Qualcuno si è deciso a rubare la Minicar di mio figlia, quasi 15000 euro di indecenza su 4 ruote. Personalmente ne sono sollevato, soddisfatto direi, almeno non devo più sopportare quell’insulto alla dignità parcheggiato accanto alla mia Bentley.

Il vero problema è che Guendalina da quando non poggia le sue natiche su quell’abominio mobile si rifiuta di avere una vita sociale, interrompendo di fatto l’imponente circuito di passatempi con i quali dilapida i miei denari. Questo ovviamente innesca un perverso meccanismo a cascata che origina dalla bizze di una quindicenne viziata e giunge alle manifestazioni deliranti di una madre incapace di educarla. L’unione delle loro lamentele minaccia la mia sopravvivenza in questa casa, in questo bel quartiere, nel mondo tutto.

La proposta di ricomprare un aborto identico a quello appena rubato è naufragata nell’incapacità di Guendalina di tollerare tempi di consegna superiori alle 48 ore. A questo punto, chiamo Giancarlo.

Giancarlo ha fatto la strada e di queste cose ne capisce. Giancarlo spacca.

Vuole sapere dove è successo il fatto e soprattutto quando. Io gli chiedo se non sarebbe meglio denunciare il furto, allora lui impreca e poi mi avverte che se ci saranno i carabinieri allora non ci sarà lui.

Ovviamente voglio lui.

Mi dice di dargli un’ora, di aspettare e non fare niente, poi riattacca. Richiama dopo 10 minuti: dice che qualcosa si è mosso al Cantiere.

Passa a prendermi con una Fiat dal colore e dalle forme indefinibili. Un tempo doveva essere stata grigia, ma ci sono dei punti di verde tendenti all’azzurro quindi è difficile pronunciarsi. Mi spiega le regole: lui è il garante, lui e solo lui parlerà con certa gente e alla fine sarà sempre lui a dirmi se e quando tirare fuori i contanti.
Entiendes?

L’idea di versare altri soldi per la stesso vituperio da 50 cc mi ripugna ma poi ripenso a mia figlia e al martello pneumatico che ha al posto della bocca, così riconto i duemila euro e partiamo. Facciamo poche centinaia di metri e siamo già arrivati. È incredibile che in tutti questi anni non abbia mai messo piede nel quartiere adiacente al mio.

“È normale – dice il Gianca – , questo è un posto con una logica tutta sua ed entrarci non è così facile”.

Suoniamo dunque il campanello di una pittoresca casetta costruita sul greto del fiume, le pareti sono rosa ed il minuscolo giardino, così come il terrazzo, sono ricolmi di piante in fiore. Sono certo che ci abiti la Fata Turchina, magari uno gnomo che fuma il suo bonghetto, ad ogni modo la proprietà non può essere umana.
Faccio fatica a credere che in questo luogo possa accaderci qualcosa di sgradito.

“Ma è davvero così pericoloso?” chiedo mentre aspettiamo.

“Per niente – risponde lui – , direi piuttosto che questo è un quartiere intricato”.

Mi guardo intorno, in effetti si nota una certa libertà nell’interpretare il piano regolatore. Come se le strade e le case rispondessero a una logica misteriosa e casuale. Questa gradevole ma spudorata spontaneità edilizia trasmette la sensazione di trovarsi al centro di un mondo segreto e inaccessibile, in un’altra città .

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La porta si apre.

Invece di una fata esce una donna nera come le tenebre. Si chiama Mafuana e da come parla sembra conoscere poco la nostra lingua ma benissimo gli oppiacei.

“Dov’è Ciccio?” la incalza il mio eroe senza alzare la voce.

Quella prova a rifilargli qualche cazzata ma Giancarlo scuote la testa e tira su col suo possente naso da pugile.

“Digli al tuo fidanzato di scendere altrimenti lo vado a prendere io”.

Fa dunque la sua inquietante apparizione tale Ciccio, un signore che potrebbe essere benissimo scambiato per un morto vivente. Lo dicevo che la casa era abitata da creature soprannaturali.

Giancarlo sa già che è stato lui. Giancarlo si immagina che abbia scambiato quella macchina per una quantità di roba che forse si è già sparato. Giancarlo, nella sua infinita clemenza, ha deciso di non maturarlo di cazzotti o denunciarlo. Questo perché Giancarlo, è bene che si sappia, non è un infame.

Giancarlo vuole solo sapere a chi ha dato quel cacatoio di macchina.

Ciccio scoppia a piangere, poi attraverso una telefonata tragica e incomprensibile si mette in contatto con ‘il Tipo’.

