PFM
Foto di Orazio Truglio

Prima stazione. Nel 1966 Fabrizio de Andrè passa otto mesi in Biblioteca Comunale a Milano a leggersi i vangeli apocrifi, testi che narrano della figura di Cristo con episodi e punti di vista non contenuti nei testi sacri: Genti diverse venute dall’Est dicevan che in fondo era uguale. “Volevo levarmi un complesso” racconta in un’intervista “ognuno ha i complessi che si merita e chi nasce nel 1940 nasce col complesso cattolico”. Questi testi sedimentano nella testa di Fabrizio per qualche anno, tra Marinelle e guerre di Piero, ma non si concretizzano subito.

Seconda stazione. Dopo alcune raccolte di canzoni e un disco sulla malattia e sulle dipendenze (Tutti morimmo a stento) quelle canzoni si riaffacciano nella scrittura, in modo prepotente. Ancora parole di De Andrè: “Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo.” Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria – era una allegoria – che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze (…) che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi.

Terza stazione. Siamo nel 1970, De André si accinge ad essere il nuovo intellettuale di riferimento della canzone italiana e la casa discografica spinge per un disco nuovo. Quindi consegna le otto canzoni de La Buona Novella a Giampiero Reverberi, musicista e collaboratore. “Arrangiale, se no la casa discografica s’incazza”. Il periodo è per Reverberi molto complicato, e arriva in studio senza aver finito i compiti. Ma ha un’idea: chiamiamo dei giovani musicisti, con cui mi sono trovato benissimo ad arrangiare “Emozioni” di Lucio Battisti. Dalle note del disco: “Franco Mussida-chitarra, Franz Di Cioccio-batteria, Giorgio Piazza-basso, Flavio Premoli-organo, Mauro Pagani-flauto del complesso “I Quelli” (…) che dopo due giorni di distaccata collaborazione hanno dimenticato gli spartiti sui leggii e sono venuti a chiedermi “perché hai fatto questo disco, perché hai scritto queste parole?”. Anche con loro la fatica comune si è trasformata in amicizia: da quel momento”. Due i momenti della vita di Cristo descritti in quel disco: il primo lato che si sofferma sull’infanzia di Maria fino al concepimento, il secondo lato che parla della passione vista dagli occhi degli attori non protagonisti: il falegname, la folla, i ladroni e le loro madri. Un disco dalla durata di appena trenta minuti, ma densissimo di concetti, sia testuali che musicali.

Quarta stazione. Dall’anno successivo i Quelli diventano la PFM. Piccolo bignami di tre righe: Trattasi del primo gruppo italiano dal respiro internazionale. Dall’inizio degli anni 70 è l’unico gruppo italiano che per tecnica e gusto può competere coi gruppi internazionali. Infatti, unica eccezione nel nostro paese, il gruppo arriva a trasferirsi in America e riesce a crearsi uno spazio vero nello show business USA. Ma un attimo prima della consacrazione torna in Italia, per nostalgia della pastasciutta. Il suo percorso continuerà per 40 anni. Storia di un minuto. Suonare suonare.

Quinta stazione. De André e la PFM si re-incontrano nel 1979, e danno luogo all’evento musicale più spettacolare del decennio. Un tour in cui per la prima volta le parole di De André hanno una veste musicale degna di tale nome. Il tour è immortalato in due dischi dal vivo, in un film, e De André si è tenuto gli arrangiamenti delle canzoni storiche così come sono stati concepiti in quel tour per tutti i concerti successivi, fino alla fine dei suoi giorni. È come se quelle canzoni, da quel momento, avessero raggiunto la loro forma definitiva. Vi trovano spazio ovviamente alcune canzoni della Buona Novella: Maria nella Bottega del Falegname e Il Testamento di Tito. Concludevano il concerto.

Sesta stazione. Della Buona novella vengono fatte riduzioni teatrali ed infinite versioni, specialmente dopo la morte di Fabrizio De André. La PFM aspetta un bel po’ prima di tornare sull’argomento – e avrebbe avuto titoli riconosciuti per farlo. Ci ritorna solo nel 2010, quando la reincide per intero ampliandone le parti strumentali e portandolo a oltre un’ora di musica. Titolo: “A.D. 2010 – La Buona Novella”. Non tutto è all’altezza del disco originale, ma ne apprezziamo lo sforzo.

Settima stazione. Siamo nel 2021. La Pfm fa “La Buona Novella” in tour. Quel che resta della Premiata Forneria Marconi (della formazione storica, solo Franz di Cioccio, voce e – oramai saltuariamente – batteria, e Patrick Djivas, tastiere) concludono a Prato, in Piazza Duomo, una serie di cinque concerti in cui eseguono La Buona Novella per intero nella prima parte e un greatest hits del gruppo nella seconda. Dall’infanzia di Maria, fino al Testamento di Tito. E poi, nella seconda parte, tutte le Impressioni che il primo di settembre tornano attuali, come da quarant’anni a questa parte. Buona rivoluzione.

I biglietti del concerto si possono trovare qui.