Alex Valente è il nuovo ospite di “Dialoghi sui generi”, la rubrica con cui cerchiamo di conoscere meglio gli attivisti Lgbt di Prato che nell’ottobre 2021 hanno aperto il primo centro Lgbt della città, in via Santa Trinita.

Nome e cognome?
«Alex Valente».

Ma ti chiami Alex, quindi?
«Di nascita, sì. C’è una storia molto veloce, mia mamma voleva un nome straniero che non venisse storpiato dagli italiani senza rendersi conto che in Toscana mi chiamano “alesse”. Perchè la x si legge sse».

Tu ti identifichi come?
«Sono maschio cisgender e sono bisessuale».

Quindi esisti. Perchè la bisessualità maschile è praticamente non rappresentata.
«A quanto pare. Occupo uno spazio fisico e uno legale. Faccio ombra, soprattutto se c’è il sole. Si, esisto».

Da quanto sei in Canada?
«Da ottobre 2019».

Che lavoro fai?
«Di professione principale sono traduttore editoriale, quello che paga le bollette era insegnante di lingua fino a qualche mese fa, ma a fine mese mi sono licenziato perché sto lavorando in un negozio per cani qui in Canada».

Prima di andare in Canada sei sempre stato a Prato?
«Fino alla fine delle superiori. Poi otto anni in Gran Bretagna per università, master e dottorato. Sono tornato in Italia nel 2016 e poi sono andato in Canada. Non era intenzionale il fuggire e non tornare mai, solo che dall’Inghilterra era possibile tornare indietro, in Canada è scoppiato il mondo e il problema non è tanto uscire dal paese quanto rientrarci, perché al momento qui esisto per inerzia e non per documentazione».

Ovvero?
«Il mio visto è scaduto, ma ho fatto domanda per l’estensione e per il permesso di soggiorno e ci mette una media di 10 mesi. Al momento quindi sono interinale, nel senso che non ho un documento che prova la mia valenza legale come individuo nel paese. Non possono buttarmi fuori, ma se esco non è detto che possa rientrare».

Quando ti sei accorto di essere bisessuale?
«Le prime volte in cui me ne sono reso conto è stato dopo il 2011, ma guardando indietro, pensando a varie cose, c’erano giàstati momenti in cui me ne sarei dovuto accorgere. Anche alle superiori c’erano stati momenti…mi ricordo certe conversazioni, le richieste ad amicizie femminili con partner maschili come fosse l’esperienza. Di preciso era “Ma com’è toccare uno stomaco dove si sente la tartaruga?” Sapevo che questo tizio era ben fatto e parlavo con la sua ragazza. Diciamo che me ne sarei dovuto accorgere».

Non credo ti appaia un neon sopra la testa.
«No, ma almeno il dubbio! Per lo meno dopo il 2011, dopo una relazione di 5 anni. Avevo già suggerito che potevo essere bisessuale e mi venne detto dalla mia compagna: “No, non lo sei, stai solo cercando di essere più interessante”. Che è una cosa che viene detta spesso alle persone che ancora non hanno definizione o non vogliono cercarne una: “Sei semplicemente una persona etero coi capelli blu”. È quello che sostengono anche certi ambienti che si definiscono femministi radicali ma in realtà non sono né femministi né radicali».

Stiamo parlando delle TERF?
«Sì. Di tante persone che considerano l’identità di genere come una medaglietta da appiccicarsi al petto e portarla in giro, ma se non lo fai come dicono loro stai cercando di stuprare le persone. E di rubargli l’identità. Quindi io già ero mezzo immigrato di nascita in quanto mia mamma è inglese. Quindi mezzo immigrato, mezzo gay e mezzo etero…che non è la definizione di bisessuale ma la usiamo lo stesso, infine mezzo extracomunitario. Quindi vengo non solo a rubarvi il lavoro ma anche gli uomini e le donne. C’è più scelta! Ovviamente la bisessualità è una scelta. Ovviamente qualsiasi orientamento sessuale è una scelta».

