I Subsonica sono una garanzia. Da quasi 25 anni. Una formazione praticamente immutata dal 1996 (un solo cambio di bassista, nel 1999, del tutto trascurabile ai fini dei risultati), un live act sempre a buoni livelli e sempre coerente con la storia e la qualità del gruppo. Dai Subsonica non ti aspetti grandi rivoluzioni: ti aspetti che ti facciano ballare il cervello. E ci riescono, tutte le volte, per due ore a fila. Ci sono riusciti anche a Prato, ieri sera, quando il tour estivo di “8” ha toccato Piazza Duomo per il Settembre – Prato è spettacolo.

Un set che non differiva poi tanto da quello indoor: tanta adrenalina, tanto entusiasmo, tanto sudore. Su le mani. Salta. Su le mani. Un gioco aerobico e muscolare per il pubblico e per il gruppo. La sezione ritmica è impeccabile, come sempre, e regge due ore di botta senza colpo ferire. Samuel non sta fermo un momento e si aggrappa ai suoi due microfoni legati con lo scotch. Le tastiere di Boosta che ondeggiano come sempre – o sovrastano, altissime, in verticale, la testa del tastierista, in modo che il pubblico possa vedere le mani mentre le suonano, regalandoci un punto di vista assolutamente inedito. Casacci (l’uomo dalla chitarra meno invadente del rock italiano) sorride e sovrintende al tutto. L’uso massiccio e intelligente del mezzo video e delle telecamere che duplicano e rielaborano sullo schermo quello che succede sul palco ci rammenta che i Subsonica hanno sempre giocato e simpatizzato con la tecnologia, almeno per gli standard italiani.

Una scaletta divisa in due atti (chissà poi perché, dal momento che non c’era una grande differenza tematica nella scelta dei pezzi) con un excursus abbastanza equilibrato tra gli otto episodi della loro carriera. Un omaggio a un Franco Battiato sempre attuale (“Up patriots to arms”) e poi via, da “Benzina Ogoshi” a “Bottiglie rotte”, dalla “Glaciazione” a “Lazzaro”, da “Nuova ossessione” alla quasi dimenticata “Incantevole”, quasi a voler sottolineare che non ci sono mai stati passi falsi, in tutti questi anni.

Però, e sottolineo però, il grosso della scaletta (otto pezzi sui 25 della serata) attinge ancora da quel “Microchip emozionale” che rimane la croce e la delizia del gruppo a distanza di tanti anni. Un disco che quest’anno spegne venti candeline e che ha fotografato uno stato di grazia che difficilmente, almeno a livello compositivo, è riuscito nuovamente a raggiungere.

Il gruppo probabilmente non sopporta più quel disco, e le parole di Samuel ieri sera ce l’hanno confermato, nonostante la diplomazia forzata. Ma i Subsonica migliori sono ancora quelli lì, quelli di Colpo di pistola e di Discolabirinto, quelli di Aurora sogna e della litania degli psicofarmaci di Depre, quelli di Tutti i miei sbagli (nata in 15 minuti) e di quella Strade che chiude il concerto nella maniera migliore possibile, ancora oggi, nel 2019. Su le mani.