esse: “Il nostro lavoro è particolare, lavoriamo molto sul teatro d’immagine, di figura, sul gesto senza testo. Ci muove la necessità non una cadenza periodica, ma il bisogno di dire qualcosa. La nostra è una scrittura scenica più che verbale ed essendo un collettivo non c’è un vero e proprio regista, ma tutti sono attori e autori. Mettiamo a tavolino un’idea e poi la trasponiamo sulla scena, dove molto viene fuori anche dall’improvvisazione”.

Qual è il vostro messaggio? “Noi facciamo una distinzione tra il teatro e l’intrattenimento. Più che dare risposte si formulano delle domande, per questo abbiamo bisogno di uno spettatore partecipe. È un andare oltre l’intrattenimento, dando la possibilità a chi vede lo spettacolo di riflettere sulla società e la razza umana”.

Come risponde il pubblico? E quali sono le difficoltà di questo tipo diverso di approccio? “Io non vedo apertura né da parte degli enti pubblici né da parte del pubblico che resta un interlocutore strano. Sono più quelli che fanno teatro di quelli che lo vanno a vedere. Il problema più grande è la distribuzione. Non c’è molta attenzione al tipo di cultura che facciamo noi. Come organizzazione e gestione, la mia Compagnia insieme a Terso Piano Teatro di Francesco Dendi gestiamo La Gualchiera a Montemurlo, con molte difficoltà e poche risorse; ci danno 6000 euro e non ci bastano nemmeno per organizzare il Festival”.
La Gualchiera è uno spazio inaugurato a Montemurlo nel 2010 gestito appunto da più compagnie: Compagnia Arra, Terzo Piano Teatro e Teatrificio Esse, sia a livello organizzativo che di laboratori. 

Francesco Dendi, attore e regista, è diventato gestore dei laboratori nel 2010. Il Festival che quest’anno si terrà il penultimo weekend di Ottobre, si dividerà principalmente in concorsi e serate. Sarà la settima edizione. “Abbiamo vinto il bando Progetto Prato della Regione Toscana, con una tematica legata a Montemurlo e che, attraverso azioni culturali, cerca di riqualificare il territorio urbano a livello culturale e sociale. L’anno scorso era sul concetto di identità, ossia una serie di interviste alla popolazione di Montemurlo tra passato, presente e futuro. Quest’anno i concorsi sono divisi in quattro sezioni: fumetto, cortometraggio, performance teatrale e fotografia. La tematica è a scelta, o Montemurlo o i paesaggi urbani, mentre la performance è libera. Infine vogliamo creare uno spettacolo con i rifugiati politici del territorio, cercando di lavorare sulla loro visione altra delle cose”.

Si può vivere di teatro? “Si può fare, basta sapersi arrangiare, avere idee e cercare di creare. Non si può stare a casa ad aspettare, un provino ti fa lavorare un mese e mezzo e gli altri otto? Il problema è procacciarsi il lavoro, ci sono i tagli agli enti pubblici e tanta concorrenza a livello teatrale. Si campa, però ti devi sbattere. Per quanto mi riguarda, la mia direzione è fare delle cose mie e lavorare con chi voglio. Se capita un’occasione bene, ma porto avanti una mia poetica e identità, perché considero un privilegio poter lavorare di quello che mi piace e anche se spesso si sta nell’incertezza, credo che si debba avere il coraggio di osare”.

Cosa significa per te il teatro? “Il teatro è bello per chi lo fa e per chi viene a vederlo, perché si parla della vita e dell’umanità. È un luogo di incontri e l’incontro è un processo creativo che è lì, per quello attrarrà sempre e ci sarà sempre chi vorrà farlo. Per me il teatro è un rito, un gioco preso come un piacere”.

E che il teatro sia gioco lo dice anche Veronica Spada, una giovane attrice: “Io faccio teatro di prosa con la Compagnia dell’Università. Si tratta di un laboratorio aperto a tutti anche se da tempo siamo sempre gli stessi; non abbiamo regole ed è questo il bello. Il nostro regista ci ha donato un approccio molto giocoso e triviale, facendoci superare molti nostri timori e buttar via le nostre inibizioni. Io ero timida e il teatro mi ha aiutata tanto, per questo penso che almeno una volta nella vita un laboratorio teatrale andrebbe fatto. Non è una cosa per cui mi pagano però è importante per me, perché nella vita da adulto c’è poco spazio per giocare e il teatro è per me un modo per liberarmi di tutte le tensioni”.

Com’è lavorare con un regista? Con il regista di adesso si tratta più che altro di amicizia, ma penso che debba essere soprattutto un rapporto di fiducia, perché il teatro ti spinge oltre i tuoi limiti e a fare cose che non faresti nella vita reale, facendoti spesso sentire fuori luogo”.

