Salmo, oramai, è una macchina da guerra. Non una gioiosa macchina da guerra, come ebbe a dire qualcuno come sua ultima affermazione politica, ma una macchina da guerra rabbiosa e incazzata – sebbene finalizzata al divertimento – che conquista piazza su piazza facendo un sold out dietro l’altro e lasciando sul campo tanta adrenalina.  La stessa che ci mette lui nelle sue quasi due ore di spettacolo.

Salmo ha letteralmente preso una Piazza del Duomo gremita da componenti di almeno un paio di generazioni e l’ha portata nel suo mondo. Un mondo fatto di quell’hip-hop di cui sono pieni i suoi dischi, ma anche di crossover, nu-metal, hc, e tante belle sigle che vogliono dire una cosa sola: una band che suona con un tiro pazzesco, tecnica e precisione, quello che di fatto si è rivelato un grande concerto rock.  Sferaebbasta ha intitolato il suo disco “Rockstar” per sottolineare come certe definizioni oggi siano proprie di un’altra categoria (quella dei rapper, trapper, o come li si vuole chiamare). Lui rimane insopportabile (Sferaebbasta, intendo), ma in questo ha ragione. Se c’è una rockstar, oggi, che non sia un retaggio degli anni ’90, questo è proprio Salmo. Per la sua attitudine, autenticamente rock ma per niente derivativa da stilemi consumati; e ancora, per il suo modo di imbastire un live, per il suo modo di stare sul palco, per la band granitica che si porta dietro.

Ieri sera oltre 4500 persone in piazza del Duomo hanno seguito Salmo nelle sue rime impossibili, ma soprattutto lo hanno seguito nella potenza dei suoi riff, nella resa di pezzi che dal vivo ci guadagnano in tecnica e in cattiveria. Pezzi come “90 min” o “Russell Crowe” ti muovono il cervello e i muscoli (non sono i piedi che si muovono al concerto di Salmo, o le mani, ma è tutto l’apparato muscolare. In toto.)  Sì, è vero, gran parte delle parole non si capiscono, non ha la dizione precisa e puntuale di un Caparezza che ti fa capire per intero il suo messaggio ogni volta che lo ascolti. Ma è un concerto rock, l’ho già detto: il flow passa davvero in secondo piano, la voce sta all’interno del pezzo, non davanti a tutto. E, come sottolineava Riccardo Goretti, a un concerto di Salmo bisogna venirci coi pezzi già “saputi”. Un concetto che almeno il 70% della platea di ieri sera aveva ben chiaro, dal momento che li cantava, li declamava e li urlava con lui.

E alla fine gli perdoni anche alcune ingenuità, come certe incitazioni ridondanti quali “muovete queste cazzo di mani” ad una piazza che già rispondeva all’unisono come non mai, o il pogo spiegato ai ragazzini quasi con intento pedagogico (“Se le ragazze hanno paura, lasciatele uscire. Ricordate, il pogo non è una rissa, è una danza, e se qualcuno cade dovete fermarvi e aiutarlo a rimettersi in piedi”). E quel bis che di fatto è l’anello debole di tutto il concerto, ovverosia l’esecuzione, per solo DJ e voce dei pezzi di quel “Machete Mixtape” che tanto ha venduto e tanto è stato ascoltato quest’estate e che tutti i quindicenni presenti sapevano a memoria. Peccato, perché lo show con la band fin lì era davvero un’altra cosa rispetto al Salmo versione hip-hop. Ma è un parere da vecchio rocker.