Dovresti dire a un etero: ok, diventa gay.
«Esatto. Sai come dicono a tante persone lesbiche: “eh, ma non hai mai trovato il cazzo giusto”, ma non lo dicono mai agli uomini etero che non hanno ancora trovato il cazzo giusto».

Quindi ti sei accorto…che poi accorto è un termine orribile.
«Diciamo che è una presa di coscienza».

Ecco, hai preso coscienza del fatto di essere bisessuale quando eri ancora in Italia?
«No. O meglio, a zonzo fra l’Italia e l’Inghilterra, alla fine della triennale e all’inizio del master. Forse ci sono stati momenti con persone in Italia dove c’è stato il suggerimento di qualcosa che poteva succedere ma non è mai successo, perché entrambi non eravamo coscienti della cosa individualmente. Io non ero pienamente cosciente della cosa, lui non era pienamente cosciente della cosa e c’erano frasi tipo: “Eh, ma se fossimo gay saremmo una bella coppia”, “Eh, ma ti immagini se”. Non è mai successo niente, però poteva succedere».

Secondo te andare via dall’Italia e da Prato ti ha aiutato a prendere coscienza di questa cosa?
«Sicuramente c’è stato un ambiente che ha aiutato a sviluppare un linguaggio per parlarne e per pensarlo. In Italia sono stato piacevolmente stupito quando sono tornato ed ho trovato gli stessi ambienti che ho trovato in Inghilterra: nel 2008, quando sono partito, non erano discussioni presenti nei gruppi che frequentavo, non era all’ordine del giorno parlare di una sessualità che non fosse etero, anche se non c’era un bigottismo come ci può essere in generale in giro per l’Italia, o in giro per Prato. Eravamo già la parte meno mainstream, più alternativa, anche solo all’interno della nostra scuola, e c’erano persone che erano bisessuali già allora ma ancora non avevano il linguaggio per definirsi. Non sono nemmeno mai stato una persona, per quanto fossi molto online con, ai tempi, i forum e le discussioni online, non ero parte dell’ambiente di Tumblr, DeviantArt…alcune parti del linguaggio che si sono sviluppate online vengono da lì, dal mondo anglofono…ma non ne sono mai stato parte finché non sono entrato nel mondo anglofono. Quindi, mi ha aiutato ad avere la parola, la definizione e il riconoscere altri modi di parlarne oltre a “o sei etero o gay, e se sei in mezzo sei bisessuale”. Che non è esaustivo per niente. Poi, se sei bisessuale, ti viene detto che non esisti: non hai ancora scelto, è una fase».

Il discorso “sei solo confuso” ti è stato fatto?
«No, perché diciamo che non ne ho parlato con nessuno. La mia esternazione di identità di genere non devia dalle aspettative che ci sono verso una persona etero. Non mi presento in modo particolarmente effeminato, eccentrico, se non nei canoni accettati che si possono trovare in giro. Sei un ex metallaro, o sei un po’ punk, sono le eccentricità accettate dalla maggioranza delle persone. Non c’è mai stato quel…non necessariamente discriminazione, ma nessuna offesa diretta: è più quel che si dice, in generale, sulle persone bisessuali. La bisessualità femminile, o comunque di persone che si presentano come donne e hanno una connotazione più femminile, è vista più al livello feticista: sei una donna e quindi “ah che fico, mi attizza la cosa”. Gli uomini bisessuali o non esistono o sono tutti gay. Quindi a quanto pare io o non esisto, o sono gay e non l’ho detto a nessuno, nemmeno a me stesso. Non avendone parlato a nessuno in Italia questa intervista sarà un po’ il mio coming out plateale».

