È il 7 giugno 2014. A 20 miglia dalla costa libica, in mezzo al mare, c’è un barcone, un altro, l’ennesimo dei tanti diretti in Italia stipati di disperati in fuga per la vita. D’un tratto, sulla loro testa, a bassa quota, un elicottero lo sorvola. L’istinto dei passeggeri è uno: alzare gli occhi al cielo per capire. Dal portellone spunta un obiettivo, è quello del fotografo Massimo Sestini, che da mesi cerca lo scatto perfetto, la foto che catturi il senso di quelle migrazioni: disperazione e speranza, paura e voglia di farcela. È un istante. Un clic. E l’immagine è perfetta, zenitale, e immortala sguardi e vite. È fatta. È World Press Photo 2015 General News.

Ma Sestini, dopo il premio, non l’archivia. Anzi. La trasforma in una campagna culturale e umanitaria. Come? Se osserviamo da vicino, vicino lo scatto, è presto detto. In quel barcone azzurro, seduti stretti stretti a coprirne ogni centimetro quadrato, ci sono giovani e giovanissimi, padri e madri, bambini piccoli e ignari. Neri, bianchi, africani e mediorientali, decine e decine di storie, vite appese a un filo, in bilico e senza rete di protezione. Come non chiedersi chi sono, perché fuggono, dove sono e come stanno?

Dove sono quei due bambini abbracciati che sorridono, faccia insù, sbracciandosi per farsi notare da quell’elicottero sopra le loro teste? E come sta quel piccino sul bordo della barca incantato dalla schiuma delle onde del mare? E quella donna coperta dall’hijab nero, con le faccia tra le mani? E chi è quel giovane padre con la maglietta arancione che alza al cielo la sua bambina come a supplicare pietà?

È da questo, dal bisogno viscerale di conoscere la loro sorte che Sestini ha ideato la campagna Where are you?, iniziativa che mira a rintracciare ogni singolo passeggero di quel viaggio (seguendo il link si può ingrandire studiare nel dettaglio la foto ndr) con l’intento di raccontarne la storia, emblema di tante altre mille storie iniziate, interrotte, infinite. Dove sei? è la domanda che infatti campeggia sulla foto esposta in Italia e all’estero. “Where are you. If you recognize yourself or somebody you know on this boat, please contact us. We would like to hear your story and what happened after the rescue”.

Questa è una foto che non lascia scampo. E’ infatti dallo stesso viscerale bisogno che nasce questo articolo. Diffonderla è il minimo. Anche qui, anzi proprio qui. Perché magari qualcuno di loro è proprio a Prato, no? Quindi ecco che anche noi giriamo la medesima domanda: “Sei uno dei migranti di questa foto? Ne riconosci qualcuno? Contatta Sestini scrivendo a [email protected]”.

E sia chiaro, dietro questa campagna non c’è soltanto la curiosità giornalistica di chi di mestiere raccoglie storie e le racconta. Dietro c’è, in primis, un istinto di umana solidarietà, un tentativo di scuotere cuori e coscienze. Perché grazie a questa foto è finalmente possibile guardare negli occhi il migrante in viaggio, anzi in uno dei momenti più duri del viaggio, e provare a riflettere.

Mentre fissiamo quei volti, chiediamoci: sono ancora capace di voltarmi dall’altra parte, fregandomene? Fregandomi della guerra che li costringe a fuggire, delle violenze che li spingono a rischiare, delle ingiustizie che non lasciano loro altra scelta che quell’avventura allucinante verso l’ignoto? Sono milioni. Milioni. Cercare di capire senza voltarsi è il minimo. Cerchiamo di approfondire le ragioni di tanta disperazione e impegniamoci contribuendo a studiare soluzioni per arginare tanto disumano dolore. Imponiamoci il dovere di studiare responsabilità e connivenze – anche italiane – nelle questioni geopolitiche che paralizzano i paesi da cui fuggono tanti disperati e dopo contestualizziamo crisi e conflitti, mandanti e eminenze grigie.

Ecco a questo punto, e solo ora, torniamo nuovamente a guardare questa foto. Come state adesso? Non vi sentite uno di loro? Non avvertite la stessa identica sconvolgente nausea? E allora… Where are you?