Apprendiamo che ‘il Tipo’ ha rispetto per un uomo dello spessore di Giancarlo ma non si fida della parola di un tossico. Così prima di incontrarci manderà qualcuno a fare la nostra, ma soprattutto la mia, conoscenza .

L’appuntamento è nei pressi di un angusto sottopassaggio ferroviario, uno dei tanti pertugi per accedere a questo dedalo. Siamo in anticipo, così mi intrattengo con le scritte sul muro di mattoni. Tra i tanti riferimenti all’organo riproduttivo femminile spicca un invito paradossale: enjoy the silence.

Giancarlo ammazza la noia raccontandomi la storia del quartiere ma il rombo dei convogli sopra le nostre teste rende difficile l’ascolto. Penso di aver capito che il Cantiere sorge su un terreno un tempo appartenuto alle ferrovie statali, che con il passare degli anni le baracche si sono trasformate in case, che il fiume e i binari sono i suoi confini naturali. Ma forse il mio angelo custode non ha detto niente di tutto questo. Forse, mi ha solo ripetuto di stare calmo e in silenzio.

corpo12-cantiere-4Improvvisamente un suono più familiare annuncia la sgradita sagoma di una Minicar dall’altra parte del tunnel. Ne fuoriescono due signori particolarmente nerboruti e mal vestiti. Non riesco a capacitarmi come soggetti tanto massicci possano entrare in un gabinetto così piccolo.

Giancarlo mi invita a fare un passo indietro, poi porge la mano a quello con i mocassini leopardati .

I due giganti sembrano sciolti, sghignazzano, si accendono anche una sigaretta, ogni tanto gettano uno sguardo alle loro spalle. Solo ora mi accorgo che all’entrata e all’uscita del tunnel ci sono altre persone.

Il passaggio del treno fa risuonare la galleria per un tempo infinito.

Mi sfugge l’esatta dinamica che ha trasformato una pacifica chiacchierata tra gentiluomini in una scambio sempre più teso e minaccioso. L’intuito mi suggerisce che la trattativa stia ristagnando intorno alla posta del riscatto, Giancarlo non vuole pagare così tanto e io lo capisco, la mia fiducia in lui è assoluta, ma d’altro canto non posso non considerare la condizione di svantaggio che di recente si è venuta a creare. Fosse per me andrei in Cina ad appiccare il fuoco all’intera fabbrica che produce macchine del genere ma, grazie a dio, non ho problemi di soldi e prima paghiamo, prima ci leviamo dai coglioni. Dunque, con intenzione diplomatica, mi faccio avanti e prendo i soldi dalla giacca.

Errore.

Il gesto non è stato apprezzato da nessuno. Adesso c’è uno signore che mi paralizza col potere delle sue braccia e col fetore della sua ascella sudata. A Giancarlo è andata peggio, visto che ha la canna di una pistola appoggiata sul petto.

Il boato del treno è ormai lontano e noi restiamo immobili nelle viscere umide della terra.

Poi, il verbo di un essere venerabile conosciuto col nome di Giancarlo risuona nel buio. “Bravo, hai tirato fuori il ferro. Ma adesso lo devi usare, altrimenti da domani io sarò il primo e l’ultimo pensiero di ogni tua giornata”.

Amen, vorrei rispondere. Ma perché tutte le domeniche mi ostino a cercare in chiesa un dio indifferente e in cui non credo quando qui accanto a me c’è Giancarlo? Sul volto del gigante si può già leggere il germoglio dell’incertezza trasformarsi in un vago pentimento.

“Senti cosa puoi fare. Adesso tu chiami ‘il Tipo’ e gli chiedi se mille euro possono andare. Poi, se avanza tempo, ti fai spiegare se puntarmi la pistola addosso è stata una buona trovata. Non ti preoccupare per me, io aspetto”.

Genio assoluto.

Le vibrazioni della terra introducono il transito di un altro convoglio, che stavolta produce un suono sordo, pesante, più profondo.

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Assistiamo dunque all’insolito scambio telefonico tra un soggetto al vertice ed il suo attendente. Il frastuono è troppo forte per captare anche una sola parola pronunciata dal nostro forzuto oppositore. A noi però basta la sua espressione per vedere come una maschera spavalda può mutare in pura sottomissione.

Adesso il gigante sembra un bambino.

Chiunque sia il suo capo deve certamente avere un’ottima considerazione del buon Giancarlo. D’altra parte lui c’ha pure abitato al Cantiere, e questo fa di lui un vero duro, non c’è che dire.

La serata si conclude quindi con la restituzione gratuita della macchina e tante belle scuse per il signor Giancarlo.
In un attimo le figure insolenti che avevamo intorno sono scivolate via e i treni sembrano aver interrotto per noi la loro corsa.

Restiamo soli in quel buco a guardare in silenzio le luci del Cantiere.