Alla ricerca dei pellegrini

Sono le 3 del mattino di martedì 10 novembre e presi dalla disperazione decidiamo di incamminarci verso lo stadio. Ma è inutile, ci dice un vigile urbano, allo stadio non c’è nessuno. Nemmeno in centro c’è tanta gente o, almeno, non c’è quello per cui uno sparuto gruppetto di giornalisti e centinaia di volontari si son mobilitati fin dal giorno precedente a causa dell’evento epocale chiamato Papa a Prato: pellegrini e fedeli che passano la notte all’addiaccio.

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Dove sono i fedeli?

Ce n’è qualcuno in Piazza Duomo. Pittoreschi rappresentanti della comunità filippina di Pistoia, “Ti voglio bene Papa”  ci dicono, una manciata di pratesi che tiene il posto fin dalle 22 della sera precedente e qualche altra sagoma infilata nei sacco a pelo fluorescenti.  Come di fronte al Duomo, anche in piazza delle Carceri, dove un gruppo di giovanissimi è infilata nei sacco a pelo ai piedi delle transenne. Ci guardiamo un po’ dubbiosi. Di questo evento epocale ci è sfuggito qualcosa, è evidente. “Ma quando arrivano tutti gli altri, in trentamila?”. Chi fuma s’accende l’ennesima sigaretta, qualcuno batte i piedi contro l’umido.  “Boh”.

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Eppure la vigilia era cominciata nel migliore dei modi. La macchina organizzativa che girava a pieno regime, i locali, i bar e le pizzerie aperti, una lenta e inesorabile processione di curiosi che è andata avanti e indietro per tutta la sera lungo il percorso transennato. Per non parlare dei venditori bengalesi, che per una notte hanno alternato le rose alle bandierine coi colori del Vaticano e della grande veglia degli scout in piazza San Francesco, che per buona parte della serata ha attirato l’attenzione. Poi però il grande portone di legno si è chiuso e il centro storico è piombato nel silenzio ovattato che precede qualsiasi grande evento. Solo che oltre alle decine di poliziotti, carabinieri, vigili, finanzieri e volontari non c’è stato niente da vedere, a parte il disegno delle transenne lungo le strade vuote.

Papa_francesco_13Perché dopo il secondo giro di birra, una ciambella, il terzo caffè, l’ennesima sigaretta, la perlustrazione continua del centro ha finito per concentrarsi sull’assenza. L’assenza di persone, quella dei fedeli, l’assenza di auto, di movimento. Una notte immobile, contratta nell’attesa della visita del Papa. Una bella notte quella in cui puoi vedere il Castello in tutta la sua imponenza senza la corona metallizzata delle auto che di solito lo circondano. E come sono apparse nuove e diverse le strade interne del centro senza auto, e come sono sembrate più normali certe altre vie e certi angoli senza prostitute e spacciatori per un paio di giorni.

Papa in avvicinamento

Alle 3,30, ormai stanziali in piazza Duomo più per raggiunti limiti fisici che per volontà, ci sorprende un’onda rossa in avvicinamento da Largo Carducci e capiamo all’unisono che qualcosa sta succedendo, finalmente. Sono i volontari della Croce Rossa che entrano in servizio quando di fronte al Duomo il numero delle persone ha ormai superato le cento unità. Comincia il lento riempimento della piazza. Una sparuta rappresentanza della comunità cinese srotola uno striscione rosso e impugna bandierine dello stesso colore. A gruppi o a coppie, prendono posto lungo le transenne di piazza Duomo, srotolano striscioni, alzano cartelli. C’è chi si porta le coperte e chi le seggiole da campeggio, chi porta con sé il figlio neonato, chi i genitori anziani.

Alle 4,30 arriva la torta a forma di papamobile, con un Papa gigante sul sedile posteriore.
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Il clima si va scaldando e all’improvviso, per la prima volta, sembra d’essere davvero ad un concerto atteso da anni. Di quelli che non vuoi perderti per nessuna cosa al mondo e per il quale sull’onda dell’entusiasmo intraprendi viaggi proibitivi.

Alle 6,18 la musica della “Vita è bella” sveglia tutti.  Mentre la piazza piano piano va riempiendosi sui palazzi intorno i residenti aprono le finestre e cominciano a sistemare gli ultimi striscioni. “Papa Francesco prega per Prato” e “Prato prega per Papa Francesco” vanno per la maggiore.

