Foto: onstageweb.com

Baustelle, Brunori SAS e Baustelle, Brunori SAS e ora Afterhours. Non c’è due senza tre, ed il quattro viene da sè, anche se stavolta il quattro targato Correggio purtroppo ha trovato sulla sua strada impedimenti vocali, nonostante non abbia mai cantato una nota alta in tutta la sua carriera.

Prima il pop raffinato toscano, poi la canzone d’autore calabrese e stasera il ROCK. Perché Agnelli e soci sono un patrimonio del rock alternativo (mica tanto) che da più di 20 anni popola le playlist degli adolescenti che furono, ora degli ex adolescenti, senza contare le rotazioni dei DJ delle rokkoteche.

Location perfetta quella dell’Obihall per il clima, quasi tropicale in tutti i sensi, anche se parcheggiare è un’impresa degna del miglior Fantozzi di annata: auto lasciata ad un chilometro, passo veloce e dramma che si manifesta in fase di avvicinamento alla nostra arena. Sentiamo in lontananza dei suoni ma sono solamente le 21.04 e ci pare impossibile parlare di puntualità, definita peraltro dalla band di Agnelli “inutile” in una celebre canzone dei nostri tempi. Per fortuna niente di tutto questo: c’è un signore sul palco che suona una chitarra e si sollazza con buoni risultati in pezzi suoi e cover. Non sappiamo chi sia, perché per vedere la Fiorentina in trasferta abbiamo Premium e non Sky. Domandare è lecito, e scopriamo che si tratta di tale Andrea Biagioni, nome e cognome da garzone del trombaio che scopriamo essere un prodotto del talent di cui il leader della band, ovvero Paola Taverna (perché sono la stessa persona, è incontestabile), ha fatto parte in giuria nella scorsa stagione.

I minuti passano e ci guardiamo intorno per scrutare per prima la situazione bagno, che sembra molto tranquilla: la coda di 15 metri di Dario Brunori è un ricordo, nonostante vi siano diverse signore/ine. Segno che il popolo è diverso, è di quello rodato. Ne abbiamo la prova dopo pochi minuti, quando incrociamo diversi aficionados dei tempi in cui al Cencio’s si ballavano i Rancid: si è schierato il popolo rock, quello dei Tazenda, quello rodato. Il
popolo che usa prima il bagno, che arriva mangiato, che va solo di birrette.

Ma non sempre è così. La sigaretta pre-concerto, rito fondamentale, ci apre un mondo di cui non avevamo idea, o se ce l’avevamo si limitava ad essere un cupo ricordo di anni orsono, alla stregua dei cinque gol della Juventus di anni fa: i temibili fan di provincia della prima ora. La sala e il fuori sala sono stracolmi di gruppetti maschili di over 35 che si sono rivisti per l’occasione, si sono fatti 4 aperitivi e si raccontano la volta in cui Manuel (perché pur chiamandosi Paola, qua usa chiamarlo Manuel) suonava alle feste di paese a fine anni novanta.

“Ci ho parlato, diobono, una serata intera”, “Me lo ricordo”: qualcuno esagera in preda ai fumi dei Negroni spara anche un
fantascientifico “Questo ora ha 40 anni ma a 50 anni non ci arriva, te lo dico io”. Peccato che il capellone con il microfono ne abbia 51, di anni.

La band arriva sul palco, schierata. Chiaramente tutti praticamente in nero, soprattutto l’ottimo violinista Rodrigo D’Erasmo (nome perfetto per una via del centro storico di Carpi), vestito con una
specie di mantellina nera, sicuramente rimastagli addosso dopo l’ultimo taglio di capelli dal parrucchiere.

Il roboante inizio è dei peggiori, con il microfono che gracchia pesantemente e Agnelli che stranamente non si arrabbia (ai tempi avrebbe interrotto non solo il concerto, ma anche bloccato i
cantieri della Tramvia). Tutto viene riparato e il frontman riparte, assieme al fido Xabier Iriondo, lo splendido chitarrista che alterna momenti di rigidità stile Madame Tusseauds a crisi epilettiche tipo Civati post Leopolda 2011. Al solito basso Roberto Dell’Era, ovvero Oscar Dertycia con le movenze di Elvis del 1974, mentre alla batteria c’è una rivoluzione, qualcosa di mai visto: qualcuno che suona. Intendiamoci, noi gli volevamo bene a Giorgio Prette, ma insomma. E su “ma insomma” crediamo di definire bene il nostro ragionamento.

I pezzi son quelli nuovi, il disco ci piace, è pesante ma ben concepito. Il pubblico apprezza, un pubblico di cui parliamo nuovamente per segnalare due cose che ci fanno tornare ventenni. La
prima è vedere qualche uomo con i capelli lunghi sciolti, la seconda è notare qualcuno che FUMA DENTRO. Il rock allora esiste. Certo che esiste, vediamo anche qualcuno sedersi per terra e siamo
assicurati. Scambiamo a caso commenti su Agnelli, vista la forte criticità di molti nella sua scelta di partecipare ad un talent. Siamo felici, perché capiamo che sono cresciuti anche gli ammiratori di un tempo, capiscono la scelta e sottolineano che nonostante il bagno mediatico, questo zazzerone sta facendo esattamente quello che faceva prima.

Ci sono molte critiche sull’acustica, che in verità riesce a rendere esattamente reale il sostantivo “buglione”: certo è complicato, quando un fonico si trova davanti due o tre chitarre saturate, un basso in distorsione ed un violino effettato. In definitiva, sui suoni è dura parlare, visto che ci saranno stati più pedalini e corde rotte di chitarre sul quel palco
che in due edizioni del “Gods of metal”.

Finisce il concerto, ma non finisce, perché gli Afterhours mica stanno sul palco un’ora e mezza, con praticamente solo l’ultimo disco suonato. Dovevano fare il coro da stadio “Male di miele”, e poi il cantante che fa, non lo fa ruotare il microfono? Pronti, tutto servito nel primo rientro: nonostante ai tempi lo Shure fosse sventolato per 5-6 metri a sto giro, drammaticamente, il lancio tipo giavellotto si limita a 1 metro scarso. Forse l’assicurazione che sicuramente ha stipulato anni fa Agnelli per coprirsi dai danni eventuali di quel gesto scellerato ha aumentato il premio, forse qualche volta ha preso nella nuca Xabier. E’ possibile.

Riescono, rientrano, risuonano. Alla fine il concerto è durato quasi due ore e mezza e ci ha soddisfatto. Nonostante i tanto criticati (a ragione) suoni, nonostante il “buglione” che esiste anche su disco (facciamocene una ragione), nonostante il numero di piastre ai capelli che Agnelli si sia fatto in tutti questi anni.
Gli Afterhours li abbiamo visti in qualunque salsa, addirittura in versione orripilante sadomaso, ma questa salsa, forse l’ultima, ci consegna un patrimonio musicale ottimo anche se forse un po’ pieno di frasi fatte e di movenze forzate, che il rock non è roba italica.

Ma fu quel signore a dire, nel 1997 “L’alternativo è il tuo papà”: possiamo anche perdonare l’acconciatura..