novello novelli
Novello Novelli in "A ovest di Paperino"

Ho lavorato quarant’anni alla SIP.
Quaranta.
Ci son stato bene?
Ci son stato male?
Ci son stato, e basta.
M’hanno mai detto nulla loro a me?
Io gli ho mai detto nulla a loro?
Zitto come una mosca.
Quarant’anni di silenzio.
(da “A Ovest di Paperino”, 1981)

Anche Novello Novelli ci ha lasciato. Da vecchio, anzi, da grande vecchio quale è sempre stato. Novello Novelli non è mai stato giovane. Il suo volto, ci scommetto, era solcato da quelle rughe profondissime e da quelle borse sotto gli occhi già a venti o trent’anni. Non esistono foto pubbliche di Novello Novelli a quell’età, anche perché a quell’età non era un personaggio pubblico: era un geometra di Poggibonsi con il pallino dello spettacolo. Si ritroverà, suo malgrado, prima impresario poi attore poi tutti e due, ma accadrà dopo i cinquant’anni. Anche se il suo volto, inconfondibile, ne ha dimostrati sempre di più.

Novellantonio Novelli, da grande caratterista, è sempre stato se stesso. Una maschera, stralunata e tagliente, che del toscanaccio aveva più il surreale che il becero. Un signore attempato e distinto con la giacchetta un po’ demodé. Uno che non rideva mai, e questa sua serietà era irresistibile, anche se stava zitto. Una specie di Buster Keaton di Poggibonsi, con lo sguardo perso che riempiva lo schermo. Il grande schermo, perché la sua forza è sempre stata nel cinema, che amplificava quella sua non-espressione e lo rendeva riconoscibile e atteso come si addice ai grandi attori.

Ha attraversato gli anni d’oro del cinema toscano, tutti gli anni ottanta e tutti gli anni novanta, con i Giancattivi (di cui era manager quando erano un gruppo teatrale), e di Benvenuti e Nuti poi, in eguale misura, senza parzialità, apparendo nei film di entrambi e regalando loro qualcosa di più del cameo.

Piccole parti ma indelebili, ruoli che si ricordano e caratterizzano il film. Il Dammi un bacino di Caruso Pascoski. Il Bischero di Pontassieve di Benvenuti in Casa Gori. Quello che a volte passa lui, a volte passa lei di Tutta colpa del Paradiso. Anche se la sua performance cinematografica più amata – almeno dal sottoscritto – è il monologo dei Quarant’anni alla SIP di A Ovest di Paperino, che si conclude con l’altrettanto surreale Datemi retta, voi che siete giovani: Piccioni viaggiatori.  E poi Ceccherini, Pieraccioni, Veronesi, Ugo Chiti, fino all’ultimo esempio di quella comicità, quel Cenci in Cina del 2009, tutto made in Prato, arrivato quando l’onda era già finita.

Novello Novelli raramente si è allontanato dalla Toscana, in senso cinematografico. Il cinema romano e milanese non lo ha mai interessato più di tanto. Sì, è apparso in qualche trascurabile fiction, qualche Don Matteo, un ruolo nello stracultissimo Gli inaffidabili di Jerry Calà (una sorta di Amici miei oltre il limite del trash) e uno in Amami di Bruno Colella, l’unico film dove Moana Pozzi non fa la pornostar (ma interpreta una pornostar, e c’è differenza) e dove il suo ruolo è più lungo dei canonici cinque minuti (di quel film è protagonista, in un ruolo tenerissimo, di cui andava orgoglioso).

In questo era molto simile a Carlo Monni: meglio un film con gli amici ad uno fatto solo ed esclusivamente per i soldi. Ricordo che mi raccontò che gli avevano proposto un lavoro diretto da Pingitore, Gole ruggenti, in cui doveva avere un ruolo anche importante (si legga: diversi soldi) ma che rifiutò senza mezzi termini (“Ti farei leggere le battute che dovevo dire…”).

Novello Novelli l’ho incrociato anch’io, nella mia strada. Era il 1992. Lui veniva da quell’esperienza che erano le Feste in Casa al Manila di Campi Bisenzio con Carlo Conti, allora star della televisione locale ma pronto a fare il grande salto. Le Feste in Casa, per chi non se lo ricorda o non c’era, erano una serie di serate in discoteca in cui si facevano i trenini stile Carnevale o San Silvestro, in cui gli ospiti della comicità toscana ogni tanto interrompevano le danze per i loro numeri, e i padroni di casa erano proprio Conti e Novelli. Conti logorroico e Novello muto, con tutti e tutte che gli davano un bacino, come da copione. Ci passarono anche gli Edipo da quel piacevole delirio non propriamente raffinato, che, per carità, funzionava benissimo. Per questo, quando la coppia scoppiò e Conti passò alla televisione nazionale, Novello Novelli provò da solo a ripetere l’esperienza in una discoteca del pistoiese. E chiamò noi Edipo e Il Suo Complesso come resident band. Ma un po’ perché il ruolo dell’anfitrione non era il suo, un po’ perché noi non eravamo propriamente un gruppo da Ballo di Simone, quell’esperienza durò pochissimo.

Quel poco che bastò per farmi raccontare un po’ della sua vita: di quando era manager dei fratelli Santonastaso, poi di Franco Dani (idolo dei fotoromanzi prestato per cinque minuti alla canzone, che doveva strappare alle ragazze assatanate che affollavano le sue serate), fino ai Giancattivi, con tutto quello che ne è seguito.

Nelle Feste in Casa prometteva di fare dei pezzi di cabaret. Non lo fece mai. E questa cosa mi è mancata. Come mi è mancato non averlo mai sentito a teatro recitare quel monologo che Benvenuti scrisse appositamente per lui, Il mitico 11. Per me, come per tutti, Novello Novelli rimane l’irresistibile nonno Annibale dei Gori, o il maresciallo di Caruso Pascoski, o il cadavere di Willy Signori – grado zero di maschera cinematografica, senza nemmeno battute a inquinarne l’essenza.

O di quello, il più bello di tutti, che ha lavorato quarant’anni alla Sip. Quarant’anni di silenzio. Applausi.