Non so se avete presente i Porto Flamingo. Un gruppo che ha fatto del divertimento su di un palco il proprio biglietto da visita, che si è sempre mosso in ambito danzereccio/folkeggiante, che da anni porta avanti con coraggio e con estrema gioia il proprio discorso anche con un discreto seguito, almeno qui in zona. Ecco, a me hanno sempre fatto un po’ incazzare. In senso buono, per carità. Perché ho sempre intravisto un potenziale artistico un po’ più alto di quello che mostravano sul palco e soprattutto su disco. Mi hanno sempre dato l’idea di un gruppo che si accontentava di mostrarsi caciarone e simpatico, guardandosi dentro il meno possibile. E mi veniva in mente quello che diceva De Andrè a proposito dei Giganti, negli anni 60: “Hanno un cannone, e sparano delle caramelle”.

Ecco, non so se li avete presente. Quello era il passato. Oggi, non lo so cos’è successo. Qual è stata la scintilla. Forse si chiama crescita. Maturazione. Non lo so, qualcosa del genere. Fatto sta che, pur non rinnegando i suoni e lo spirito delle origini, i Porto Flamingo hanno fatto un piccolo capolavoro. Si chiama 1400gr, ed è il loro nuovo album in uscita il 10 marzo (Beta produzioni, distribuzione Goodfellas).

1400gr è il peso del cervello, ci dicono. E il cervello stavolta l’hanno usato per davvero, in questi nove pezzi. Non sono un altro gruppo, per carità. Sono sempre loro, sono ampiamente riconoscibili. Solo che hanno abbandonato quella superficialità e leggerezza anche un po’ ostentata aggiungendo, nei suoni e nelle parole, qualcosa di più profondo, e soprattutto di assolutamente originale. Le due anteprime che circolano in rete sono una testimonianza di quello che sto dicendo. Soprattutto ne “L’Ultima ora”, dalle strofe vagamente fiumaniane, in cui un incedere serrato degli stati d’animo in una giornata si sviluppa lasciando il respiro della narrazione solo ad un ritornello che è una bomba (“Perché volare non so / però precipito bene”). Il passo in avanti non è uno solo, sono dieci, cento, mille. Cervello, appunto, ma anche gusto, cuore, e un’ampia dose di coraggio: era facile, ad esempio, in un pezzo come “Salta Giuda” (per come è strutturato il pezzo) farne una tarantella. Il resistere a questa tentazione denota coraggio e personalità, appunto. Ed in ambito pop (perché è questo l’ambito, non nascondiamoci) è merce rara.

I Porto Flamingo hanno imparato a guardarsi dentro, a guardarsi intorno come non mai, e hanno imparato come si scrivono e come si arrangiano le canzoni. “Ci si trova immersi in una miscela di synth analogici degli anni 70 e 80, chitarre grunge dei ’90: l’obiettivo è stato quello di tradurre gli stimoli sonori in momenti musicali”. I punti di riferimento si sentono tutti, e sono dosati con gusto e originalità. C’è sempre qualche peccatuccio veniale: un certo jovanottismo di fondo in pezzi come “Dance”, ad esempio, ma il tutto è retto da un’ironia che giustifica le scelte.

Nove canzoni che più che un album sono una playlist di singoli. Nove canzoni che fanno pensare e muovere il piedino. Nove episodi che salutano la nuova energia di un nuovo gruppo. L’augurio più grande che posso fare a Cippa e soci è che tutti quelli che vanno ai loro concerti per zompettare si accorgano di aver davanti un nuovo gruppo, e che continuino a seguirli in questo nuovo corso. I balzi in avanti come questo rischiano di essere un po’ un salto nel buio. In bocca al lupo, ragazzi.