Ah. Sei sicuro?
«Sicuro non lo so, però si. Ne ho parlato con alcune persone in famiglia ma non ho avuto quel tipo di…anzi, uno degli ambienti in cui ne ho parlato era gente in palestra, nei 3 anni fra la Gran Bretagna e il Canada, ed è stato molto…non voglio dire tolleranti o accoglienti, è stato molto…easy. Scialla. Non è accettazione, è stato più un: “questo è tizio, fa palestra da tre anni e di giorno è commercialista, lui è Francesco e una volta si è rotto un ginocchio, questo è Alex ed è bisessuale”, è uno degli aggettivi che definiscono le persone del gruppo. Non so se è una delle caratteristiche che mi definiscono: se dovessi scegliere tre aggettivi che parlano di me non so se lo metterei fra i primi, quando sono in ambienti italiani. In ambienti anglofoni forse di più».

Come mai?
«Penso perché sono più a mio agio col linguaggio, anche se il linguaggio italiano si riferisce a quello anglofono per parlare di identità di genere, orientamento e queste cose».

Quando eri a Prato hai mai avuto il bisogno di dire: prendo e vado a vedere com’è? Anche se avresti dovuto spostarti a Firenze per trovare un locale gay, magari.
«In realtà non tanto, più per il fatto che non sono mai stato il tipo da locali, se non magari per concerti. Sono stato a un evento, fra l’altro orrendo anche se lo sapevamo già e l’abbiamo fatto lo stesso, ad una fiera di settore. La serata associata si chiamava Bisex, dalle parti di Sesto Fiorentino. Orribile, e in realtà molto etero. Tanta gente a cercare persone con cui fare serata insieme, ma allo stesso livello di altri locali in zona. La differenza fra gli ambienti anglofoni e l’Italia è che l’associazione mentale, lo stereotipo è che la comunità queer è festaiola a prescindere, che ci sono festini a base di droga e sesso…in realtà se ne è parlato anche a Prato, con la storia del parroco e tutti gli articoli che sono seguiti, che dipingono la realtà queer in un modo che non esiste. Persone che assumono stupefacenti per fare sesso: le due cose non esistono nello stesso posto, ma come conseguenza. A Prato l’hanno chiamata “la droga dello stupro”, parlando di gente che ovviamente veniva drogata per fare sesso anche se non voleva, e non è che sia proprio così…ma comunque, il linguaggio italiano è quello che è».

La differenza fra ora che sei nei paesi anglofoni e l’Italia l’hai percepita? Quando sei uscito dall’Italia hai pensato: “Ok, respiro meglio” oppure no?
«Diciamo che essendo cresciuto e vissuto a Prato per i primi 19 anni della mia vita, che rimane comunque più della metà della mia vita, è stato più liberatorio. Posso dire: “Ciao, by the way”. In Italia, gente che mi conosce da anni, non so mai come può reagire. Non so se è stata internalizzata un po’ di bifobia o omofobia, in generale. Anche in famiglia ci sono gli stereotipi o le battute, che per quanto possano essere cose minime per chi non le sente o non è oggetto di scherno, sono le cose che non mi hanno permesso di parlarne anche con gli amici più stretti, per quanto con loro ne abbia parlato di più rispetto ad altre persone. Una delle persone con cui ho aspettato a parlarne…è perché ci sono state battutine del genere, che non mi hanno riempito di fiducia. Non che pensassi che potesse esserci un rifiuto o una reazione negativa, ma anni e anni di accumulo di battutine, anche solo buttate lì e a cui a volte ho partecipato anch’io in passato…tante micro aggressioni, soprattutto non intenzionali, che però hanno avuto il loro effetto. Ho avuto più problemi a parlarne con una persona che con un’altra, anche se siamo un gruppo di tre amici che non ha mai avuto problemi a parlare di niente: ci sono state chiamate in lacrime, ospitate a casa a vicenda, dormito nello stesso letto per concerti, gestito gente con la febbre. Con una persona è stato più facile, con l’altra c’è stata una settimana di conversazioni con l’altra persona a chiedermi: “che faccio, glielo dico? E poi ora vado, via vado in Canada, cosa faccio? Se gli dico una cosa e lo lascio così chissà cosa pensa” e ovviamente non è successo niente, ma la paura c’è stata».