Lentissima, arriva l’alba insieme al quinto caffè. In piazza viene distribuito il kit papale, comprensivo di foto e bandierina vaticana, che al primo elicottero in sorvolo verrà sventolata furiosamente.
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L’elicottero bianco del Papa che in lontananza si dirige verso lo stadio segna l’inizio della visita di Papa Francesco a Prato. In piazza Duomo, dove una parte è praticamente gremita e l’altra molto meno, tutti si voltano verso il maxi schermo.

L’elicottero atterra. Sventolio di bandiere.

Il Papa fa la sua comparsa ai piedi dell’elicottero e il gruppo delle autorità gli si fa incontro, prima di incamminarsi verso la papa mobile.

La telecamera a spalla fa il suo ingresso nello stadio, si avvicina a Papa Francesco, lo segue mentre si issa sulla papamobile e passa sotto la tribuna piena di gente. L’immagine frigge, si decompone e la folla del Duomo si lascia sfuggire un grande “oh” di disappunto.

Stacco.

L’esterno dello stadio. Un’auto scura in primo piano, polizia tutto intorno. Passa un minuto, forse meno e la papamobile fa la sua comparsa sullo sfondo. L’auto in primo piano allora si mette in moto e prova ad avanzare, si ferma per poi allontanarsi improvvisamente. E’ in quel momento che tutti capiscono che la telecamera è montata sul retro di una moto che precede e precederà la papamobile per tutto il percorso.

Da quel momento fino in piazza Duomo, il Papa che saluta la folla sarà una macchia indistinta oltre il vetro protettivo della papamobile, colpita dalla luce e quindi imperscrutabile alla telecamera, tanto che la cosa molti forse ricorderanno dalla visione televisiva è CX960NX, la targa della berlina scura rimasta sempre nel mezzo.

Il disappunto, in piazza, è palpabile ma diventa subito un ricordo non appena il Papa svolta in Largo Carducci per prendersi il tributo delle migliaia di persone che lo attendono.

Il discorso

Molti di coloro arrivati in piazza Duomo per Papa Francesco, nel 1986 non erano ancora nati, erano troppo piccoli oppure non vivevano ancora a Prato e nemmeno in Italia. Nel discorso di Papa Francesco (senti la versione integrale) però sembrano essere stati compresi tutti. Introdotto dal Vescovo Agostinelli, che ha descritto la città come una comunità laboratorio della convivenza, dell’intraprendenza e della laboriosità, in piena trasformazione, impegnata a costruire ponti e non muri, il Papa ha risposto dettando due linee principali su quelli che poi sono i temi fondamentali della Prato di oggi e di domani.

La prima è quella della convivenza e dell’inclusione e il suo rapporto con fede. Il riferimento è stato sottile ma deciso, dopo aver ringraziato Prato per gli sforzi quotidiani a favore dell’integrazione. I tempi in cui viviamo ha detto in sostanza il Papa, sono tali che c’è il rischio di finire succubi degli eventi e per questo la fede può diventare un rifugio. Invece no, ogni buon cristiano deve trovare la forza e il coraggio (senza paura) di uscire per avvicinarsi agli uomini e alle donne del nostro tempo. Uscire, ha precisato, vuol dire rischiare. E’ una chiamata all’azione, a non usare la fede come scudo e  un invito fermo a marciare dritti verso l’inclusione e contro l’intolleranza (tende di speranza). Senza scoraggiarsi ma stipulando dei veri e propri patti di prossimità.

La seconda riguarda la condanna ferma dello sfruttamento del lavoro e di ogni tipo di corruzione e illegalità. La citazione dei morti di via Toscana e la descrizione puntuale e gelida delle condizioni di vita e di lavoro di quei morti cinesi (forse è la prima volta che un Papa pronuncia la parola “cartongesso”) come una tragedia dello sfruttamento delle condizioni di vita ha strappato un grande applauso alla piazza. Ma se il riferimento riguarda, è ovvio, la comunità cinese di Prato, la citazione viene usata per lanciare un messaggio molto più generale. Non stancarsi di lottare per la verità e la giustizia contro il cancro della corruzione, dello sfruttamento umano e lavorativo e contro quello dell’illegalità.