“Pietre”, “Caverna” e “Nasa”. Ci sono scritte queste parole sulla grande pianta del centro Pecci che occupa un’intera parete dell’ufficio del direttore Fabio Cavallucci. Scritte rosse e nere di pennarello, affiancate da foto e appunti attaccati con lo scotch. E’ “La fine del mondo” che prende lentamente forma e come una cosa fluida, dice Cavallucci, “può essere ancora suscettibile di cambiamenti”.

La mostra in via di allestimento nel nuovo Pecci è un progetto molto ambizioso. Perché vuole abbracciare tutta insieme la vicenda umana e cercare, al tempo stesso, di cogliere e interpretare quel sentimento di fine (dell’arte, delle ideologie, aggiungere a piacere ndr) con cui saremmo costantemente alle prese oggi. Perché la natura che il centro Pecci vuole assumere una volta riaperto sembra trovare nella mostra inaugurale una sorta di propria giustificazione primordiale. Un nuovo, simbolico big bang che sprigioni un nuovo ordine di cose tutte da scoprire. “Nasa”, “Caverna” e “Pietre”.

Nel “Journal” del nuovo (e vagamente fantascientifico) sito del Pecci, Cavallucci lo spiega con una similitudine: “Se si paragona la storia della Terra ad una giornata di ventiquattr’ore, la vita appare verso le 4,30 del mattino. Poi, per tutta la giornata, non cambia granché, solo singole cellule capaci di riprodursi sempre uguali a se stesse, fino a che, verso le 20,30, arriva la prima flora marina. È solo dopo le 21 che compaiono i trilobiti, […] seguiti immediatamente dalla grande esplosione del Cambriano. I dinosauri sopraggiungono verso le 23, e scompaiono quando mancano 21 minuti a mezzanotte. La vicenda umana, dal primo ominide che scese dagli alberi, comincia poco più di un minuto prima della mezzanotte, mentre la storia, tutta la nostra storia, ciò di cui siamo almeno un poco consapevoli perché è stato tramandato, dalla scrittura sumera ad oggi, si racchiude in tre o quattro secondi“.

E allora, agli animali giganti di Cai Guo-Qiang e alle opere di tanti altri artisti si mescoleranno la storia, il cinema e la scienza, la geologia, la musica e anche la danza, in quello che sembra un gigantesco percorso sensoriale di tipo evolutivo che accompagnerà i visitatori fino al 15 marzo 2017.  “Il Centro Pecci dovrà essere qualcosa di nuovo e di diverso – spiega Cavallucci – un centro di ricerca e di formazione, non più solo un centro espositivo. La vera scommessa è trasformarlo in un luogo dove si potrà accedere la mattina, il pomeriggio e la sera per tanti motivi diversi: esposizioni, conferenze, proiezioni e molto altro ancora. Il percorso è ancora pieno di incognite – ammette però il direttore del Pecci – i lavori procedono e speriamo che non subiscano ritardi, stiamo finendo di stringere gli ultimi accordi con gli artisti e di cercare gli sponsor mancanti. Ma la mostra prende lentamente corpo in tutta la sua complessità – aggiunge – possiamo dire che in Italia e anche all’estero l’attenzione del mondo dell’arte contemporanea verso il nuovo Pecci è massima”.

Quello che oggi ci appare come senso della fine – conclude Cavallucci nel suo pezzo –  è un momento infinitesimale nella curva enorme del tempo e dello spazio. Non è una catastrofe che sconvolge, non un dramma cosmico, ma un semplice cambiamento, una piccola ruga nella dimensione sterminata dell’universo. Un’inevitabile conseguenza delle leggi della fisica e della chimica. Non è la fine del mondo, è solo la fine del “nostro” mondo”.
“Pietre”. “Caverna”. “Nasa”.