Quindi: tu sei un uomo bisessuale che sta con una ragazza. Quante volte ti hanno detto: ma allora non sei bisessuale, stai con una ragazza! È successo?
«Esplicitamente forse una, di cui mi ricordo bene. In generale è l’atteggiamento nei confronti di persone bisessuali, di qualsiasi genere, che si trovano in una relazione che dall’esterno sembra etero e monogama. La mia compagna, fin dall’inizio, era molto più aperta rispetto alla sua sessualità. È bisessuale anche lei, ed era in una quasi relazione con una ragazza quando sono arrivato io ed ho rovinato tutto (ride ndr) ma non era mia intenzione! Io volevo andare a trovare delle amiche in Giappone! Un’amica ed Emily, ci eravamo conosciuti in Gran Bretagna e lei si era trasferita in Giappone per tre anni. Erano molto vicine, molto amiche, sempre a casa l’una dell’altra, ma non è mai stata una cosa molto ufficiale. Noi ci abbiamo pensato parecchio, e appena ci siamo messi insieme abbiamo avuto una conversazione sul fatto che per me era la prima volta in una realtà nuova, in una società più aperta verso queste cose, e se avessi voluto provare esperienze diverse restando comunque in una relazione con lei. È una cosa che si può chiedere ma non ci sono garanzie sulla reazione: l’apertura e la voglia di dire “prova”, comunque c’è stata. È una conversazione che ogni tanto esce fuori, anche se siamo monogami, non siamo poliamorosi e non si è mai materializzato nulla di completo. Finger guns. (il gesto delle pistole fatto con le dita è il gesto bisessuale riconosciuto nel mondo anglofono).

Stai facendo Fonzie?
«No, è il gesto delle persone bisessuali qui nel mondo anglofono».

Mi stai dicendo che Fonzie è bisessuale?
«Pensi che non lo sia?».

Io penso che lo fosse.
«Se lo può essere Obi Wan Kenobi lo può essere Fonzie. Alec Guinness era bisessuale, anche se non apertamente. Ci sono vari stereotipi associati alla bisessualità, soprattutto su internet: la bisessualità è legata all’interesse a rospi e ranocchi, secondo internet».

Rospi e ranocchi?
«Si, avere una spilla con un ranocchio, o una statuina».

Tu hai una statuina di un rospo?
«No, e non la vorrei. Resto nerd per tante cose, ma niente rospi e ranocchi. C’è la Lego, i Digimon e i robot, ma niente ranocchi. O anche i fumetti: negli X-Men c’è Gambit, che è un’icona bisessuale».

Anche perché all’inizio l’avevano disegnato per essere gay, e c’era stata la questione del fatto che l’energia cinetica che usa è rosa. Poi si sono accorti che sarebbe stata una cavolata.
«Infatti, è quella cosa che dicevamo delle micro aggressioni. Facciamolo donnaiolo, e “uomaiolo”. Come John Constantine, che a volte è indicato come bisessuale e a volte come pansessuale. Anche il figlio di Superman è bisessuale».

Quindi rientri nello stereotipo del bisessuale nerd.
«Diciamo di si, anche se in realtà tutte le associazioni stereotipate che vengono legate alla bisessualità e alla sua estetica…diciamo che non ce n’è una. Al massimo mi siedo storto sulle sedie».