Lo sa bene Elisa Cecilia Langone, che ha avuto l’opportunità di entrare a far parte della Compagnia Stabile del Metastasio dopo ben cinque provini con Paolo Magelli: “Far parte di una Compagnia Stabile è prezioso. Qui mi sono realmente formata dopo la scuola. È poter lavorare e stare sul pezzo e avere una stabilità economica, professionale e artistica che ti permette a lungo raggio di formare te ed altri componenti in un collettivo. Si tratta di lavorare in un modo assiduo, permanente in una realtà unica in Italia, perché questa è una Compagnia Stabile che, grazie al lavoro di Magelli, porta una realtà quasi per niente italiana come situazione artistica e ricorda i paesi del nord e dell’est. Paolo Magelli è un Direttore Artistico che ha dato un occhio nuovo su una realtà teatrale artistica di cittadinanza, aprendo il teatro alle scuole medie e superiori ed è una cosa fondamentale, perché si tratta degli adulti di domani, del nuovo pubblico. La Compagnia Stabile è per me una perla in questa grande isola”.

Come è essere diretti? “Quando lavori su un personaggio con tutta te stessa, hai bisogno di entrare in contatto con la tua anima e non è facile, puoi incontrare dei mostri, perciò devi avere dall’altra parte un regista che ti aiuti e guidi. È un percorso quasi sensoriale dove hai la possibilità di trasformarti e trasformare e a me, in questi anni, con Paolo Magelli e Valerio Binasco, è capitato. Quando hai la possibilità di incontrare registi con un’artisticità così grande e un modo di vedere il teatro così definito da metterti nella possibilità di creare, allora sei fortunato. È bello lavorare con un regista che sa di aver davanti non ha una marionetta ma una persona, si tratta di un processo di creazione, anche se a volte ahimè può capitare di avere a che fare con registi autoreferenziali”.

C’è poi anche chi come Andrea Lanzini, ha fatto entrambe le esperienze. “Stare in una Compagnia i primi tempi non è facile, è lo stesso rapporto che si viene a creare tra coinquilini, con la differenza che si è però uniti dalla bellezza di fare teatro. Ora io sono da solo e adesso per me il mondo del teatro è il mio mondo ed è un bel mondo, dove c’è posto per tutti nelle nostre diversità”.

Quali sono le principali differenze? “Nella Compagnia se c’è un rapporto di fiducia con chi ti dirige, c’è una crescita molto veloce, spontanea e si spendono meno energie, mentre se sei regista e autore delle tue cose, la crescita è più lenta e puoi cadere maggiormente nell’errore”.

Com’è essere sia autore che regista? “Sono due cose simili e opposte e ti mette dentro un fuoco che spesso non hai in un’opera di qualcun altro. Per quanto mi riguarda, sono sempre in preparazione e all’opera. Per lo scrivere aspetto che venga, può nascere in una settimana o d’impatto, ho 12 taccuini che sono per me una grande fonte d’ispirazione. È difficile esser tutto ed io in realtà mi reputo piuttosto un caratterista a scapito della scrittura, per me la verità scenica è già scritta al momento che mi esce. Sono molto geloso di quello che scrivo e la verità, il senso vero lo trovo solo io e poche persone. Per il prossimo progetto, però, ho in mente qualcosa di lontano dall’autobiografia. Prenderò alcune situazioni tragiche della vita quotidiana e cercherò di buttarle sul comico con una sottile vena di malinconia”.

Ma è possibile vivere di teatro? “Si anche se è sempre una situazione particolare, devi stare dietro ai bandi e ai concorsi e sei anche promoter di te stesso. Si tratta di processi molto lenti. Non capisco come faccia lo stesso attore a portare in giro tanti spettacoli, perché c’è un dispendio di energie enorme a discapito del sentimento che lascia inesorabilmente il passo. Sono infatti a favore degli umili, dell’arte underground, contro il mainstream e a favore dell’arte pensata e non Control C e Control V”.

Quale è il consiglio che daresti ai giovani che intendono avvicinarsi al mondo del teatro? “Sbaglia il più possibile, non accettare consigli, vivi della tua passione e studia tanto. Sii poeta del diaframma e della memoria e adotta un metodo. Studia la tecnica anche sei ore al giorno e vedrai che la passione verrà fuori”.

Come dice Riccardo Goretti, attore e drammaturgo: “Ci vuole molta testardaggine, devi essere una sorta di imprenditore e dopo un po’ di testate, se hai qualcosa da dire ce la puoi fare”. E per capire ancora più da vicino questo strano, ma amabile mondo che è il teatro attendiamo l’uscita sulle scene di Titolo provvisorio ad opera di Goretti e del Teatrificio Esse, su quella che è la “vera vita dell’attore”, con i suoi meccanismi e dinamiche, dalla prima idea fino al debutto. “Faremo vedere in maniera ironica il dietro le quinte, dal reperimento dei contributi, alla ricerca delle musiche, al cast, fino al momento in cui si alza il sipario e quando arriviamo a quello che sarà l’inizio allora tutto finisce”.