E poi c’è Deadpool, che è pansessuale.
«È canonicamente pansessuale. Fra l’altro è una delle cose che volevo dire: la differenza fra bisessuale e pansessuale: qual è e perché le persone bisessuali dicono di essere dalla parte delle persone trans. Perchè bisessuale vuol dire essere attratto dai due generi che esistono, mentre pansessuale vuol dire essere attratto da qualsiasi genere. “Ni”: perché già la definizione di bisessuale è essere attratto da persone di uno o più generi, secondo il manifesto degli anni ‘90. La bisessualità non ha mai escluso le persone trans, il bi in bisessuale esiste per differenziarsi dall’omo, in omosessuale, non per escludere che ci siano più di due generi. Il pan è nato come reazione alla bisessualità per descrivere, ed includere: il linguaggio che si usa quando si parla di orientamento e identità è additivo, non sostitutivo. Non andiamo a cambiare la lingua, andiamo ad aggiungere alla lingua, ed è una cosa che non viene mai capita. Pansessuale è nato per riconoscere anche le identità di genere che non si riconoscono in nessun genere. La distinzione esiste non per far sì che il resto del mondo riconosca che bisessuali e pansessuali sono due gruppi diversi di persone, ma per le persone che si vogliono riconoscere nella pansessualità o nella bisessualità».

Prima hai detto che sei uscito dall’Italia e hai pensato che potevi provare cose nuove perché sei in un posto che te lo permette. Quindi quando eri a Prato non era fattibile?
«La conversazione, la questione, era più incentrata sul fatto che sono sempre stato in una relazione esclusiva o comunque monogama, non mi era permesso di farlo».

Ma ti era venuto in mente che era fattibile?
«Ni. Nel senso: essendo un maschio italiano è consuetudine essere in giro con varie persone, senza dirlo a nessuno, quindi facendo l’opposto di quello che è una relazione sana e aperta. Era una cosa frequente nei gruppi che frequentavo: c’era sempre un tipo che si sapeva che andava con varie persone nonostante fosse in una relazione. “Si bombava la gente”, dicevamo. Le mie aspettative sono sempre state quelle: se vuol conoscere altre persone o sei single, o tradisci. Parte della mia educazione sessuale molto eteronormativa e canonica: ci sono le cose che si fanno bene e se non fai così sono sbagliate, anche se lo fanno tutti. Queste sono le cose che non si fanno, ma le fanno tutti lo stesso, e te le perdonano soprattutto se sei uomo».

Quindi il discorso non è “non è fattibile”, è proprio che “non esiste”. In Italia a parlare di relazioni poliamorose ti guardano strano.
«Ne ho sentito parlare verso Bologna, il polo della realtà queer nerd italiana, e a Milano. Ma siamo ovunque, in realtà. Al pride sono stato due anni, e lo sono stato molto apertamente: portando la bandiera e simboli che si rifanno alla mia sessualità e al mio collettivo, che è Queer Riot, e prima con il Comitato. Sono stato con il Gruppo Bisessuali in Toscana, che però sono più di base a Lucca, o almeno lo erano. Persone che sono in relazioni poliamorose, che fino ad allora si chiamavano coppie aperte o poligame, le ho conosciute li».

Sì, ma in Italia se dici “coppia aperta” ti associano agli scambisti.
«Esatto. Che comunque si, è un accordo fra le persone. Vanno bene tutte però, basta siano consenzienti. La differenza però è che per gli scambisti si tratta più del desiderio, attrazione fisica e sesso con altre persone, mentre una relazione poliamorosa non è necessariamente nemmeno sessuale, può essere anche solo affettiva. In gruppo, a rotazione, magari sono tre persone che sono le più stabili e ognuna di loro poi ha altri partner non stabili, ma regolari. Ma anche nella mia esperienza anglofona non ho mai avuto esperienze dirette con persone in relazioni poliamorose, mentre dopo aver conosciuto persone a Bologna, parlato con persone del collettivo Queer Riot, è in realtà molto più frequente. Solo perché non se ne parla e non siano mai soggetto della discussione ma solo l’oggetto non significa che non ci siano. È sempre più un dire: “Eh, ma i gay. Eh, ma le lesbiche”. I bisessuali sono visti un po’ a metà fra le due, e c’è l’idea che siamo tutti traditori e poliamorosi, e uso il maschile perché parlo di stereotipi associati a me stesso».

In Italia la discussione sulla sessualità, anche quando ci sono casi come quello del DDL Zan, non include quasi mai la bisessualità o la bifobia, soprattutto se riguarda gli uomini. Probabilmente perché sulle donne, attraverso uno sguardo generalmente maschile ed eteronormativo, puoi farci i video porno. Un uomo probabilmente non guarderebbe mai un video porno con due uomini che fanno sesso. Forse è anche per questo che in Italia non c’è il riconoscimento degli uomini bisessuali, perché la loro immagine può essere usata meno.
«Non è solo una questione che viene fuori in ambito eterosessuale: sono anche cose che si trovano nella comunità queer stessa. È un tipo di disagio diverso, e non uso disagio nell’accezione moderna, che fa ridere, ma è proprio un sentirsi a disagio all’interno di un gruppo quasi solo omosessuale o eterosessuale. C’è il mancato riconoscimento o addirittura l’odio e l’astio, nel gruppo eterosessuale, mentre nel gruppo omosessuale è più un “si, ma tanto non esisti, non sei abbastanza gay o stai fingendo di esserlo”. A Prato non mi è mai successo, e sono stato molto stupito in positivo dalle persone che ho conosciuto: in realtà ero io, la prima volta che ho conosciuto il gruppo, a non sentirmi a mio agio perché non mi sentivo abbastanza LGBT da poter partecipare non avendo mai avuto relazioni con uomini. In realtà ne avevo bisogno, e dovevo capire che posso far parte di una comunità che hanno questo dubbio ogni giorno. Sono abbastanza gay? Sono abbastanza queer? È la sindrome di Balto: non è cane, non è lupo, sa solo quello che non è. Una delle associazioni internettiane con i bisessuali è la licantropia: un lupo mannaro non è un lupo e non è una persona. Non è metà lupo e metà persona, è una creatura a sé che non è nessuna delle due. La bisessualità…ti metti anche in discussione con te stesso. Se non ho mai avuto relazioni con uomini, anche se so di esserne attratto, sono davvero bisessuale o voglio solo rendermi interessante? E sono dubbi che rimangono, non vanno mai via. Poi c’è il risentimento verso persone che possono “passare per normali”, perché è più facile. La bisessualità è vista, soprattutto dentro la comunità, come una variabile non accettabile perché puoi farti chi ti pare ma la gente non te lo riconosce, e non corri il rischio di essere additato come gli altri. A volte basta essere presentabili da un punto di vista eterocentrico per non destare sospetti. Nella comunità c’è questa presa di distanza, non siamo visti come parte della comunità queer, e se non siamo apertamente bisessuali vuol dire che vogliamo solo far parte di quella comunità senza esserlo. Poi è vero che se hai una brutta esperienza con un genere, e non sei ancora arrivato alla piena consapevolezza di quello che sei, è ovvio che i generi successivi con cui avrai una relazione saranno diversi. Magari hai avuto solo relazioni con uomini e tutte sono andate male, ma sei interessato agli uomini lo stesso e preferisci, però, avere relazioni con le donne. Non è che però sei diventato etero o lesbica».

Si, ma scusa: come fai ad essere apertamente bisessuale?
«Eh, la domanda è quella».

Da un punto di vista tecnico.
«Immagino che la situazione sia qualcosa della serie: hai apertamente avuto relazioni con più di un genere».

Si, ma lo devo mettere sulla maglietta?
«Boh? Però anche se le hai avute, esperienze e relazioni con generi diversi, la gente poi non ti crede perché dice che era una fase, o che non avevi trovato la persona giusta. La vagina interessante o il pene giusto. Si vede quando si parla di celebrità bisessuali, come Megan Fox. Lei è sempre stata vista come icona, e quando ha detto di essere bisessuale tutti hanno detto “figo, si fa le donne, seghine seghine e seghine”. Uomini bisessuali spesso o sono persone come Oscar Wilde o David Bowie, additati come devianti in qualsiasi altro modo e non solo per l’orientamento sessuale e comunque visti come icone gay a prescindere perché “si vabè, avevano una donna perché faceva comodo per essere accettati”, o sono persone come Alec Guinness, Leopardi o Montale: tanti uomini famosi che hanno una non eterosessualità che si vede da cosa scrivono o viene taciuta e sparisce quando vediamo gli affetti che provano per persone di generi diversi. Famoso, durante l’anno della mia maturità, il testo letterario da analizzare: era una poesia di Montale che parlava di un uomo che chiedeva al poeta di parlare della figura della donna nella sua poetica. A parte l’errore del Ministero (2008) e tutto il resto, il fatto che tu parli di una figura maschile nello stesso modo in cui è canone che tu parli di una femminile vuol dire che: o non te ne frega niente di nessuna delle due o che hai lo stesso tipo di interesse verso entrambi. Ma non se ne parla: si parla della biografia e basta, e quello è. Hemingway! Nuovi studi provano che fosse gender queer, ma anche un maschilista orrendo, e le cose possono convivere. Non è che se sei bisessuale sei per forza per il DDL Zan, o per motivi personali o perché sei una brutta persona a livello politico e sociale. Che poi il DDL Zan non fosse nemmeno l’inizio della punta dell’iceberg è un altro discorso. C’è questa aspettativa, però: se sei queer non puoi essere razzista o sessista, perché la tua identità sessuale va a formare tutto quello che sei, secondo gli altri. E sempre secondo gli altri: una volta che sbagli la colpa è di tutta la categoria. Se una persona bisessuale tradisce significa che tutti i bisessuali tradiscono».

Scusa, ma te con questa intervista stai andando a dire a tutti e a tutti quelli che conosci…voglio dire, esce una foto della tua faccia e tutte queste cose scritte sotto. Quindi…come stai?
«Eh. È una settimana che ne parlo con Clarissa (Queer Riot). Sempre tornando alla sindrome dell’impostore: non sono a Prato e non sono coinvolto nelle iniziative e nella logistica, adesso. Lo sono stato prima che diventasse associazione effettiva, per i primi eventi e le manifestazioni, il lavoro su internet e Facebook aiuto a metterla tutt’ora. Sono l’uomo nell’ombra, perché non esisto in realtà! (ride ndr) Ma ecco, sono…mi preoccupa. Non so se mi preoccupa. Mi mette apprensione? Assolutamente sì. E non so se è perché la gente dirà: eh, ma tanto si sapeva. O magari no, perché io sono molto eteropassante e ci sarà chi dirà “non me l’aspettavo”».

Volutamente o perché è così, succede e basta?
«Soprattutto quando conosco persone nuove, che ho conosciuto a Prato dopo il 2016 e l’Inghilterra…sono stato molto aperto. Ho parlato anche con i miei datori di lavoro, lo hanno saputo non da subito ma più tardi. Invece i ragazzini di oggi ci danno le paste: sanno parlare di se stessi, e mi mette una rabbia incredibile quando leggo “ma a che servono tutte queste lettere? Ma ormai sembra un codice fiscale”. Non è per voi. Non lo devi nemmeno guardare se non vuoi. È per loro, è per noi che stiamo cercando le persone con cui stiamo bene. In Italia non abbiamo un canone letterario per la comunità, ci sono case editrici che stanno ripubblicando i testi di Mario Mieli o di persone che hanno fatto attivismo dagli anni ‘60 su identità di genere, orientamento sessuale, come Edizioni Minoritarie o Asterisco, ma non c’è un’educazione di base, un approccio di base, su come parlare di queste cose. Eppure i ragazzi giovani sono già molto avanti».